Condividi:

S. Agata

Autore:
Buggio, Nerella
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Fonte: Maria Torrisi, Sant'Agata, Ed. S. Paolo
Cinisello Balsamo (MI) 1997

La Storia

Negli anni in cui visse Agata, a metà del III secolo, l'impero romano aveva raggiunto la massima estensione territoriale. [...] Ai tempi dell'imperatore Decio, Catania era una città ricca e fiorente, che per di più godeva di un ottima posizione geografica. Il suo grande porto, nel cuore del mediterraneo, rappresentava uno dei più vivaci punti di scambio commerciale e culturale dell'epoca. Le fonti storiche narrano che era amministrata dal proconsole Quiziano, uomo rude, prepotente e superbo. [...]
Quando la comunità cristiana iniziò a essere abbastanza ampia, intorno al 40 d.C., si abbatterono su di essa le prime persecuzioni. [...]
All'inizio del III secolo, l'imperatore Settimio Severo emanò un editto di persecuzione. Egli stabilì che i cristiani dovessero essere prima denunciati alle autorità e poi invitati a rinnegare pubblicamente la loro fede. Se accettavano di tornare alla religione pagana avevano diritto al libellum, una sorta di certificato di conformità religiosa, ma se si rifiutavano di sacrificare agli dèi, venivano prima torturati e poi uccisi. [...] Di fronte al diffondersi del cristianesimo e temendo che l'aumento dei fedeli potesse minacciare la stabilità dell'impero, nel 249 l'imperatore Decio ordinò una repressione ancora più radicale: tutti i cristiani, denunciati o no, erano ricercati d'ufficio, rintracciati, torturati e infine uccisi.
In quegli anni, a metà del III secolo, a Catania nasceva Agata. [...] La sua era una famiglia nobile e ricca. Il padre Rao e la madre Apolla decisero di chiamarla Agata, che in greco significa "la buona". In questo nome c'era già racchiuso il suo destino: bontà e purezza furono, infatti, le doti che distinsero Agata sin dalla prima infanzia. [...] Dei suoi primi anni di vita non ci sono giunte testimonianze documentate, ma si può supporre che sin dalla più tenera età Agata abbia ricevuto dai genitori una buona educazione e che dal loro esempio abbia appreso il valore delle virtù cristiane: la preghiera, la rinuncia alle ricchezze terrene, il coraggio nello scegliere Cristo. [...]

La consacrazione a Dio
Molto presto, già negli anni dell'infanzia, Agata ebbe chiaro nel cuore il desiderio di donarsi totalmente a Cristo. Nel segreto dell'animo si era già promessa a Dio e, quando non aveva ancora compiuto 15 anni, sentì che era giunto il momento di consacrarsi solennemente. Il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e, durante una cerimonia ufficiale chiamata velatio, le impose il flammeum, il velo di color rosso fiamma che portavano le vergini consacrate. [...]

La fuga e l'arresto
Un giorno, il proconsole Quinziano fu informato che in città, tra le vergini consacrate, viveva una nobile e bella fanciulla. Decise allora che doveva conoscerla. Ordinò ai suoi uomini che la catturassero e la conducessero al palazzo pretorio: si trattava proprio di Agata. [...] Per sottrarsi all'ordine del proconsole Agata per qualche tempo rimase nascosta lontano da Catania. [...] Gli sgherri al servizio del proconsole però la raggiunsero con quella facilità che è propria dei potenti e la condussero in tribunale al cospetto di Quinziano.

