Per approfondire: Arcanum Divinae Sapientiae
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L’Enciclica che prende il nome di Arcanum Divinae Sapientiae, scritta da Papa Leone XIII nel 1880, è quella in cui il Romano Pontefice tratta il tema del matrimonio cristiano.
Il contenuto di tale opera appare veramente impressionante se si fa un paragone tra quando fu scritta, nell’Ottocento la stragrande maggioranza delle popolazioni occidentali viveva osservando i precetti cristiani (e per tale motivo per i contemporanei del Papa l’Enciclica poteva apparire assai inusuale), e la situazione attuale, in cui le masse sono scristianizzate e conducono l’esistenza nel più completo ateismo e materialismo.
Oggi, infatti, vediamo gli effetti concreti di quelle novità “moderne” che nel XIX secolo il processo rivoluzionario non aveva ancora diffuso capillarmente tra i popoli e rimanevano ancora confinato all’elite politico-sociale dominante.
Come per tante altre questioni, Leone XIII aveva intuito dove si stava incamminando l’umanità e di conseguenza volle tentare di correggere gli errori e mettere in guardia i Cristiani.
Nell’Arcanum Divinae Sapientiae Papa Pecci rimarcò primariamente il fatto che il Cristianesimo aveva portato nel Mondo un divino rinnovamento in favore di un’umanità “consumata dalla vecchiaia”.
“L’arcano consiglio della sapienza divina, che il Salvatore degli uomini Gesù Cristo doveva compiere sulla terra, mirava appunto a questo: che Egli, per sé ed in sé, rinnovasse prodigiosamente il mondo, quasi consunto della vecchiaia. Il che espresse in una splendida e magnifica frase l’Apostolo Paolo quando scrisse agli Efesini: “Averci Iddio fatto noto il mistero della sua volontà... di riunire in Cristo tutte le cose, sia quelle che sono nei cieli, sia quelle che sono in terra” (Ef 1,9-10). Infatti, allorché Cristo Signore cominciò ad eseguire il mandato che gli aveva dato il Padre, subito comunicò a tutte le cose una nuova forma e bellezza, dileguandone ogni squallore. Infatti, Egli sanò le ferite che il peccato del primo padre aveva cagionato alla natura umana; riconciliò con Dio tutti gli uomini, per natura figli dell’ira; ricondusse alla luce della verità coloro che erano oppressi dagli errori; riportò ad ogni virtù coloro che erano soggiogati da ogni impudicizia; ed avendo ridonato tutti alla eredità della beatitudine eterna, diede loro la sicura speranza che lo stesso loro corpo mortale e caduco sarebbe stato un giorno partecipe dell’immortalità e della gloria celeste.”
Fino alle soglie dell’Età Contemporanea, prima che il mito del progresso e che il futuro porti sempre ad un miglioramento delle sorti umane, era in realtà opinione comune che l’Età dell’Oro l’uomo l’aveva già vissuta in un remoto passato: Leone XIII così scrivendo andava a screditare la posizione fideistica dei rivoluzionari che propagandavano un sicuro futuro di progresso e di benessere permesso dall’acquisizione delle idee moderne.
Anche sul matrimonio, la voglia di cambiamento venne iniziata dalle idee di alcuni filosofi che, come Tommaso Campanella, avevano teorizzato l’abolizione dell’istituto matrimoniale e la comunanza dei legami affettivi e di sangue. Il matrimonio visto come proprietà privata fu in seguito avversato ferocemente dal marxismo e dal socialismo-rivoluzionario: dopo la Rivoluzione Russa infatti una delle prime decisioni di Lenin fu proprio di emanare una legge che introduceva il divorzio e l’abolizione del matrimonio religioso in favore del matrimonio civile.
Per Leone XIII il vero matrimonio poggia su due pilastri: l’unità-indissolubilità e la perpetuità.
Il matrimonio fin dall’origine è sempre stato indissolubile e la sua unità è stata messa in discussione solo dopo la caduta dei progenitori Adamo ed Eva, con l’entrata del male nel Mondo: esso è un mistero divino ed è sacro, un fatto naturale riconosciuto da tutti i popoli antichi che il Cristianesimo eleva a Sacramento.
