San Giovanni Bosco e l'angelo custode: un libro e due episodi che parlano chiaro
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Don Bosco scrisse un bel libro sulla devozione all'angelo custode e potete scaricarlo gratis in formato pdf al seguente link ufficiale salesiano: https://www.salesian.online/archives/16109
Ma sulla necessità della devozione all'angelo custode ci sono due episodi che meritano assolutamente di essere ricordati perché sono integralmente riportati nel volume II delle Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco raccolte dal salesiano Don Giovanni Battista Lemoyne, segretario personale di Don Bosco. Potete scaricare gratis questo libro in formato pdf al link salesiano: https://www.donboscosanto.eu/memorie_biografiche/index.php
Vi riporto in corsivo il testo autentico di entrambi questi episodi:
1) PRIMO EPISODIO
Il giorno 31 agosto 1844 una ricca signora, moglie dell'Ambasciatore del Portogallo, doveva da Torino recarsi nella città di Chieri per assestare alcuni affari. Essendo fervente cattolica, desiderava prima aggiustare le cose dell'anima sua. Al mattino entrò pertanto nella chiesa di S. Francesco d'Assisi. Essa non conosceva Don Bosco, e neppure Don Bosco non erasi mai incontrato con lei, né poteva conoscerla per quella che ella era, tanto più che vestiva molto dimessamente. La signora, non essendo ivi il suo confessore ordinario, visto presso un confessionale un giovane prete inginocchiato che pregava con aria molto raccolta e divota, si sentì spinta a confessarsi da lui. D. Bosco l'udì, quindi assegnolle la penitenza consistente, pare, in una piccola elemosina da farsi in determinate circostanze di quello stesso giorno.
- Padre, non posso farla, rispose la signora.
- Come? Lei non può farla, mentre possiede tante ricchezze?
La signora rimase sbalordita nel capire come Don Bosco avesse conosciuta la sua posizione sociale, mentre era certa di non esserglisi mai data in nessun modo e in nessun'altra circostanza a conoscere. Intanto rispondeva:
- Padre, non posso farla questa penitenza, perchè oggi debbo andar via da Torino.
- Ebbene, allora faccia quest'altra: preghi con tre Angele Dei il suo Angelo Custode che l'assista, la preservi da ogni male, sicchè non abbia a spaventarsi nel fatto che oggi le accadrà.
La signora restò ancor più colpita da questa parola, accettò il suggerimento molto volentieri, e ritornata a casa, recitò quella preghiera unitamente alla sua gente di servizio, riponendo nelle mani del suo Angelo tutelare l'esito felice del viaggio. Salita in vettura con sua figlia e con una cameriera, dopo lungo tratto di strada, percorso a gran carriera, all'improvviso i cavalli si adombrano, e quindi si slanciano ad una corsa disordinata. Invano il cocchiere stringe a sè le briglie, ma essi non sentono più il morso. Mentre le signore mandavano alte grida ed erasi aperto uno sportello della vettura, le ruote urtano in un mucchio di ghiaia, la vettura ribalta, riversa quanti vi sono dentro, e si frantuma lo sportello già aperto. Il cocchiere è sbalzato di cassetta, le viaggiatrici sono nel più grave pericolo di rimanere schiacciate, la signora striscia col capo e colle mani per terra, ed i cavalli continuano a correre precipitosamente. Tutto ciò accadde in men che si dica. La signora, non isperando più altro soccorso che quello dell'Angelo Custode, gridò con quanto aveva di voce l'invocazione: Angele Dei, qui custos es mei ecc. Bastò questo per salvarle. Di botto gli smaniosi cavalli divengono calmi e si arrestano. Il cocchiere rialzatosi incolume li raggiunge, e gente accorre a sollevare i caduti. La signora uscita, senza saper come, dalla vettura insieme colla figlia, rimane tranquilla e senza ombra di spavento. Ambedue si rassettano nella persona il meglio che possono. L'una mira l'altra e vedono con istupore che nessuna ha sofferto il menomo male. Unanimi erompono allora in queste voci: “Viva Iddio e l'Angelo Custode che ci ha salvati!” La signora coi suo seguito continua il cammino, mentre il cocchiere rialzava la carrozza, ed aveva ancora forza di fare più ore di strada a piedi e ridursi felicemente alla sua casa di Chieri.