In casa di Afrodisia
Quinziano non appena la vide, fu rapito dalla sua bellezza. Un ardore passionale lo invase, ma i suoi tentativi di seduzione furono tutti vani, perché Agata lo respinse sempre con grande fermezza. Il proconsole pensò allora che un programma di rieducazione avrebbe potuto trasformare la giovane e l'avrebbe convinta a rinunciare ai voti e a cedere alle sue lusinghe. La affidò così per un mese ad una cortigiana, una matrona dissoluta, maestra di vizi e di corruzione, che era conosciuta col nome di Afrodisia. [...]
Quando lo strumento di persuasione si rivelò incapace a piegare la sua ferrea volontà, Afrodisia e le figlie tentarono di raggiungere lo stesso vile scopo attraverso le minacce. [...] Allo scadere del mese e di fronte alla fermezza di Agata, Afrodisia non poté far altro che arrendersi. Sconfitta e umiliata, riconsegnò la giovane a Quinziano: "Ha la testa più dura della lava dell'Etna, non fa altro che piangere e pregare il suo invisibile sposo. Sperare da lei un minimo segno d'affetto è soltanto tempo perso".

Il processo
Quinziano prese atto che le lusinghe, promesse e minacce non sortivano alcun effetto su quella giovane bella quanto innamorata di Gesù. Decise allora di dare immediato avvio a un processo, contando così di piegarla con la forza. Convocata al palazzo pretorio, Agata entrò fiera e umile. [...]
Si presentò al proconsole vestita come una schiava come usavano le vergini consacrate a Dio, e Quinziano volle giocare su questo equivoco per provocarla. "Non sono una schiava, ma una serva del Re del cielo", chiarì subito Agata. "Sono nata libera da una famiglia nobile, ma la maggiore nobiltà deriva dall'essere ancella di Gesù Cristo". Le affermazioni di Agata erano taglienti e fiere, degne della semplicità di una vergine e della fermezza di una martire. "Tu che ti credi nobile", disse Agata a Quinziano, "sei in realtà schiavo delle tue passioni". Questa fu una grave provocazione per lui, padrone di quella terra e garante della religione pagana in Sicilia. "Dunque noi che disprezziamo il nome e la servitù di Cristo", domandò irritato il proconsole, "siamo ignobili?".
Per Agata che parlava con la forza della fede e illuminata dallo Spirito Santo era arrivato il momento di accettare la sfida e rilanciò: "Ignobiltà grande è la vostra: voi siete schiavi delle voluttà, adorate pietre e legni, idoli costruiti da miseri artigiani, strumenti del demonio". Quinziano a quelle parole si sentì come un toro ferito. Era incapace di controbattere, non possedeva né risorse culturali di un oratore, né la saggezza e la semplicità delle risposte ispirate dalla fede che aveva Agata.
Gli unici strumenti che conosceva bene e che sapeva usare erano la violenza e le minacce. In questo campo era sicuro di essere il più forte e questi mezzi utilizzò: "O sacrifichi agli dèi o subirai il martirio", minacciò spazientito. [...] Per un giorno e una notte Agata rimase chiusa in una cella del carcere, all'interno del palazzo pretorio: diventata in seguito un luogo di culto, era una cameretta interrata, buia e umida. [...]
La mattina successiva fu condotta per la seconda volta davanti al proconsole. "Che pensi di fare per la tua salvezza?", le domandò Quinziano. "La mia salvezza è Cristo", rispose decisa Agata. Soltanto a quel punto Quinziano si rese conto che qualunque tentativo di persuasione era destinato al fallimento e, con uno scatto d'ira, ordinò di sottoporla a orrende torture.
Ad Agata furono stirate le membra, fu percossa con le verghe, lacerata col pettine di ferro, le furono squarciati i fianchi con lamine arroventate. Ogni tormento, invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuovo vigore. Allora Quinziano si accanì ulteriormente contro la giovinetta e ordinò agli aguzzini che le amputassero le mammelle. "Non ti vergogni", gli disse Agata, "di stroncare in una donna le sorgenti della vita dalle quali tu stesso traesti alimento succhiando al seno tua madre?" [...]