“Poiché, sebbene i detrattori della fede cristiana rifuggano dal conoscere la dottrina perpetua della Chiesa intorno a questa materia, e si sforzino da gran tempo di cancellare la memoria di tutte le genti e di tutti i secoli, tuttavia non hanno potuto né estinguere, né diminuire la luce della verità. Rammentiamo a tutti cose note e non dubbie: dopo che Iddio, nel sesto giorno della creazione, formò l’uomo dalla polvere della terra, e gli soffiò nel volto l’alito della vita, volle dargli una compagna che trasse prodigiosamente da un fianco dello stesso uomo addormentato. Con questo il provvidentissimo Iddio intese che quella coppia di coniugi fosse il principio naturale di tutti gli uomini, dal quale cioè dovesse propagarsi il genere umano e, attraverso generazioni mai interrotte, conservarsi nel tempo.”
Il connubio è inoltre un vincolo di carità e uno strumento di santificazione per gli sposi, gli eventuali figli e anche per l’intera società, poiché il matrimonio è fondamento della famiglia che è la prima cellula della società. In esso il marito e la moglie hanno pari diritti e dignità e, contrariamente alla propaganda avversaria, tutela dunque la donna la quale viene così difesa dall’arbitrio e dall’essere considerata un mero oggetto di libidine. Per questo motivo l’introduzione del divorzio espone la donna e la prole al pericolo e all’insicurezza.
“Quella congiunzione dell’uomo e della donna, affinché meglio rispondesse ai sapientissimi consigli di Dio, fin da allora mostrò in sé, come altamente impresse e scolpite, due proprietà principali ed oltremodo nobilissime, cioè l’unità e la perpetuità. Ciò vediamo dichiarato e solennemente ratificato dal Vangelo con la divina autorità di Gesù Cristo, il quale proclamò ai Giudei ed agli Apostoli che il matrimonio, per la sua stessa istituzione, deve essere solamente tra due, ossia tra un uomo e una donna; che dei due si forma come una sola carne, e che il vincolo nuziale, per volere di Dio, è così intimamente e fortemente unito che nessuno tra gli uomini può romperlo o scioglierlo. “Starà congiunto [l’uomo] con la moglie sua, e i due saranno una sola
carne. Pertanto non sono più due, ma una carne sola. Dunque ciò che Iddio ha congiunto l’uomo non separi” (Mt 19,5- 6).Peraltro questa forma di connubio, tanto nobile e sublime, a poco a poco cominciò a corrompersi e a venir meno presso i popoli pagani; e presso la stessa nazione degli Ebrei parve quasi annebbiarsi e oscurarsi. Infatti, presso questi, a proposito delle mogli era comune consuetudine che ad ogni uomo fosse lecito averne più d’una. Successivamente, avendo Mosè, “a cagione della durezza del loro cuore” (Mt 19,8), dato benignamente la facoltà dei ripudi, fu aperta la strada al divorzio. Presso i pagani, poi, sembra cosa appena credibile quanta corruzione e depravazione si concentrassero nelle nozze, soggette al fluttuare degli errori e delle turpissime cupidigie di ciascun popolo. Tutte le genti, più o meno, parvero disimparare la nozione e l’origine vera del matrimonio; e intorno ai connubi dappertutto si promulgavano leggi le quali parevano secondare l’indole dei governi, non quelle richieste dalla natura. I riti solenni, introdotti ad arbitrio dei legislatori, facevano sì che le donne ottenessero il nome onesto di moglie o quello infame di concubina, anzi, si giunse a un punto tale che secondo la volontà dei capi della repubblica si disponeva a chi fosse permesso di contrarre le nozze, e a chi no, dato che le leggi richiedevano molte cose contrarie all’equità e molte a favore dell’ingiustizia. Oltre a ciò, la poligamia, la poliandria, il divorzio furono cagione che il vincolo nuziale si rallentasse di molto.
Esisteva una grandissima confusione nei vicendevoli diritti e doveri dei coniugi, dato che il marito acquistava la proprietà della moglie, e sovente senza nessuna giusta causa ordinava a lei che, ripigliate le cose sue, se ne andasse; egli poi, spinto da una sfrenata ed indomabile libidine, poteva impunemente “scorrazzare per i lupanari in cerca di schiave, come se dalla dignità non dalla volontà dipendesse la colpa” . In così strabocchevole licenza del marito, nulla vi era di più miserando della moglie, abbassata a tanta viltà che quasi veniva considerata soltanto come uno strumento destinato a soddisfare alla libidine od a procreare figli. Né arrossì per il fatto che quelle che erano da collocare per mogli fossero comprate e vendute a somiglianza delle cose corporali , essendo stata data talvolta facoltà al padre o al marito di condannarle all’estremo supplizio di moglie. Una famiglia nata da siffatti connubi era giocoforza considerata come proprietà dello Stato, o come schiava del padre di famiglia , al quale le leggi avevano concesso il potere non solo di effettuare o di sciogliere a suo arbitrio il matrimonio dei figli, ma di esercitare altresì sopra di essi l’immane potere della vita e della morte.”