Non è a dirsi quale concetto siasi formato allora la buona signora di quel giovane prete, che così opportunamente aveala consigliata a raccomandarsi all'Angelo Custode. Ardeva pel desiderio di ritornare presto a Torino e sapere chi egli fosse. Venuta a S. Francesco d'Assisi, domandò in sagrestia chi in quel tempo ascoltasse le confessioni nel confessionale che essa indicava. Saputo che era D. Giovanni Bosco, andò a lui ringraziandolo del salutare avviso. Da quel punto divenne sua ammiratrice, e con tutti ne ripeteva i meriti e gli elogi. E D. Bosco di lei si valse, quando si, trattò di soccorrere D. Carlo Palazzolo, che si trovava in grandi strettezze e desiderava una vita tutta data al sacro ministero e più confacente alla sua età già matura. Ella divenne una zelante benefattrice dell'Oratorio. Suo dono è la piccola urna di cristallo posta ancora oggi giorno sullo scrigno, nella camera di D. Bosco, contenente la statuetta in cera di S. Filippo Neri vestita degli abiti sacri, similitudine del corpo di questo Santo venerato in Roma, a Santa Maria in Vallicella. Tutte le circostanze del fatto suesposto ci vennero raccontate da uno scritto di questa stessa buona signora, dalla signora Teresa Martano di Chieri sua cameriera e da Don Michele Rua.
2) SECONDO EPISODIO
Una domenica stavano tutti radunati nella sagrestia di S. Francesco d'Assisi. Don Bosco, distribuendo loro una pagella ove era stampata una preghiera a quest'Angelo benedetto, aveva loro indirizzate queste parole: “Abbiate divozione al vostro buon Angelo. Se vi troverete in qualche grave pericolo o di anima o di corpo invocatelo ed lo vi assicuro che esso vi assisterà e vi libererà”. Ora accadde che un di coloro che avevano ascoltata l'esortazione, essendo garzone muratore, lavorasse pochi giorni dopo alla costruzione di una casa. Mentre andava e veniva sopra i ponti per i suoi servizii, rompendosi all'improvviso alcuni sostegni, sentì mancarsi sotto i piedi gli assi sui quali trovavasi con due altri compagni. Al primo scroscio si accorse subito che non poteva mettersi in salvo. Il ponte si sfascia e cogli assi, colle pietre e coi mattoni piomba rovinosamente nella via dal quarto piano con quanti vi erano sopra. Precipitare da tale altezza era lo stesso che rimanere morto sul colpo. Ma il nostro buon giovane nell'atto di cadere si ricordò delle parole di D. Bosco e invocò a tutta voce l'Angelo Custode - Angelo mio, aiutatemi! - La sua preghiera lo salvò. Cosa mirabile! Erano caduti tre: uno rimase morto all'istante, il secondo fu portato all'ospedale tutto sfracellato e dopo qualche ora spirava. Il nostro garzone invece, mentre la gente correva a lui credendolo morto, levossi in piedi perfettamente sano senza aver riportata neppure una scalfittura. Anzi risalì subito a quell'altezza dalla quale era caduto per dar mano ai lavori di riparazione. Ritornato la domenica seguente a S. Francesco d'Assisi, raccontava ai compagni meravigliati quanto gli era occorso, testificando come la promessa di D. Bosco si fosse avverata. I giovanetti si accesero allora di maggior divozione al loro Angelo Custode e ciò produsse molti salutari effetti nelle loro anime. Il fatto singolare suggerì a D. Bosco di comporre il libretto sovraccennato che portava per titolo: - Il Divoto dell'Angelo Custode.