La fede viene in aiuto della ragione
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“In un mondo segnato dal relativismo, e che troppo spesso esclude la trascendenza dall’universalità della ragione, abbiamo assolutamente bisogno d’un dialogo autentico tra le religioni e tra le culture, un dialogo in grado di aiutarci a superare insieme tutte le tensioni in uno spirito di proficua intesa” (Discorso di Benedetto XVI ad Ambasciatori dei paesi a maggioranza mussulmana e ad alcuni esponenti delle comunità musulmane in Italia di lunedì 25 settembre 2006).
In questo discorso citato Benedetto XVI ha voluto riaffermare la Magna Charta del Concilio Vaticano II per il dialogo islamico-cristiano: “La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini”. Dichiarando di porsi decisamente in questa prospettiva richiama quello detto a Colonia il 23 agosto 2005: “Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta del momento. Si tratta effettivamente di una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il futuro”.
E richiamando ancora il Concilio, “sebbene, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e mussulmani, il sacro Sinodo esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Nostra Aetate 3).
In continuità con Giovanni Paolo II a Casablanca, in Marocco 1985 afferma che “il rispetto e il dialogo richiedono reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e particolarmente la libertà religiosa. Esse favoriscono la pace e l’intesa tra i popoli”.
Questo è il dialogo con l’Islam a livello di Stato politico e civile della religione, della libertà per promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia, i valori morali, la pace.
Ma “ in un mondo segnato dal relativismo – ha pure detto Benedetto XVI -, e che troppo spesso esclude la trascendenza dell’universalità della ragione, abbiamo bisogno di un dialogo autentico tra le religioni e tra le culture, un dialogo in grado di aiutarci a superare insieme tutte le tensioni in uno spirito di proficua intesa”.
E qui il Papa ritorna a richiamare innanzitutto i cattolici perché nel loro argomentare per cogliere l’intelligenza della fede e rendere ragione della loro speranza non abbiano a dimenticare, proprio per aiutare il dialogo con l’Islam, le Religioni e la Modernità, il Dio dal volto umano in Gesù Cristo, intrinsecamente legato alla ragione (al concetto greco di logos). Ritenere fideisticamente che “la volontà di Dio non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza” fa scivolare nell’irrazionalità che una violenza possa apparire giustificata per chi argomenta la volontà di Dio come assoluta. Ed ecco la domanda socraticamente rivolta a tutti: “La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?”
Nella prolusione al Consilio permanente della CEI di lunedì 18 settembre il Cardinal Ruini ha detto “Non possiamo dimenticare, inoltre, quella costante insidia di una “secolarizzazione interna” della Chiesa stessa, che è stata descritta dai vescovi della Spagna in un loro recente documento: essa non deve sorprenderci, sia perché il peccato e l’umana debolezza accompagnano sempre il cammino della Chiesa nella storia, sia perché le spinte a condurre una vita che prescinda da Dio, largamente presenti nella società e nella cultura del nostro tempo, non possono non avere un contraccolpo nella comunità dei credenti”.
La nota pastorale su alcune argomentazioni teologiche non sufficientemente fondate e sulla “apostasia silenziosa da Dio” ha iniziato il suo cammino nel febbraio 2003 ed è stata approvata nel marzo del 2006 con più dei due terzi della Conferenza episcopale spagnola. L’autorità della parola dei vescovi non sta nell’acume teologico, ma nel carisma ricevuto attraverso l’imposizione delle mani. Per portare avanti con competenza questo carisma essi fanno affidamento certamente sul lavoro dei teologi e aloro si rivolgono, pur mantenendo ognuno la propria missione. Evidentemente quando si parla di secolarizzazione non ci si riferisce al senso che ha dato al concetto il Concilio Vaticano II, quello cioè di una legittima autonomia delle realtà temporali (Gaudium et spes n. 36), ma quello di un laicismo belligerante che pretende di bandire Dio dalla vita e dalla persona, relegandolo nella sfera di una coscienza incomunicabile ed è questo aspetto dell’Occidente che fa paura all’Islam. Tutto è avvenuto in collaborazione e con la valutazione molto positiva della Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dall’allora cardinal Ratzinger. E proprio sull’intelligenza e il linguaggio della fede significativi i numeri 14, 15, 16.
14 – La rivelazione di Dio al popolo eletto, con il quale ha stabilito l’alleanza, non è riducibile all’esperienza religiosa soggettiva (…). Conseguentemente, non si può affermare che il linguaggio relativo a Dio sia puramente “simbolico, strutturalmente poetico, immaginativo e figurativo, che esprimerebbe e produrrebbe una determinata esperienza di Dio” senza tuttavia comunicarci chi è Dio. Occorre invece sostenere che la fede si esprime mediante affermazioni che usano un linguaggio vero, non semplicemente approssimativo, benché analogico.
Nella storia non sono mancati coloro che hanno seminato dubbi in relazione alla rivelazione di chi è Dio e di chi è l’uomo e all’intelligenza della fede. Alcuni riconoscono certamente che Dio si è rivelato all’uomo, ma a questi si nega la capacità concreta di accogliere la rivelazione. Altri invocano la sproporzione di accogliere la rivelazione. Altri ancora affermano, che dato il carattere contingente, finito e limitato dell’essere umano, si può accogliere la parola di Dio solo in modo frammentario, parziale e riduttivo. Una rivelazione divina considerata definitiva e piena entrerebbe così in conflitto con la stessa condizione storica dell’essere umano. E quand’anche la rivelazione potesse essere accolta, si dice, non potrà, tuttavia, essere espressa in enunciati concreti, che debbano essere considerati delle verità. Se questo fosse vero, la rivelazione cristiana dovrebbe stare alla pari delle “rivelazioni” presenti in altre religioni o anche nell’ordine stesso della creazione. (…)
15 – (…) La fede, in effetti, cerca l’intelligenza. La verità rivelata, pur trascendendo la ragione umana, è in armonia con essa. La ragione, essendo orientata alla verità, con la luce della fede è in grado di penetrare il significato della rivelazione. Contro l’opinione di alcune correnti filosofiche molto diffuse tra di noi, dobbiamo riconoscere la capacità che possiede la ragione umana di raggiungere la verità, come pure la sua capacità metafisica di conoscere Dio a partire dal creato. In un mondo che spesso ha perso la speranza di poter cercare e trovare la verità, il messaggio di Cristo ricorda la possibilità a disposizione della ragione umana. In tempi di grave crisi per la ragione, la fede viene in suo aiuto e si fa suo avvocato.
16 – La mediazione attraverso una riflessione genuinamente filosofica aiuta la teologia nel dialogo autentico con la cultura di ogni tempo. E’ necessario tener conto “della filosofia e della sapienza dei popoli”, ma lo scambio fecondo tra le culture non deve portare al relativismo né alla negazione del “valore universale del patrimonio filosofico assunto dalla Chiesa”. La filosofia consente di discernere tra le semplici opinioni e la verità obiettiva. La cultura non può mai essere un criterio assoluto di giudizio in relazione alla rivelazione divina. E’ piuttosto la fede che giudica la cultura ed è il Vangelo che conduce le culture alla piena verità Analogamente,non tutta la riflessione filosofica, è compatibile con la rivelazione, tanto meno è valido assumere acriticamente i principi della cultura imperante per attualizzare il sempre nuovo messaggio evangelico”.