Come la Chiesa fa (vera) la politica

Autore:
Colombo, don Roberto
Fonte:
Tempi n. 14 - 30.03.2006
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La politica è la forma piena della cultura, perché tende idealmente ad abbracciare tutto (la polis) nel suo sguardo. Le differenze politiche, prima che essere programmatiche, sono differenze culturali. Al centro della cultura sta la concezione dell’uomo, che detta ogni suo pensiero e ogni sua azione, anche quella politica. Nel 1980, parlando all’Unesco, Giovanni Paolo II ricordò che la «cultura si situa sempre in relazione essenziale e necessaria a ciò che è l’uomo». C’è chi considera «l’uomo integrale, l’uomo tutto intero, in tutta la verità della sua oggettività spirituale e corporale», come ebbe mirabilmente a sintetizzare il Papa, e chi riduce l’uomo ai suoi bisogni contingenti e la società a cassa di risonanza di chi li porta sulle piazze. La nostra vita ha delle necessità, ma esse sono necessità dell’uomo proprio perché l’uomo vive, perché la sua vita è più grande di esse.
La proposta politica è oggi dominata, nei casi migliori, dal tentativo di rispondere ai bisogni delle diverse categorie di cittadini: sposati o conviventi, single, studenti, professori, lavoratori dipendenti, imprenditori, pensionati e altri ancora. In un regime di “mercato politico”, la formula vincente sembra essere quella di un elevato rapporto tra offerta e domanda di contributi normativi, economici e sociali allo sviluppo del benessere individuale e collettivo. Ma l’uomo non è riducibile a un fascio di bisogni e la società non è solo il bacino collettore di questi bisogni. L’uomo è bisognoso ma è ben più dei suoi bisogni. C’è in lui dell’altro, che si chiama desiderio. Desiderio di bene, di bellezza, di verità e di felicità, e non solo bisogno di prezzi calmierati, di “mani pulite”, di “par condicio” e di intrattenimenti. La politica non può essere la risposta al desiderio dell’uomo (essa ne è essenzialmente incapace: l’uomo è capax Dei, non capax hominis), ma non può nemmeno censurarlo o osteggiarlo. L’azione politica deve creare le condizioni perché il desiderio dell’uomo si possa affermare nella società, possa crescere e trovare il suo compimento: questo è lo spazio della vita e della libertà religiosa, di educazione, di cura della salute, di associazione, di iniziativa operosa. Per questo la Chiesa ha sempre difeso e tuttora pone al centro del suo magistero sociale la vita umana, la famiglia come primo luogo di accoglienza della vita e di educazione, la libertà di espressione del senso religioso e il principio di sussidiarietà dello Stato.
Come Benedetto XVI ha lucidamente ricordato nella sua prima enciclica, il compito della Chiesa è «la purificazione della ragione [.] affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili». E la giustizia sociale coincide con la possibilità di custodire e promuovere il bene dell’uomo, non solo il benessere dei cittadini. Per questo i vescovi hanno richiamato alla «salvaguardia del primato e della centralità della persona umana». Il bene più grande che Dio ha donato all’uomo è la sua vita e la sua libertà, cioè la sua persona. E la famiglia è il luogo in cui la vita umana nasce e la libertà dei figli viene educata. Senza la famiglia, l’inizio e la cura della vita del figlio sono affidate all’arbitrio dell’uomo e della donna o al potere della biomedicina.