Dio e uomo (1): L'anelito alla redenzione
Solo un "Altro" può saziare le attese e le speranze dell'uomo- Autore:
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1. «Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua perché non abbia sete» (Gv 4,15). La domanda della Samaritana a Gesù esprime, nel suo significato più profondo, il bisogno incolmabile e il desiderio inesauribile dell'uomo. Infatti ogni uomo degno di questo nome si accorge inevitabilmente di una incapacità congenita di rispondere a quel desiderio di verità, di bene e di bellezza che scaturisce dal profondo del suo essere. Man mano che si inoltra nella vita, egli si scopre, proprio come la Samaritana, incapace di spegnere la sete di pienezza che porta dentro di sé.
(...) Le riflessioni di questi incontri saranno sul tema dell'anelito dell'uomo alla Redenzione. L'uomo ha bisogno di un Altro; vive, lo sappia o meno, in attesa di un Altro, che redima questa sua innata incapacità a saziare le sue attese e le sue speranze.
Ma come potrà incontrarsi con lui? Condizione indispensabile per questo incontro risolutivo è che l'uomo prenda coscienza della sete esistenziale che lo affligge e della sua radicale impotenza a spegnerne l'arsura. La via per giungere a tale presa di coscienza è, per l'uomo di oggi come per quello di tutti i tempi, la riflessione sulla propria esperienza. Lo aveva intuito già la saggezza antica. Chi non ricorda la scritta che campeggiava bene in vista sul tempio di Apollo a Delfi? Essa diceva appunto: «Uomo, conosci te stesso». Questo imperativo, espresso in modi e forme diverse anche in più antiche aree di civiltà, ha attraversato la storia e si ripropone con la medesima urgenza anche all'uomo contemporaneo.
Il Vangelo di Giovanni in taluni episodi salienti documenta assai bene come Gesù stesso, nel proporsi quale Inviato del Padre. abbia fatto leva su questa capacità che l'uomo possiede di capire il suo mistero riflettendo sulla propria esperienza. Basti pensare al citato incontro con la Samaritana, ma anche a quelli con Nicodemo, con l'adultera o il cieco nato.
2. Ma come definirla questa esperienza umana profonda che indica all'uomo la strada dell'autentica comprensione di sé? Essa è il paragone continuo tra l'io e il suo destino. La vera esperienza umana avviene solo in quella genuina apertura alla realtà che consente alla persona, intesa come essere singolare e consapevole, carico di potenzialità e di bisogni, capace di aspirazioni e di desideri, di conoscersi nella verità del suo essere.
E quali sono le caratteristiche di una simile esperienza, grazie alla quale l'uomo può affrontare con decisione e serietà il compito del «conosci te stesso», senza perdersi lungo il cammino di tale ricerca? Due sono le condizioni fondamentali che egli dovrà rispettare. Dovrà anzitutto essere appassionato a quel complesso di esigenze, bisogni e desideri che caratterizzano il suo io. In secondo luogo dovrà aprirsi ad un incontro oggettivo con tutta la realtà.
San Paolo non cessa di richiamare ai cristiani queste fondamentali caratteristiche di ogni esperienza umana quando sottolinea con vigore: «Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,23), oppure quando invita i cristiani di Tessalonica a «vagliare ogni cosa e trattenere ciò che è buono» (1Ts 5,21). In questo continuo paragone col reale alla ricerca di ciò che corrisponda o meno al proprio destino, l'uomo fa l'esperienza elementare della verità, quella che dagli Scolastici e da san Tommaso è stata definita in modo mirabile come «adeguazione dell'intelletto alla realtà» (san Tommaso, «De Veritate», q. 1 a. 1).
3. Se per essere vera l'esperienza deve essere integrale e aprire l'uomo alla totalità, si capisce bene dove stia per l'uomo il rischio dell'errore: egli dovrà guardarsi da ogni parzializzazione. Dovrà vincere la tentazione di ridurre l'esperienza, ad esempio, a mere questioni sociologiche o ad elementi esclusivamente psicologici. Così come dovrà temere di scambiare per esperienza schemi e «pregiudizi» che l'ambiente in cui normalmente vive e opera gli propone: pregiudizi tanto più frequenti e rischiosi oggi perché ammantati dal mito della scienza o dalla presunta completezza dell'ideologia.
Come è difficile per l'uomo di oggi approdare alla sicura spiaggia della genuina esperienza di sé, quella nella quale gli si può adombrare il vero senso del suo destino! egli è continuamente insidiato dal rischio di cedere a quegli errori di prospettiva che, facendogli dimenticare la sua natura di «essere» fatto ad immagine di Dio, lo lasciano poi nella più desolante delle disperazioni o, che è ancora peggio, nel più inattaccabile cinismo.
Alla luce di queste riflessioni quanto appare liberante la frase pronunciata dalla Samaritana: «Signore... dammi di quest'acqua perché non abbia più sete...» Veramente essa vale per ogni uomo, anzi a ben vedere è una profonda discrezione della sua stessa natura. Infatti l'uomo che affronta seriamente se stesso e osserva con occhio chiaro la sua esperienza secondo i criteri che abbiamo esposti, si scopre più o meno consapevolmente come un essere a un tempo carico di bisogni, cui non sa trovare risposta, e attraversato da un desiderio, da una sete di realizzazione di sé, che non è capace, da solo, di appagare.
L'uomo si scopre così collocato dalla sua stessa natura nell'atteggiamento di attesa di un Altro che completi la sua mancanza. Un'inquietudine pervade in ogni momento la sua esistenza, come suggerisce Agostino all'inizio delle sue Confessioni (I, 1): «Ci hai fatti per te, o Signore, ed è inquieto il nostro cuore finché non riposa in te». L'uomo, prendendo sul serio la sua umanità, percepisce di essere in una situazione di impotenza strutturale!
Cristo è Colui che lo salva. Egli solo può toglierlo da questa situazione di stallo, colmando la sete esistenziale che lo tormenta.