Pellegrinaggio Macerata-Loreto 2007: cosa non si fa per la ragazza…
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Capita, prima di partire per la Macerata Loreto, che si sia così annebbiati dagli impegni quotidiani da non riuscire a spiegare bene perché si compia un gesto simile. Così quando una mia collega mi chiede se non sia lo stesso andare a pregare in una chiesa qualsiasi, farfuglio qualcosa di poco comprensibile. La verità è che sto pensando a che tipo di integratori vitaminici devo portarmi dietro e non mi ricordo più dove ho messo la borraccia. Inoltre è prevedibile che piova a dirotto, molto più dell’anno scorso, quando io e una mia amica ci siamo trascinati nella seconda metà della colonna, camminando tra relitti umani che venivano ripescati dalle ambulanze ai lati della strada come annegati di un naufragio. Per cui, quando sabato mattina arrivo davanti a Santa Maria Nascente sono attrezzato a dovere o, almeno credo e il pezzo più importante del mio equipaggiamento è un ombrellino verde alla Giandomenico Fracchia, brutto e fetente ma funzionante.
Che bello! Non so con chi partirò e credo di non conoscere nessuno dei miei compagni di viaggio quando spuntano due medici della mia fraternità di Russia Cristiana. Alleluia! Eppure non è con loro che condividerò il gesto ma con altri che non ho mai visto prima. Il che non mi sorprende, giacché, in queste situazioni, nessuno è estraneo e tutti sono fratelli. Non sono parole di una lingua di legno, ma una consolidata esperienza: quando si compie un gesto simile ci si rende conto che la matrice spirituale è la stessa e, forse, i matti si attirano come i magneti. Ci pensa poi don Carlo a far sì che un pullman riempito casualmente diventi una compagnia: metodo, ordine e disciplina anzitutto, a cominciare dalle soste negli autogrill: “Venti minuti al massimo” e la truppa esegue per arrivare puntuale a Macerata. Sempre don Carlo passa tra i sedili a parlare con tutti, uno per uno. Capirò più tardi che il don avrebbe potuto diventare un leader nel settore del recruiting e della selezione del personale. Al sottoscritto fa tenere una breve relazione sulla storia della Santa Casa, alle ragazze del Berchet arriva l’invito per l’oratorio feriale, a quelli più esperti e tosti tocca guidare il gruppo dei pellegrini… Insomma si comincia a lavorare subito. Il cielo di Macerata è basso come le nostre speranze di un pellegrinaggio all’asciutto: per cui sono necessari tre “Gloria” a San Giuseppe prima di scendere dal pullman.
La vista dello stadio è splendida come sempre. Mentre si accendono le prime luci della sera, le gradinate e il campo si riempiono di popolo e il cielo si svuota di nubi. Ecco, l’accorgersi, dopo un paio d’ore che il pericolo pioggia è quasi scongiurato non può che far riflettere uno scettico come il sottoscritto: però, quel San Giuseppe! Parlano Pezzotta, Magdi Allam e poi altri fino all’omelia del cardinal Bertone. Com’è lontano e improbabile quel frusto stilema dei ragazzi della parrocchietta! Qui ci sono 65.000 persone, uomini e donne, tosti nel cuore più che nel corpo, che cantano e pregano con una serenità e uno slancio feriale, quotidiano, normalissimo. Diceva Giovanni Paolo II che il Rosario è la preghiera più virile e basta guardarci in faccia per capire quanto sia vero tale giudizio. Sarà per questo che le nostre donne, aduse al Rosario, sono così toste?
Comincia la marcia verso Loreto e la gente sciama fuori dallo stadio come acqua da un rubinetto. Il problema tecnico-atletico del pellegrinaggio è che non puoi fare il passo che vorresti ma ti devi adeguare a quello degli altri e questa è, senza alcun dubbio, la fatica più grande. Semplicemente non si può passare attraverso quel muro di schiene che ti sta davanti, anche se cerchi di accelerare il passo. Questa notte, con più forza dell’anno scorso, appare evidente la bellezza del Rosario meditato che accompagna il ritmo del passo mentre si comincia a intaccare le riserve di acqua, merendine e integratori.
