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«Scritto sulla mia pelle»

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Provo a parlarci, con Dio. Gli chiedo semplicemente una mano, ma non succede niente… Mentre esco mi sento uno stupido. Non è servito a niente, ma non sono arrabbiato. Non me la prendo, mi ripeto, con uno che non esiste. Do un’ultima occhiata dentro. C’è un quadro della Madonna con san Giuseppe…
Nelle chiese a volte sembra che tutto sia maledettamente perfetto. Santi che non sbagliano mai, bravi bambini, vecchi che sgranano rosari. Io non sono così. Ho le mani sporche, come questo san Giuseppe. Nel quadro è come se si fosse avvicinato per stare con loro e fare una pausa… E poi c’è lei. Più la guardo, più sembra una della mia età. Non so perché ma mi dà l’idea di essere una che sa cosa vuol dire soffrire. Fissa suo figlio come se fosse la cosa più importante del mondo. E lui la guarda sicuro, come se stando tra le sue braccia tutto tornasse magicamente in ordine…
Vorrei essere quel bambino.
Vorrei essere tuo figlio».
(Pietro Vaghi, Scritto sulla mia pelle)

Mentre nelle orecchie ancora mi ronza il clap-clap mediatico per il divorzio breve, tra ieri e oggi ho letto, tutto d’un fiato, il romanzo d’esordio di Pietro Vaghi. Si intitola Scritto sulla mia pelle, ed è edito da Salani.
L’ho iniziato e finito perché una pagina tira l’altra, ma soprattutto per la storia che narra: la separazione dei genitori (temporanea? definitiva?) raccontata con gli occhi di Stefano, il figlio sedicenne. Un punto di vista straordinario, sia se a leggere il romanzo sono dei ragazzi, che in lui potranno ritrovare le proprie paure, la rabbia, il disorientamento, il senso di impotenza…, sia se ad accostarsi a questa storia sono lettori adulti.
Il protagonista, raccontando di sua madre, maestra, che un giorno se ne è andata di casa, e di suo padre sempre troppo occupato per il lavoro, che prende una sbandata per un’altra donna, ci costringe ad andare a fondo al nostro ruolo di mariti e di mogli, al nostro compito di genitori e di adulti.
Lo sguardo dell’autore alterna sapientemente vicino e lontano: il cuore e la mente di Stefano e del fratellino Paolo, nei grovigli che possiamo immaginare, e poi i pensieri del mondo, la mentalità comune. «Fottitene», gli dice il cugino Giulio. «Loro si fanno la loro vita. Tu la tua. Alla fine ad avere i genitori separati ci guadagni anche. Se ti serve qualcosa chiedi a uno. Se non vuole accontentarti chiedi all’altro. E se non funziona ti incazzi e li metti l’uno contro l’altro».
«E’ come se ci fosse qualcosa che non funziona, come se il mondo fosse malato», pensa Stefano. «Come se qualcuno stesse cercando di fregarmi lasciandomi solo gli avanzi di una bella torta. I miei vanno come vanno, ok. Gli zii, lo stesso… Penso ad altre coppie che conosco. Metà dei genitori della mia classe sono separati. Una è al terzo matrimonio. E per molti di noi l’unica famiglia vera sono gli amici. Deve proprio andare così?... Ma che mondo è?»
Leggi cosa passa nella testa e nel cuore di questo adolescente – esiste l’amore per sempre? – e ti chiedi, allora, se il divorzio breve che ci spacciano come «un grande risultato», non sia, invece, solo un inno alle scorciatoie, pensato per legittimare l’incapacità degli adulti a prendere tempo per guardarsi dentro, per tentare ancora, per cercare di aggiustare ciò che si è rotto. Un colpo di spugna subito, come se i figli non ci fossero, e se anche ci sono (loro, con le loro domande, il loro dramma così ben manifestato in Stefano e in Paolo), se anche ci sono, chi se ne importa.