Il miracolo di San Pietro
Agata fu riportata in cella, ferita e sanguinante. Le piaghe aperte bruciavano, il dolore era lancinante. Ma sapeva che pativa per Gesù e questo l'appagava. Così, mentre pregava in silenzio, con lo sguardo rivolto al cielo al di là della grata, lo Sposo celeste volle alleviarle il dolore e le mandò l'apostolo Pietro.
La notte successiva alle torture, nel buio della cella, la fanciulla vide avvicinarsi una luce bianca. Era un fanciullo vestito di seta con una lucerna in mano. Lo seguiva un uomo anziano. Inizialmente Agata non volle che l'anziano le porgesse i medicamenti che aveva portato con sé per guarire le sue ferite. "La mia medicina è Cristo", disse, rifiutando delicatamente l'aiuto "se egli vuole, con una sola parola, può risanarmi". [...] "Le pene che io soffro", spiegò all'anziano visitatore, "completano il mio lungo desiderio, coltivato sin dall'infanzia". Ma quando l'uomo la rassicurò e le disse di essere l'apostolo di Cristo, Agata chinò il capo e accettò che su di lei si compisse la volontà di Dio. [...] Il prodigio non tardò: quando l'uomo scomparve nel buio, Agata si accorse che le ferite erano guarite, il suo seno era rifiorito e il suo spirito si era rinvigorito.
Dopo quattro giorni di cella, all'alba del quinto fu condotta in tribunale per la terza volta. Quinziano fu sbalordito e incredulo nel vedere rimarginate le ferite sul corpo di Agata e volle sapere cosa fosse accaduto. Agata gli rispose fiera: "Mi ha fatta guarire Cristo". [...] La stessa presenza di Agata era ormai imbarazzante e Quinziano volle liberarsi di quell'incubo con l'ordine definitivo: "Uccidetela", gridò. Per Agata fu decisa la morte più atroce: un letto di tizzoni ardenti con lamine arroventate e punte infuocate.
L'ordine fu eseguito immediatamente: Agata fu gettata sulle braci, coperta soltanto dal suo velo da sposa di Cristo. Mentre il suo corpo veniva rivoltato sui carboni ardenti e trafitto da punte di ferro e lamine taglienti, la sua anima, che si era conservata pura, ardeva più forte per il Signore. A questo punto, secondo la tradizione si sarebbe verificato un altro miracolo, a testimoniare la chiara santità di Agata: il fuoco, che straziava il suo corpo, non bruciò invece il velo. Per questa ragione il "velo di sant'Agata" diventò da subito una delle reliquie più preziose. Più volte portato in processione di fronte al fuoco delle colate laviche dell'Etna, ha avuto il potere di far arrestare il magma. [...]
La folla dei catanesi che aveva assistito al supplizio di Agata l'accompagnò alle porte del carcere, dove venne condotta agonizzante, e vegliò su di lei negli ultimi istanti prima della morte. Tutti poterono assistere al suo ultimo gemito. Con le poche forze che le erano rimaste, Agata unì le mani in preghiera e, di fronte alla folla commossa, recitò con un filo di voce questa orazione spontanea "Signore, che mi hai creato e custodito fin dalla mia prima infanzia e che nella giovinezza mi hai fatto agire con determinazione, che togliesti da me l'amore terreno, che preservasti il mio corpo dalle contaminazioni degli uomini, ti prego di accogliere ora il mio spirito". Era il 5 febbraio 251.

La "tavola dell'angelo"
I cristiani che avevano assistito al martirio e alla morte di Agata raccolsero con devozione il suo corpo e lo cosparsero di aromi e di oli profumati, come era in uso a quell'epoca. Poi con grande venerazione lo deposero in un sarcofago di pietra, che da allora fino ai nostri giorni è stato sempre oggetto di culto a Catania. Le fonti narrano che, quando il sepolcro ormai stava per essere chiuso, si avvicinò un fanciullo, vestito di seta bianca e seguito da altri cento giovanetti. Presso il capo della vergine depose una tavoletta di marmo, che oggi è una preziosa reliquia custodita nella chiesa di Sant'Agata a Cremona, con l'iscrizione latina "M.S.S.H.D.E.P.L.", che in italiano significa "Mente santa e spontanea, onore a Dio e liberazione della patria". Questa iscrizione, detta anche "elogio dell'angelo", è la sintesi delle caratteristiche della santa catanese ed è anche una solenne promessa di protezione alla città.

Vai a "Vite dei Santi"