La Sacra Scrittura non può essere testo di catechismo
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Le coordinate fondamentali del messaggio che Benedetto XVI va proponendo alla Chiesa nel cammino di fede e ragione sono in questi tre testi: L’enciclica “Deus caritas est”, il discorso alla curia romana del 22 settembre sull’interpretazione del Concilio Vaticano II e la “splendida” prolusione di Ratisbona.
Nella sua prima enciclica al n. 1 riafferma che la fede cristiana è prioritariamente un’esperienza che coinvolge tutta la persona, l’io umano, che contemporaneamente e originariamente sente, intende, vuole, un’incontro attraverso la via umana dei suoi con Cristo crocefisso e risorto cioè con la Verità e la Vita non si può trasmetterla solo come un insegnamento. “Abbiamo creduto all’amore di Dio – così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”.
Ed è questo che il rinnovamento conciliare di fronte a un intellettualismo, a un idealismo nella prassi pastorale ha voluto riaffermare: il percorso di intelligenza della fede o catechesi (fede e ragione) ha il suo punto di partenza nella testimonianza personale di Dio dal volto umano in Gesù Cristo che si rivela attraverso la mediazione sacramentale di vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidati (la famiglia, nuove comunità in movimenti d’ambiente, territorialmente la parrocchia, la diocesi). La fede ci giunge attraverso l’udito, mediante l’ascolto della parola di Dio che illumina interiormente la ragione, strumento dato da Dio per cogliere la verità, rendendola capace di comprendere, in qualche modo, ciò che giunge a credere. E il percorso che alimenta continuamente l’intelligenza dell’incontro all’inizio della consapevolezza del nuovo orizzonte e della direzione decisiva dell’essere cristiano perché possa riaccadere continuamente fino al momento terminale della vita, è la continua catechesi o formazione permanente. Lo stesso avvenimento di fede che accoglie la verità rivelata su chi è Dio dal volto umano in Gesù Cristo e chi è ogni io, figlio nel Figlio fin dal Battesimo, dalla Cresima (auditus fidei) suscita il desiderio di progredire nella sua intelligenza (intellectus fidei). La fede, in effetti, cerca continuamente l’intelligenza, quella seconda ala che presuppone la prima ala, la fede, affinché lo spirito umano possa innalzarsi verso la contemplazione della verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza sul senso della vita. La verità rivelata, pur trascendendo la ragione umana, è in armonia con essa. La ragione, essendo orientata alla verità, con la luce della fede è in grado di penetrare il significato della rivelazione. Contro l’opinione di alcune correnti filosofiche che autolimitano la ragione, molto diffuse tra noi, anche tra teologi e quindi tra pastori, tra catechisti, dobbiamo riconoscere la capacità che possiede la ragione di raggiungere la verità, come pure la sua capacità metafisica di conoscere Dio cioè la Verità a partire dal creato. In un mondo che spesso ha perso la speranza di poter cercare la verità, il messaggio di Cristo ricorda le possibilità originaria a disposizione della ragione umana. In tempi di grave crisi per la ragione, la fede viene in suo aiuto e si fa suo avvocato.
E Benedetto XVI a Ratisbona ha presentato l’urgenza, anche per il dialogo con l’Islam e con le altre religioni, con tutti gli uomini, di integrare nella catechesi esperienza e intelligenza di fede, per cui il catechista è, deve essere anche un maestro di dottrina. Tutti i genitori sono, devono essere testimoni della fede per trasmetterla, ma non è necessario che siano maestri di dottrina cioè catechisti. Non si può accettare ciò che oggi sembra essere diventato un nuovo “dogma” e cioè che la religione in genere ed in particolare quella cristiana non abbia alcuna connotazione veritativa e quindi dottrinale. In una preziosa relazione al Congresso Diocesano Catechisti del cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, dal titolo Il catechista è – deve essere un maestro riporta queste difficoltà per integrare esperienza e intelligenza della fede: “Chiederci cioè se una religione è vera o falsa; se ciò che dice una religione è vero o falso, è chiedersi… di che colore è una sinfonia di Mozart: è una domanda priva di senso. La proposta religiosa non mi fa conoscere nulla; essa non si rivolge alla ragione. Ne deriva che in ordine al culto che l’uomo deve a Dio, è completamente irrilevante ciò che pensa di Dio; quindi una religione vale l’altra. Il criterio discriminante fra loro non è: “vero-falso”, ma eventualmente la loro funzione psicologica o sociale”. Il cardinale Caffarra annota: “Avevo già scritto questo testo, quando il Santo Padre pronunciò il suo mirabile discorso all’Università di Regensburg, nel quale affronta queste tematiche”. “A questo punto – il Papa a Ratisbona – si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: “In principio era il logos”…Dio agisce con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la sintesi. In principio era il logos,e il logos è Dio, ci dice l’evangelista. L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!” (At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco”.
Ma chi sostiene che nell’attuale contesto il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica, propone una “terza deellenizzazione”. “In considerazione – sempre Benedetto XVI a Ratisbona – dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste avrebbero il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi”.
Ma questo metodo continua in tutta la Tradizione nella quale la Chiesa è stata consapevole fin dall’inizio che la Divina Rivelazione doveva articolarsi in un insieme ordinato di proposizioni. “E’ da questa esigenza – osserva il cardinale Caffarra – che ben presto cominciarono i simboli della fede”. E cita le ragioni portate da san Tommaso, su cui si fonda il Catechismo della Chiesa cattolica e il Compendio: “Nessuno può credere se non gli viene proposta la verità a cui credere. Fu pertanto necessario che la verità della fede fosse raccolta in una formulazione unitaria, così che più facilmente potesse essere proposta a tutti e nessuno per ignoranza perdesse la fede. Da questo insieme di proposizioni di fede prende nome il simbolo” (2,2,q.1,a.9). In questa logica è proposto il Compendio a domande e risposte. E’ del tutto estraneo alla Tradizione della Chiesa che si adotti come testo di catechismo la Sacra Scrittura.
Pastoralmente resta la difficoltà più grande e cioè, come osserva Caffarra, “l’incapacità (non originaria ma indotta) dei ragazzi (e non solo loro) a far uso della propria ragione. Sono sempre più convinto che la malattia più grave di cui soffre l’uomo oggi è quella che ha colpito la sua ragione: è la ragione ad essere ammalata. E’ questa una cosa terribile di cui non è facile rendersi conto. Ma non possiamo rassegnarci; una ragione ammalata è incapace di vedere. Da parte nostra, con grande pazienza, passo dopo passo, ci è chiesto di aiutare il bambino, il ragazzo, il giovane a godere della verità. Non si può vivere la propria fede come emozione, come impegno solamente. Essa è anche sguardo, conoscenza della persona amata”. Bene il rinnovamento catechetico alla luce del Concilio con la priorità dell’esperienza di fede nell’incontro con la presenza di Gesù Cristo, crocifisso risorto, tra i suoi per tutti ma occorre anche l’intelligenza, la dottrina e oggi i catechisti sembrano non essere equipaggiati. Mons. Giussani quanto a livello esistenziale ha accentuato l’importanza dell’avvenimento, dell’incontro ma anche, perché questo possa continuamente riaccadere, del percorso dell’intelligenza della fede o scuola di comunità.
Parlando alla Commissione teologica internazionale, il Papa ha sottolineato la “bella vocazione” del teologo e il suo servizio alla Chiesa per arrivare all’intelligenza della Parola di Dio, al credere alla verità e all’amore con la sola forza della verità e dell’amore, evitando il rischio di “parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinioni comuni, è considerato una specie di prostituzione della parola e dell’anima”.