La sua essenza sacra, rinforzata nel Sacramento cristiano che dà anima e forza al legame coniugale, trasforma il contratto naturale tra uomo e donna riportandolo all’idea originaria della Trinità divina.
“Ma a tanti vizi e a così grandi ignominie, da cui erano inquinati i connubi, vennero infine approntati dal cielo il soccorso e la medicina, in quanto Gesù Cristo, riparatore dell’umana dignità e perfezionatore delle leggi mosaiche, si prese non piccola né ultima cura del matrimonio. Egli infatti nobilitò con la sua presenza le nozze in Cana di Galilea, e con il primo dei suoi prodigi le rese memorabili (Gv 2,1-11), e da quel giorno pare che cominciasse a risplendere una nuova santità nei connubi degli uomini. Poscia richiamò il matrimonio alla nobiltà della prima origine, sia col riprovare i costumi degli Ebrei, che abusavano e del numero delle mogli e della facoltà del ripudio, sia massimamente col prescrivere che nessuno osasse sciogliere ciò che Iddio con perpetuo vincolo di congiunzione aveva legato. Pertanto, avendo confutato le difficoltà che derivavano dalle istituzioni mosaiche, assunta la persona di supremo legislatore, decretò queste cose intorno ai coniugi: “Ora io vi dico che chiunque rimanderà la propria moglie, salvo che per cagione d’adulterio, e ne sposerà un’altra, commette adulterio; e chi sposerà colei che fu ripudiata commette adulterio” (Mt 19,9), cioè che Cristo Signore ha innalzato il matrimonio alla dignità di Sacramento, ed ha contemporaneamente fatto sì che i coniugi, rivestiti e fortificati dalla celeste grazia che i meriti di Lui apportarono, ottenessero la santità nello stesso matrimonio. In questo, conformato mirabilmente all’esempio del suo mistico connubio con la Chiesa, ha perfezionato l’amore naturale , e stretto più fortemente col vincolo della carità divina l’unione, indivisibile per sua stessa natura, del marito e della moglie.”
E’ proprio questo punto, tuttavia, che viene particolarmente preso di mira dai rivoluzionari moderni, il cui scopo è di togliere la sua sacralità e renderlo solo “civile”, ossia soggetto alle leggi mutevoli del consorzio umano, per minare la sua stabilità attraverso l’introduzione dello strumento del divorzio.
Quindi né con la ragione, né con la storia, testimone dei tempi, si arriva a provare che il potere sui matrimoni dei Cristiani sia a buon diritto trasferito nei capi dello Stato. Se in questa materia fu violato l’altrui diritto, nessuno certamente potrà dire che sia stato violato dalla Chiesa. Dio volesse poi che le dottrine dei Naturalisti, piene come sono di falsità e d’ingiustizia, così non fossero anche portatrici di danni e di calamità! Ma è facile conoscere quanta rovina abbiano arrecato i connubi celebrati profanamente, quanta siano per arrecarne alla generale comunità degli uomini.
(…)
Ma poiché al presente piacque dappertutto sostituire il diritto umano al naturale e al divino, cominciò non solo a cancellarsi l’immagine e la nozione nobilissima del matrimonio che la natura aveva impressa e quasi scritta negli animi dei mortali, ma nei medesimi connubi dei cristiani, per colpa degli uomini, fu molto affievolita quella virtù generatrice di grandi beni. Infatti, che cosa di buono possono mai apportare quelle unioni coniugali dalle quali è costretta ad allontanarsi la religione, madre feconda di ogni bene, che alimenta le più grandi virtù, promovendo ed avvalorando ogni eccelsa qualità d’animo generoso e sublime? Quando essa sia allontanata e sia rigettata è inevitabile che le nozze siano fatte schiave della viziosa natura degli uomini e di quelle pessime cupidigie che signoreggiano gli animi, senza che questi trovino altra difesa che quella ben poco efficace della onestà naturale. La molteplice rovina che derivò da questa fonte si diffuse non solo nelle famiglie private, ma nelle intiere comunità. Infatti, rimosso il timore salutare di Dio, e tolto ai miseri il conforto che si trova nella religione cristiana, del quale non esiste uno maggiore, avviene sovente ciò che è troppo facile che accada, cioè che sembrino quasi insopportabili gli obblighi e gli altri pesi del matrimonio. Conseguentemente molti desiderano che sia sciolto quel vincolo che credono dipendere dal diritto umano e dal loro libero arbitrio, nell’ipotesi in cui la diversità dei caratteri, la discordia o la violata fedeltà da parte dell’uno o dell’altro, o il consenso di entrambi, od altri motivi li persuadano che sia necessario scioglierlo. E se per avventura la legge vieta loro di soddisfare alla protervia delle loro voglie, allora gridano che le leggi sono ingiuste, disumane, in piena contraddizione con il diritto di liberi cittadini, e perciò si deve ad ogni modo far sì che, rigettate ed abrogate quelle, si stabilisca con una legge più umana che sono leciti i divorzi.I legislatori poi dei tempi nostri, professandosi fedeli ed ardenti seguaci degli stessi principi di diritto, non possono schermirsi, quand’anche lo volessero, dalla protervia degli uomini che abbiamo detto: quindi è giocoforza cedere ai tempi ed accordare la facoltà dei divorzi. Questo ci viene dimostrato dalla storia.”
