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Il tarlo del relativismo

Autore:
Cottini, Giampaolo

Viviamo un'epoca segnata dal relativismo come un modo di concepire la conoscenza e l'azione senza riferimento alla verità. In sostanza – si dice – non esiste un punto di vista più vero di altri, per cui ogni opinione sul piano ideale ed ogni scelta sul piano pratico hanno lo stesso valore di qualunque altra opinione o scelta, poiché non esiste un criterio di valore più forte del semplice constatare la pluralità di posizioni possibili. Ciò viene anche chiamato pluralismo delle opinioni o tolleranza verso ogni comportamento e serve sostanzialmente a giustificare tutto, perché di ogni modo di pensare e di agire si può sempre trovare una ragione, se non altro perché qualcuno lo ha scelto indipendentemente dal suo valore. Dunque il relativismo diventerebbe l'emblema della libertà da qualunque vincolo e perciò il segno distintivo della democrazia come possibilità di esprimere qualsiasi posizione o scelta. Se si intende la libertà come assenza di vincoli, quale migliore cultura di quella che pone a principio di tutto l'assenza di ogni principio?
Ma tutto ciò è realistico? Davvero il relativismo rende più liberi? Ma soprattutto è possibile eliminare l'orizzonte della Verità dalla vita? Francamente è la realtà stessa a smentire questa presunzione, perché l'intelligenza è ricerca di stabilità di un criterio incontrovertibile e non contraddittorio che si possa impiegare per costruire un pensiero o un discorso logico; così come la libertà si muove sempre in base ad un criterio e non si lascia certo trascinare da qualunque istanza. Perciò, volenti o nolenti, il relativismo è nei fatti smentito dall'opzione che ciascuno fa per un criterio assunto come più vero (o almeno più conveniente di altri), rendendo evidente che la sfida è tra differenti assoluti, verso cui ci si muove per trovare un fondamento a tutto, anche se poi la scelta sembra andare verso ciò che risulta più comodo e meno impegnativo.
Lo si vede nella vita quotidiana: il prevalere della reattività immediata, il primato del sentimento o dell'emozione su una valutazione più ragionata, la ricerca di quel che appare più facile o più gratificante dicono che in realtà un criterio viene adottato, benché non lo si sottometta quasi mai a vaglio critico. Pensiamo alla vita delle famiglie, minacciate dalla continua instabilità e fragilità affettiva: se passa il criterio del relativismo, la fedeltà coniugale diventa impossibile perché ci si potrebbe sempre giustificare dentro il fatto che il mutare delle situazioni ed il fluttuare dell'affettività rendono lecito il cambiamento di partner; oppure il relativismo potrebbe giustificare l'assenza di una linea educativa verso i figli, dal momento che nulla potrebbe essere dato come indicazione definitiva perché si dovrebbe seguire l'onda di ogni momento particolare. Ma anche per altre scelte non è vero che si è coerenti con il relativismo: chi, infatti, potrebbe considerare relativo in campo economico guadagnare o perdere dei soldi? Chi riterrebbe indifferente pagare o non pagare più tasse? Tutti riconoscono regole che non sono affatto discutibili e che non possono essere relativizzate. Ma perché assolutizzare regole che potrebbero essere in fondo relative?
Come ben si vede, l'uomo non può vivere praticamente nella totale assenza di riferimenti o nell'indifferenza rispetto ad un assoluto; può invece (ed è ciò che capita comunemente) seguire degli idoli, ossia dei falsi assoluti, che riproducono solo un aspetto (a volte addirittura falso e menzognero) della realtà. E' il tarlo che rode la ragione e corrompe la volontà, indebolendole entrambe. Ma l'uomo vero sa che l'indifferenza non paga, perché tutto spinge a scoprire quell'unico necessario (la Verità) senza cui la vita perde ogni sapore.

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