Tutti si somigliano ma ogni persona è unica. Così si vedono gruppi di scout, una pattuglia di frati cappuccini, di cui uno gigantesco, giovani, giovanissimi e qualche vecchietta, posseduta da sette spiriti, che tiene un’andatura da stroncare un cammello. Il nostro vessillifero innalza al cielo il glorioso cartello del pullman “Milano 19” e appare totalmente impavido, in pantaloncini e canottiera. E intanto il Rosario continua e nel buio non si riconoscono più i volti, ci perde, ci si ritrova. Forse sarà questo lo spettacolo che vedremo alla fine della Storia, quando tutto sarà svelato e una Donna vestita di sole apparirà nel cielo. Così, pregando e cantando, a volte alla luce dei lampioni e delle fotoelettriche, a volte nel buio della dolcissima campagna marchigiana, un popolo va verso il proprio destino. Si svolta a sinistra e cominciano i fuochi d’artificio, poi la prima salita e la cosiddetta “colazione”. Molti si accalcano attorno ai banchetti, altri tirano dritto perché Loreto è ancora lontana e manca la parte più dura. Gli ultimi sei chilometri sono i peggiori: discese e salite sempre più erte e qualcuno ne fa le spese, patendo cali di zuccheri e di pressione. Sono ormai le cinque. Nella luce dell’alba appare la basilica, così vicina e così lontana, perché i piedi cominciano a protestare e il corpo sta chiedendo al cervello spiegazioni urgenti e dettagliate sul perché ci si sia messi in questa situazione. Arrancando come un alpino alla ritirata di Russia entro in Loreto. Naturalmente accanto a me c’è una vecchietta fresca come un fiore e che cammina come se avesse cominciato cinque minuti prima ma non importa. Arriviamo nella piazza del Santuario e, in lunga processione, sfiliamo davanti al braciere mentre due giovani e robusti fratacchioni intingono le palme nell’acqua benedetta e ci sguazzano con evidente compiacimento. “Tiè, beccati questo!” sembra che dicano. Sono allegrissimi e noi pure ma è una fortuna che i miei piedi non possano dire la propria opinione. La rivedo, finalmente! La navata centrale della basilica e le cancellate delle cappelle, quel ferro battuto ricavato dalle catene degli schiavi liberati a Lepanto. Allo stesso modo siamo portati a deporre le catene delle nostre piccole schiavitù: vizi, meschinità, conformismi. Infine, le Pietre della Santa Casa e, da una tasca dei pantaloni, estraggo le intenzioni, le mie preghiere per tutti coloro che conosco e per il mondo intero e lo consegno. Un ex voto? E cos’erano, allora, quelle croci di stoffa rossa trovate in fondo alla Santa Casa, dopo essere stata ricostruita? Quelle croci, oggi conservate nel museo della Santa Casa, lasciate lì dai crociati che fecero l’impresa di sottrarre la Casa di Nazareth alla distruzione e all’oblìo.
Si ritorna al pullman, zoppicando, un tantino distrutti ma va bene così. Maggiore la fragilità, maggiore è il merito e, mentre mi addormento sul sedile del pullman so cosa rispondere alla mia collega che mi chiedeva il perché. Pregare? Sì. Chiedere decine di grazie? Sì, anche. Però, diciamoci la verità: se tu sapessi che la ragazza più affascinante del Creato ti sta aspettando a 27 chilometri di distanza (e sta aspettando proprio te) e potessi raggiungerla solo a piedi cosa faresti? Non partiresti subito? Così, una volta giunti alla Sua presenza non faresti molti discorsi, solo un “Eccomi. Sono arrivato”. Ah, a proposito, senza una goccia di pioggia: grazie Giuseppe!
Appuntamento al 7 giugno 2008.