Il divorzio non ha quindi donato la libertà agli uomini e alle donne ma, all’opposto, ha innescato la crisi dell’istituto coniugale: tutto è diventato precario, la dignità dello sposo e della sposa viene deformata e sfilacciata, i figli non vengono più tutelati nel loro diritto di crescere in un ambiente stabile e confortevole, la società stessa decade e perde la sua forza motrice.
“Ora, quanta occasione di mali contengano in sé stessi i divorzi, è appena il caso di ricordarlo. Per essi infatti si rendono mutabili le nozze; si diminuisce la mutua benevolenza; si danno pericolosi eccitamenti alla infedeltà; si reca pregiudizio al benessere e all’educazione dei figli; si offre occasione allo scioglimento delle comunità domestiche; si diffondono i semi delle discordie tra le famiglie; si diminuisce e si abbassa la dignità delle donne, le quali, dopo aver servito alla libidine degli uomini, corrono il rischio di rimanere abbandonate. E poiché per distruggere le famiglie e abbattere la potenza dei regni niente ha maggior forza che la corruzione dei costumi, è opportuno conoscere che contro la prosperità delle famiglie e delle nazioni sono funestissimi i divorzi, i quali nascono da depravate consuetudini e, come attesta l’esperienza, aprono l’adito ad una sempre maggiore corruzione del costume pubblico e privato. E questi mali appariranno anche più gravi se si considera che non vi sarà mai alcun freno tanto potente che valga a contenere la licenza entro certi e prestabiliti confini, una volta che sia stata concessa la facoltà dei divorzi. È grande la forza degli esempi; maggiore quella delle passioni. Per tali eccitamenti avverrà certamente che la sfrenata voglia dei divorzi, serpeggiando ogni dì più largamente, invaderà l’animo di moltissimi, simile a morbo che si sparge per contagio, o come torrente che, rotti gli argini, trabocca.”
Appare evidente, in conclusione, che la famiglia fondata sul matrimonio sacramentale sia l’unica scelta disponibile e decisiva per poter ricostruire una società sana, integra e vitale. Questo concetto Papa Leone XIII lo enunciò fortemente nell’ultima parte dell’Enciclica, ribadendo i precetti della Chiesa e riepilogando i punti fondamentali per avere il matrimonio sacramentale, unico connubio valido e lecito agli occhi del Creatore che può dare frutti agli sposi e alla società nonché perpetuare la vita.
“Noi dunque, mossi dalla considerazione di tali cose, come altre volte con la maggior cura, così al presente esortiamo di nuovo caldamente i Principi ad unirsi in buon accordo e in amicizia. Ad essi, con paterna benevolenza Noi per primi porgiamo la destra, offrendo loro il soccorso del Nostro supremo potere, il quale è tanto più necessario in questo tempo in quanto l’autorità sovrana nella opinione degli uomini, come per ferite ricevute, è resa più debole. Essendo gli animi già accesi di licenziosa libertà, e rifiutando con empio ardire il dominio di qualsivoglia autorità, anche la più legittima, la salvezza pubblica richiede che le forze dell’una e dell’altra potestà si uniscano al fine di allontanare i danni che sovrastano non solo sulla Chiesa, ma sulla stessa società civile.
