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Non giochiamo con le parole. A proposito della «Rete di Trieste»

Fonte:
CulturaCattolica.it ©
«Nelle società democratiche tutte le proposte sono discusse e vagliate liberamente. Coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero vedere nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza un segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità di agire in politica coerentemente alle proprie convinzioni riguardanti il bene comune, incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo»
La Vita Cattolica

Non giochiamo con le parole. Non mi pare che quanto affermato da Papa Francesco a Trieste sia compatibile con quanto Mons. Renna ha detto a proposito della Rete che si è formata a Trieste tra i vari responsabili della politica: «Ci sarebbe da aggiungere il tema della vita, ma il percorso è aperto. In questo momento questa Rete è soprattutto un segnale positivo di partecipazione, in modo inclusivo e non divisivo» e così continua l’articolo di La vita Cattolica: “In particolare, ed ecco gli argomenti, la «Rete di Trieste» si rivede in alcune priorità: «giustizia sociale e innovazione del welfare, sostenibilità ambientale, centralità delle famiglie e della scuola, accoglienza e integrazione, cura e valorizzazione degli strumenti di partecipazione alla vita democratica»“.
La questione della vita è un fattore imprescindibile per un cristiano, soprattutto se si impegna in politica. Non credo che l’Evangelium vitae sia un documento opzionale né divisivo. E, se divide, la farà come tra il grano e la zizzannia, o come tra il bene e il male.
«Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura… L’esito al quale si perviene è drammatico: se è quanto mai grave e inquietante il fenomeno dell’eliminazione di tante vite umane nascenti o sulla via del tramonto, non meno grave e inquietante è il fatto che la stessa coscienza, quasi ottenebrata da così vasti condizionamenti, fatica sempre più a percepire la distinzione tra il bene e il male in ciò che tocca lo stesso fondamentale valore della vita umana… Fra tutti i delitti che l’uomo può compiere contro la vita, l’aborto procurato presenta caratteristiche che lo rendono particolarmente grave e deprecabile. Il Concilio Vaticano II lo definisce, insieme all’infanticidio, «delitto abominevole».
Ma oggi, nella coscienza di molti, la percezione della sua gravità è andata progressivamente oscurandosi. L’accettazione dell’aborto nella mentalità, nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di una pericolosissima crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere tra il bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita. Di fronte a una così grave situazione, occorre più che mai il coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla tentazione di autoinganno…

In realtà, la democrazia non può essere mitizzata fino a farne un surrogato della moralità o un toccasana dell’immoralità. Fondamentalmente, essa è un «ordinamento» e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere «morale» non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve. Se oggi si registra un consenso pressoché universale sul valore della democrazia, ciò va considerato un positivo «segno dei tempi», come anche il Magistero della Chiesa ha più volte rilevato. Ma il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove: fondamentali e imprescindibili sono certamente la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti intangibili e inalienabili, nonché l’assunzione del «bene comune» come fine e criterio regolativo della vita politica…

Per illuminare questa difficile questione morale occorre richiamare i principi generali sulla cooperazione ad azioni cattive. I cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Infatti, dal punto di vista morale, non è mai lecito cooperare formalmente al male. Tale cooperazione si verifica quando l’azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell’intenzione immorale dell’agente principale. Questa cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede: per gli atti che ciascuno personalmente compie esiste, infatti, una responsabilità morale a cui nessuno può mai sottrarsi e sulla quale ciascuno sarà giudicato da Dio stesso.

Rifiutarsi di partecipare a commettere un’ingiustizia è non solo un dovere morale, ma è anche un diritto umano basilare. Se così non fosse, la persona umana sarebbe costretta a compiere un’azione intrinsecamente incompatibile con la sua dignità e in tal modo la sua stessa libertà, il cui senso e fine autentici risiedono nell’orientamento al vero e al bene, ne sarebbe radicalmente compromessa.”

Per concludere, credo che il ripassare l’insegnamento della Chiesa, in tutta la sua estensione, sia un dovere dei cristiani e compito precipuo dei pastori.
Leggo ancora le osservazioni di Mons. Renna: “Terzo impegno, per superare i nodi che inevitabilmente attendono una rete fatta di soggetti differenti, è quello di «fare del magistero sociale di papa Francesco l’elemento unificante per l’impegno dei cattolici in politica»“
Certo, è importante il Magistero di Papa Francesco, senza però dimenticare che noi cattolici abbiamo una concezione differente rispetto ai «fratelli mussulmani». Mentre per loro vale il principio della «abrogazione»* (per cui quello che viene dopo nel Corano modifica o addirittura cancella il precedente), per noi la fedeltà alla tradizione della Chiesa è un principio irrinunciabile. Questo vuole dire che la Dottrina Sociale della Chiesa ha un valore che aiuta a leggere il presente, valorizzando ma non dimenticando tutta la storia che ci ha portato all’oggi. Per questo le parole sopra riportate di Evangelium Vitae non sono abrogabili o un optional per chi si impegna in politica.

*Naskh (abrogazione) è una dottrina islamica (al-nasikh wa’l-mansukh) “teoria dell’abrogante e dell’abrogato”, utilizzata nell’esegesi coranica per armonizzare i passi contraddittori del Corano. Essa sostiene che i versetti che Allah avrebbe rivelato a Maometto in un secondo tempo avrebbero sostituito quelli rivelati in un primo tempo. La dottrina si appoggia in particolare su alcuni versi coranici:
«Non abroghiamo un versetto, né te lo facciamo dimenticare, senza dartene uno migliore o uguale. Non lo sai che Allah è Onnipotente?» (Corano 2,106)
«Quando sostituiamo un versetto con un altro - e Allah ben conosce quello che fa scendere - dicono: “Non sei che un impostore”. La maggior parte di loro nulla conosce.» (Corano 16,101)
Da Wikipedia

L'immagine è tratta da La Vita Cattolica

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