Maria nel Teatro 1 - I Miracoli e i Misteri

Autore:
Tarallo, Antonio
Fonte:
CulturaCattolica.it
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La scena è ampia. Siamo a Cana, in Galilea. Gran festa, un matrimonio celebrato da poco. Invitati, gran vociare, danze, colori e voci di vesti splendenti che vorticosamente dipingono un quadro lieto e giocondo. A un certo punto di questa festa ci si accorge che è finito il vino. Come? Come è possibile che manchi il vino? Non c’è festa senza questo “oro rosso”! Impreziosisce la cena. E allora, ecco una donna vicino a Gesù, dire “in poche battute”: “Non hanno più vino”. Quattro parole, nulla di più. Il figlio la guarda, forse (immaginiamolo pure) un po’ di silenzio, e le risponde con tono asciutto: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. Quella donna è Maria, sua madre. Comprende subito. Si avvicina ai servi e… “Fate quello che vi dirà”!
No, non è una scena teatrale, bensì la Parola di Dio. Letta così, potrebbe essere uno splendido inizio di una di quelle opere teatrali (ma sia chiaro, di questo non si tratta!) cariche di pathos. Viene, allora, in mente un quadro di Paolo Veronese del 1563, “Le nozze di Cana”: la scalinata in fondo, la balaustra, colonne a destra e sinistra. Anche Veronese dipinge questo episodio del Vangelo in una sorta di scena teatrale.
C’è lei, Maria. Maria affascina, non c’è che dire. Maria parla. Maria agisce. Maria dovunque si trovi crea attorno a sé una forza, una carica di parole e gesti che rapiscono noi “spettatori”, così come ha rapito – nel corso dei secoli – l’immaginazione di tanti poeti, cineasti, scrittori, drammaturghi che hanno scritto su Lei pagine e pagine di letteratura. Maria vista, scritta, riletta dal Teatro. Iniziamo, allora, questo viaggio tra i diversi autori che ci hanno parlato di lei, cercando di capire prima di tutto cosa voglia dire “teatro”. In questo ci aiutano i greci! Teatro, infatti, deriva dal verbo greco θεαομαι, ossia "vedo”. Un “vedere” ciò che ci circonda. Una visione, quindi, delle “cose”, dei “fatti”, delle relazioni tra gli Uomini. E la Fede oltre a essere un percorso personale, non è forse un “vedere” il Tutto sotto uno sguardo “diverso”? Ecco spiegato, forse, il perché i due termini possono ritenersi connessi fra loro. Ma non solo. Altro punto di convergenza tra Teatro e Fede è: rendere “visibile” l’”Invisibile”, ciò che non si vede. Un’emozione, uno stato d’animo di un personaggio – sulla scena – viene reso “concreto” con un gesto, una parola, qualcosa che si vede e si sente. E nella Fede, quale “personaggio” meglio di Maria può incarnare (il verbo mi sembra il più appropriato) questo fascino dell’invisibile nel visibile? Dio è divenuto carne, quindi tangibile, proprio grazie a lei. E, allora, in questo modo, ci piace vedere dietro le quinte (le tavole che nascondono ciò che è dietro la scena) di un immaginario “palcoscenico di Fede” l’azione di Maria. Maria che nella vita di Gesù, Maria che nella nostra vita, agisce. Ma rimane sempre nascosta. Il Teatro che ha voluto trattare la sua figura, invece la mette al centro della scena, la fa “apparire” in tutta la sua bellezza umana e divina, sotto bagliori estremi di luce. Tutti i riflettori sono puntati su lei.
Mettiamoci, dunque, comodi in poltrona, ecco…silenzio, si apre il sipario!

Il XV secolo vede fiorire nel panorama scenico i “drammi liturgici” o “drammi religiosi”, derivati proprio dalla liturgia dell’epoca, e non poteva certo mancare Maria. Il suo nome è stato legato a una speciale tipologia di rappresentazione, chiamata “Miracoli”. L’oggetto di questa scrittura teatrale furono proprio i miracoli che la Beata Vergine aveva compiuto in quell’epoca. Ci sono pervenuti quarantadue esempi di questi componimenti drammatici, in cui la Madonna salva o consola – attraverso interventi soprannaturali – gli innocenti e i provati dal dolore o da ogni sorta di sofferenza.
