La forza della ragione
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“…ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo l’amore “sorpassa” la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (…) tuttavia esso rimane l’amore del Dio-logos, per cui il culto cristiano è (…) un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione”.
Il cardinale Ruini ha detto lunedì 18 settembre al direttivo dei Vescovi italiani che “le coordinate fondamentali” del messaggio che Benedetto XVI va proponendo alla Chiesa e al mondo sono in questi tre testi: l’enciclica “Deus Caritas est”, il discorso alla curia romana del 22 settembre 2005 sull’interpretazione del Concilio Vaticano II e, ultima ma non meno importante e significativa, la “splendida” prolusione di Ratisbona che fa pensare molto teologicamente e pastoralmente per chi cattolico crede non in un dio qualsiasi ma nel Dio umano di Gesù Cristo come la Chiesa lo propone nel Catechismo e per chi, di altra confessione, religione o non credente, ha fiducia prioritariamente nella comune forza della ragione anziché porre al primo posto le ragioni della forza, del potere o dell’opportunità politica, dell’utile.
Giustamente Sandro Magister, sull’Espresso del 28 ottobre 2006 osserva: “La citazione fatta a Ratisbona dei “Dialoghi con un maomettano” scritti alla fine del Trecento dal dialogante cristiano, l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, l’aveva scelto a ragion veduta. Si è in guerra, Costantinopoli è sotto assedio e di lì a mezzo secolo, nel 1453, sarebbe caduta sotto il dominio ottomano. Ma il colto imperatore cristiano porta il suo interlocutore di Persia sul terreno della verità, della ragione, della legge, della violenza, su ciò che fa la vera differenza tra la fede cristiana e l’Islam, sulle questioni capitali da cui discendono la guerra o la pace tra le due civiltà.
Anche i tempi attuali – secondo Magister – papa Ratzinger li vede come gravidi di guerra, e di guerra santa. Ma chiede all’Islam di fissare esso stesso un limite alla “jihad”. Propone ai musulmani di slegare la violenza dalla fede, come prescritto dalla stesso Corano. E di riallacciare invece alla fede la ragione, perché “agire contro la ragione è in contraddizione con la natura di Dio”. A Ratisbona il papa ha esaltato la grandezza della filosofia greca, quella di Aristotele e Platone, (il metodo socratico di sfidare gli ascoltatori con delle domande); ha mostrato che essa è parte integrante della fede biblica e cristiana nel Dio che è “Logos”, (un Logos Amore, ma sempre Logos). E anche questo l’ha fatto a ragion veduta. Quando il Paleologo dialogava con il suo interlocutore persiano, la cultura islamica era da poco fuoriuscita dal suo periodo più felice, quello dell’innesto della filosofia greca sul tronco delle fede coranica. Chiedendo oggi all’Islam di riaccendere il lume della ragione aristotelica, Benedetto XVI non chiede l’impossibile. L’Islam ha avuto il suo Averroè, il grande commentatore arabo di Aristotele di cui fece tesoro un gigante della teologia cattolica come Tommaso d’Aquino. Un ritorno, oggi, alla sintesi tra fede e ragione è la sola via perché l’interpretazione islamica del Corano si liberi dalla paralisi fondamentalista e dall’ossessione della “jihad”. E’ il solo terreno per un dialogo veritiero del mondo musulmano con il Cristianesimo e l’Occidente. All’Angelus di domenica 17 settembre, ripreso in diretta anche dalla tv araba Al Jazeera, Benedetto XVI ha detto il suo “rammarico” per come la sua lezione è stata fraintesa. Ha detto di non condividere il passaggio da lui citato di Manuele II Paleologo, secondo il quale nel “nuovo” portato da Maometto “troverai soltanto cose cattive e disumane, come la direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede”. Ma (pur non essendo questo il suo giudizio sull’Islam) non aveva nulla da scusarsi o da ritrattare. La lezione di Ratisbona non è stato per lui un esercizio accademico. Là non ha smesso le vesti del papa per parlare solo la lingua sofisticata del teologo, a un uditorio di specialisti. Il papa e il teologo in lui sono stati un tutt’uno, per tutti”. Questo il giudizio di Sandro Magister.
In questa lezione di Ratisbona il papa sostiene che il dialogo non è prioritariamente una questione politica, di diplomazia ma la ricerca dei fondamenti razionali, comuni a tutti gli esseri umani. E’ una questione di vita, di impegno morale, etico affinché la politica possa realizzare il suo compito di giustizia. Ciò che preoccupa il Vicario di Cristo, e non può non preoccuparlo, è questa “moderna autolimitazione della ragione” che esclude la questione di Dio, facendola apparire come una questione non scientifica o prescientifica. Ancorare kantianamente la fede e la morale esclusivamente alla ragione pratica, negandole l’accesso al tutto della realtà dissolve e la fede, la morale e l’etica. E all’università di Regensburg ha raccontato un fatto molto significativo: “Il Magnifico Rettore, ha accennato poco fa all’esperienza, cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo sull’unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L’università, senza dubbio, era fiera delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch’esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del “tutto” dell’universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c’era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell’insieme dell’università, era una convinzione indiscussa”.
Proprio alla luce del Concilio Vaticano II Benedetto XVI spinge socraticamente la ragione moderna, come si è sviluppata in Occidente, a fare un’autocritica partendo dall’interno, come ha chiesto ai cattolici, ai musulmani e alle altre religioni, sull’esempio di Socrate che non vuole predicare o fare sermoni agli altri, ma sfidare i suoi ascoltatori con delle domande su ogni ambito: sull’immortalità dell’anima, la metempsicosi, la natura di Dio, il ruolo della ragione nell’universo.
Secondo i “moderni sostenitori dell’autolimitazione della ragione”, l’etica, la religione e Dio non rientrano nel campo dell’indagine e quindi tutte le fedi religiose sarebbero irrazionali, tutti i sistemi etici, ugualmente inverificabili, tutti i concetti di Dio escludono ogni possibilità di critica razionale. E il Papa invita la stessa ragione moderna ad una autocritica per poter ragionare in modo appropriato e perché tutti possano sperare di vivere una vita degna di essere vissuta.