(…)
Adoperatevi al massimo che i popoli conoscano in abbondanza i precetti della sapienza cristiana, ed abbiano sempre fisso nella mente che il matrimonio fu dal principio stabilito non per volontà degli uomini, ma per autorità e volere di Dio, e con questa legge: che sia di uno solo con una sola. Cristo poi, autore della nuova Legge, da ufficio di natura lo ha collocato fra i Sacramenti, e per quel che riguarda il vincolo, ne ha dato alla Chiesa il potere legislativo e giudiziario. In questa materia conviene vigilare diligentemente affinché le menti non siano tratte in errore dalle fallaci argomentazioni degli avversari, i quali vorrebbero che fosse tolto alla Chiesa tale potere. Similmente deve essere chiaro a tutti che se tra i cristiani si contrae l’unione dell’uomo e della donna indipendentemente dal Sacramento, essa manca della natura e dell’efficacia del legittimo matrimonio, e quantunque essa sia stata fatta in modo conforme alle leggi dello Stato, tuttavia non può essere considerata più che un rito od un’usanza introdotta dal diritto civile. Inoltre, dal diritto civile non possono essere ordinate e amministrate se non quelle cose che i matrimoni producono nell’ordine civile, e che ovviamente non possono essere prodotte se non ne esiste la vera e legittima causa, cioè il vincolo nuziale. Certo importa moltissimo che gli sposi conoscano appieno queste cose, le quali debbono essere approvate anche da loro e impresse nei loro animi affinché sia loro consentito in questo caso di uniformarsi alle leggi. La Chiesa non vieta ciò, anzi vuole e desidera che siano completamente salvi gli effetti dei matrimoni, e che non venga cagionato alcun danno ai figli. In tanta confusione poi di giudizi, che vanno crescendo ogni giorno di più, è necessario che sia anche ben conosciuto che lo sciogliere il vincolo del connubio rato e consumato tra cristiani, non è in facoltà di nessuno, e che conseguentemente sono rei di manifesto delitto quei coniugi – se per avventura ve ne fossero alcuni – i quali per qualunque motivo addotto vogliano stringersi in un nuovo vincolo matrimoniale innanzi che per morte resti sciolto il primo. Se le cose giungessero a tal punto che il convivere insieme non sembri più a lungo sopportabile, allora la Chiesa permette che l’uno conduca i suoi giorni separato dall’altro, e cerca con cure e rimedi, da apprestarsi secondo la condizione dei coniugi, di alleggerire i danni della separazione, né avviene mai che ella non s’adoperi o che disperi di ridurre gli animi alla concordia. Questi, per altro, sono i partiti estremi ai quali sarebbe facile non addivenire se gli sposi, non trasportati dalla passione, ma riflettendo in precedenza sia i doveri dei coniugi, sia i motivi nobilissimi dei connubi, si accostassero al matrimonio con ponderata intenzione e non anticipassero le nozze con una serie continuata di turpitudini, sotto lo sdegno di Dio. Per concludere, allora i matrimoni potranno avere una dolce e sicura stabilità, quando attingano lo spirito e la vita dalla virtù della religione, la quale dà grazia d’animo forte ed invitto; e fa sì che si sopportino non solo con rassegnazione, ma con lieto animo, i difetti che possono avere le persone, la diversità dei costumi e delle indoli, il peso delle cure materne, la grave sollecitudine dell’educazione dei figli, i travagli, compagni della vita. Di un’altra cosa si deve ancora avere cura, che cioè non si desiderino con facilità le nozze con persone che non appartengono alla Chiesa cattolica. Infatti si possono nutrire poche speranze che gli animi dissidenti in materia religiosa riescano ad andare d’accordo nel resto. Anzi, che si debba rifuggire da siffatti connubi, si comprende soprattutto per il fatto che essi porgono occasione alla vietata comunanza e partecipazione delle cose sacre, mettono a rischio la religione del coniuge cattolico, sono d’impedimento alla buona istruzione della prole, e troppo spesso inducono gli animi ad assuefarsi a tenere in pari stima tutte le religioni, eliminando ogni differenza tra il vero ed il falso. Infine, ben sapendo che alla Nostra carità nessuno deve rimanere estraneo, raccomandiamo all’autorità, alla tutela e alla pietà Vostra, Venerabili Fratelli, coloro, veramente molto miseri, i quali trascinati dall’ardore delle passioni ed assolutamente dimentichi della propria salute, conducono una vita licenziosa, congiunti in vincolo di nozze non legittime. A richiamare a dovere tali uomini sia rivolta la Vostra sagace solerzia; Voi stessi, direttamente o mediante l’opera di persone dabbene, cercate in tutti i modi che essi sentano di avere operato scandalosamente, si pentano di tanta vergogna e s’inducano a celebrare le vere nozze secondo il rito cattolico. Voi vedete facilmente, Venerabili Fratelli, che questi ammaestramenti e precetti intorno al matrimonio cristiano, che con questa Nostra lettera ritenemmo doveroso comunicarVi, sono di grande utilità non solo per la conservazione della civile comunanza, ma anche per l’eterna salute degli uomini.”