Storie di peccatori che trovano in Lei via di redenzione o, di quando la misericordia della Vergine risparmia dalla pena capitale – ad esempio, nel dramma “Frau Jetten” del 1480 – una donna ambiziosa che voleva ricoprire alte cariche ecclesiastiche e che, una volta scoperta per i suoi intrighi, era stata ormai condannata a morte. Possiamo bene immaginare quanto questa narrazione potesse colpire il pubblico di fedeli! Poche erano le persone che sapevano leggere e scrivere, e così – attraverso le voci, i costumi, gli scenari del Teatro – venivano a conoscenza di tanti episodi che sarebbero rimasti nascosti ai più. Purtroppo ci sono sconosciuti i nomi degli autori.
Ma non solo “Miracoli”. Il XV secolo – periodo così fiorente per il teatro sacro – è stato anche il secolo dei “Misteri”, altro filone di rappresentazioni sacre. I dialoghi erano scritti per un pubblico molto vasto e raccontavano storie e leggende che la credenza popolare avevano nutrito. Le rappresentazioni prevedevano soggetti dove il reale e il sovrannaturale si mischiavano, temi tratti soprattutto dalla Bibbia. Il più noto? La Passione di Cristo. Una testimonianza importante di questa, la troviamo nella cosiddetta Passione di Valanciennes, in cui Maria occupa un ruolo importante: in questa rappresentazione, infatti, convivono la casa della Madonna per l’Annunciazione, il Tempio della Presentazione, il Palazzo di Erode, il Paradiso e l’Inferno. Un testo, potremmo dire, diverso dagl’altri: “al posto” della canonica Passione dei Vangeli, ci troviamo di fronte a una sequela originale di episodi. Certamente da evidenziare quello “spazio scenico” della Casa di Nazareth, dichiaratamente simbolica! In Spagna abbiamo i Misteri d'Elx: una rappresentazione teatrale lirico-religiosa, divisa in due atti, riguardo la morte, assunzione e incoronazione della Vergine Maria. Curiosità?! Se qualcuno capitasse in vacanza nella città spagnola di Elche, può ancora assistere a questa rappresentazione che si perpetua ogni anno, il 14 e 15 di agosto. I costumi sono bellissimi, davvero di grande effetto!
Un capitolo a parte merita la “Donna de paradiso” di Jacopone da Todi, religioso e poeta italiano del Medioevo. Il genere letterario è la lauda – lode, canzone sacra in lingua volgare – che in Jacopone diventa qualcosa di più. Diviene un vero e proprio dialogo teatrale. La situazione “scenica” di “Donna de paradiso” è quella del Golgota. Ecco i personaggi: Cristo in croce; Maria ai suoi piedi; il popolo e il nunzio fedele (San Giovanni apostolo).
Guardiamo Maria. Eccola in tutta la sua umanità. Non è lontana, ma è vicina ad ogni madre che disperatamente assiste alla morte del figlio, sapendo della sua innocenza.
Quanta drammaticità racchiude la ripetizione di quel “Figlio”. Siamo al punto estremo dell’esistenza terrena dei due protagonisti, Maria e Gesù: “Figlio, l'alma t'è 'scita,/ figlio de la smarrita,/ figlio de la sparita,/ figlio attossecato!/ Figlio bianco e vermiglio,/ figlio senza simiglio,/ figlio, a chi m'apiglio?/ Figlio, pur m'hai lassato!/ Figlio bianco e biondo,/ figlio volto iocondo,/ figlio, per che t'ha 'l mondo,/ figlio, così sprezzato?[...]”. Riecheggiano in questi versi le lagrime dello “Stabat mater dolorosa” che si ascolta nella Liturgia Quaresimale. E’ tutta la vicenda umana a prendere il personaggio di Maria. Qualsiasi donna può ritrovarsi nel suo dolore. Questa, la grande novità di Jacopone! Assistiamo a una concezione diversa della madre di Cristo: non è più la donna irraggiungibile che abbiamo visto precedentemente nei “Miracoli”, non ha quasi nulla di soprannaturale. Ora è nella sua umanità piena. Quella stessa umanità – vedremo, nella puntata seguente – che ha influenzato gli autori teatrali che, in seguito, si sono confrontati con la sua figura.