Ibrahim Rugova 2 - I grandi nonviolenti

Autore:
Salvoldi, GianCarlo
Fonte:
CulturaCattolica.it
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RUGOVA E I GRANDI NONVIOLENTI
E' opportuna una breve digressione che serve a comprendere meglio le dinamiche con cui si deve scontrare la strategia nonviolenta e il tipo di rischi che ha corso Ibrahim Rugova, e che sono uguali sempre e dovunque per i nonviolenti che hanno grandi responsabilità politiche. A volte essi, che non vogliono essere nemici di nessuno, vengono uccisi da nemici, come M. Luther King o Giovanni Paolo II che un fanatico islamico ha cercato di uccidere ed ai cui proiettili è sopravvissuto per un reale miracolo. A volte vengono eliminati da qualcuno della loro comunità di appartenenza: Gandhi è stato assassinato da un indù, Rabin è stato assassinato da un ebreo, John e Robert Kennedy, anche per la loro posizione sulla guerra, sono stati assassinati non dai sovietici ma da americani.
Gorbacev era molto amato ma anche ferocemente odiato perché ha permesso che il comunismo cadesse senza usare il mostruoso potenziale bellico di cui disponeva: se avesse agito con la logica di Hitler di fronte alla fine del nazismo ("muoia Sansone con tutti i Filistei"), il mondo sarebbe precipitato nella terza guerra mondiale con il conseguente olocausto atomico.
Quando si sono trovati ad un bivio hanno fatto scelte difficili, da giudicare non con il metro bellico ma con quello della nonviolenza.
Mi rendo conto di aver parlato solo di maschi perché poche sono le donne che diventano leaders politici, come il capo dell'opposizione in Birmania, la Signora Aung San Suu Kyi, nonviolenta che ha ricevuto il Nobel per la pace.
Sono molte però le donne che dissodano il terreno e preparano le condizioni per un impegno nonviolento fino alla morte, e credo che sia giusto ricordarle e se possibile approfondire la conoscenza del loro pensiero e della loro azione a favore della pace: Madre Teresa di Calcutta, nata proprio in Kosovo; Edith Stein, donna, ebrea, poi suora e martire in campo di sterminio; Etty Hillesum, lei pure donna, ebrea, martire in campo di sterminio; Simone Weil, donna, ebrea,
filosofa, prima comunista e poi innamorata di Cristo; suor Dorothy Stang, la prima "martire del Creato", assassinata nel 2005 perché difendeva, inerme, gli Indios e la Foresta Amazzonica; suor Lionella, assassinata da Al Quaida in Somalia nel 2006 perché aveva costruito un ospedale dove curava, inerme, le bambine vittime di mutilazioni sessuali.
Ritengo che sia ampio il contesto in cui collocare i giudizi sui nonviolenti.
Rugova è stato mal compreso quando agiva come presidente del Kosovo, elogiato da tutti a parole, ma di fatto inascoltato. Ma anche dopo la sua morte è stato tradito da chi lo considerava con simpatia, ma sostanzialmente lo valutava con gli stessi criteri con cui si valuta un qualunque Capo di Stato. Invece è sbagliato giudicare la strategia di Rugova con criteri militari, e chiunque riesce a capirlo. E' quindi sbagliato giudicare la politica disarmata di Rugova con gli stessi parametri con cui si giudica quella di presidenti che sono capi supremi delle forze armate.
I nonviolenti almeno devono riflettere e valutare in base ad una visione più alta e complessiva dei rapporti tra gli Stati e soprattutto tra i popoli.
Devono cogliere l'ampio respiro del modo nonviolento di far politica , che è consapevole di essere nuovo, sperimentale, utopico e "debole": per necessità e per scelta. Non si tratta di confrontare linee politiche diverse, ma di confrontare categorie culturali diverse: quelle che nascono da percorsi prioritariamente spirituali e quindi di pace, e quelle che si fondano prioritariamente su analisi economiche, sociologiche e politiche, che per loro natura sono belliche. Ed è di tutta evidenza che dobbiamo valutare i risultati della nonviolenza di Rugova e del suo popolo in base alla categoria della pace.
Così possiamo dire con assoluta certezza che nessuno mai al mondo avrebbe saputo cosa fosse il Kosovo se non ci fosse stato Rugova con la sua nonviolenza.
E l'attuale presidente del Kosovo, Hashim Thaçi, che viene dai vertici dell'Uck (esercito di liberazione del Kosovo), senza la stagione politica di Rugova sarebbe scomparso nell'insignificanza di una qualunque guerriglia balcanica.
Rugova è stato l'espressione di un folto gruppo di intellettuali nonviolenti tra cui possiamo citare Anton Cetta, Adem Demaci, Fehmi Agani, Veton Surroi, Nike Prela, Lush Gjergji. Appartenenti tutti all'etnia albanese, erano islamici di religione e politicamente aderenti al partito unico comunista, tranne Prela e Gjergij che erano cristiani cattolici. Rugova si è trovato ad essere nonviolento avendo alle spalle una cultura musulmana ed in tasca una tessera comunista.
Politicamente non aveva alternativa. Come credente viveva quella condizione particolare dei Kosovari, antichi Illiri, che fino al 1500 erano stati cristiani, ed avevano poi subito la conversione all'islam forzati da vessazioni disumane. A diversi livelli emerge la forza dell'originaria religione cristiana nella cultura albanese e in quella di Rugova.
La riflessione che stiamo svolgendo su Rugova non vuole essere il ricordo di una figura importante dell'Europa contemporanea, ma un modo per valorizzare la storia straordinaria di un popolo e raccogliere tutti gli insegnamenti che contiene. Tali insegnamenti riguardano in positivo le grandi conquiste di Rugova e dei Kosovari, ed in negativo, ma è molto utile, gli errori che sono stati commessi da chi è entrato in relazione con quella storia. Quindi riguardano l'oggi dei Balcani, dell'Europa e dell'ONU. Il problema principale, che ha causato tutti gli errori, era costituito ed è ancora oggi, dal fatto che sono stati pochi a dare credito alla forza della nonviolenza, che è processo di consapevolezza e di partecipazione di popolo nei momenti cruciali della storia.