Oggi, ce lo ricorda Stefano, il mondo pare sottosopra, e gli adulti non sanno più fare gli adulti. «Mi torna in mente quello che ha detto il papà di Elisa. I bambini che salvano i genitori. Il mondo gira alla rovescia. I genitori si lasciano come fossero quindicenni. E noi cosa dovremmo fare?»
Stefano, però, non si lascia plagiare dal pensiero del mondo: la posta in gioco è troppo alta. Sente di dover fare qualcosa per i suoi genitori, per la sua famiglia. «Non sono più un ragazzino. Perché non si fanno aiutare?» Ancora. «Non voglio restare solo. Voglio salvare la mia famiglia, l’ho promesso a Paolo. E chi se ne frega delle statistiche sui divorzi e dei film che portano sfiga». Allora, nelle sue giornate, tutto il resto passa in secondo piano, perché la priorità è, almeno, tentare. E se è vero che all’inizio il giovane protagonista si era lasciato prendere dallo sconforto e dal pessimismo («se neanche i miei ce la fanno, forse allora l’amore, per quel che avevo capito, non esiste. Forse davvero è una cosa d’altri tempi»), poi stringe i denti e prova a fare lui il primo passo, ad avvicinarsi a suo padre. «Per la prima volta nella vita mi sembra fragile. Mi sento più forte io. Posso aiutarlo?». Decide di mandare dei fiori a sua madre, cerca di starle vicino meno distrattamente. «Io credo che in ogni famiglia ci sia sempre qualcuno che ha bisogno di più attenzione. Basta tenere gli occhi aperti. E non c’è niente di male se qualche volta succede a papà o mamma»
E mentre nel cuore monta la marea («mi sembra di avere una cicatrice aperta, storta e sbilenca nella pancia. Come se tutto il mondo dovesse passarci dentro»), comincia a chiedersi se dentro di lui ci sia «un posto in cui riuscire a perdonarlo».
Non è una favola, questa, e a Stefano bollono in testa sentimenti contrastanti (fregarsene e farsi gli affari propri, andarsene di casa, mandarli tutti al diavolo, distrarsi e fare cretinate per fargliela pagare?…). Fa male scoprire che quella che si credeva una famiglia normale, ora sembrano schegge impazzite. «Vorrei raccontare a qualcuno il casino che ho dentro, ma non so con chi farlo», pensa. «Forse dovrei fare come Oscar e la dama in rosa, dove c’è quel bambino che sta morendo e scrive lettere a Dio». Così, un giorno, entra in una chiesa e prova a parlare con Dio, perché il peso è grande, e da soli non ce la si può fare. Pagina dopo pagina, non smette mai di cercare la compagnia degli amici. «Per favore se sto per fare qualche cazzata dimmelo. Perché secondo me contano anche gli amici» (La storia con Elisa, una nuova compagna di classe, la lascio tutta a voi. Non anticipo nulla, gustatevela: sembra storia d’altri tempi. Lei, per Stefano, «è come un minuscolo gioiello, delicatissimo»)
A volte sembra non farcela, sta per gettare la spugna. Ma Elisa, che ha perso la madre per un tumore, lo incoraggia. «I tuoi non sono morti, non mollare».
Non dirò come si conclude la vicenda. Tornerà a casa, sua madre? Sarà capace di perdonare il tradimento? Faranno pace? Si ricomporrà, il nucleo familiare? Non anticipo. Ma consiglio questo libro a giovani e ad adulti, perché una cosa emerge, chiarissima, da queste pagine: la famiglia è un bene prezioso e bisogna cercare di proteggerla e di difenderla a tutti i costi. Il perché lo spiega Stefano, come sanno farlo solo gli adolescenti. «Essere vostro figlio è una cosa che non va via quando faccio la doccia la mattina. Io e Paolo siamo tutto quel che resta di quel per sempre. E’ già qualcosa e farò in modo che non si rovini… Ripenso a mia zia che legge vestita di rosa. Una sola carne. Quella carne sono io. Il vostro nome è scritto sulla mia pelle, inciso nella carne di cui sono fatto.» E’ un tatuaggio che non voglio cancellare, anche se fa male»

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