Così vicini, così lontani
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Non mi piacciono le trasmissioni in stile “caramba che sorpresa” le lacrime in tv, quegli incontri organizzati per dare un’emozione fine a se stessa agli spettatori.
Ma ieri sera facendo zapping, tra una partita con l’Inter che stentava a metterla in rete e un programma dove si acquistano case (ho l’animo dell’agente immobiliare) mi sono imbattuta in “Così vicini, così lontani” condotta da Paola Perego e Al Bano. Figli adottati a cui è rimasto il desiderio di capire perché la madre li aveva lasciati in istituto.
Uomini che sono diventati imprenditori, realizzati, con una bella famiglia ma che hanno conservato per decenni l’unica foto in cui sono ritratti con dei fratelli che erano stati dati in adozione. Una giovane donna cresciuta dalla mamma, serena, felice, ma desiderosa di vedere il volto di quel padre che l’aveva concepita e che poi era tornato in Tunisia senza più dare sue notizie.
Non sempre queste ricerche sono semplici, spesso i protagonisti si sono scontrati con silenzi, burocrazia, doverose reticenze, ma la redazione di una trasmissione ha mezzi e conoscenze che aiutano, così spesso questi desideri si realizzano.
Devo dire che l’argomento è trattato con garbo, non s’indaga più di tanto e non si scade nel lacrimoso, anche se è inevitabile che riabbracciare un fratello che non si sapeva di avere, un padre di cui non si è mai visto il volto porta ad abbracci e lacrime.
Quello che però è evidente, è come sia scritto nel cuore di ognuno, il desiderio di “sapere di chi sono” di vedere il volto del Padre o della Madre.
Quello che lascia un vuoto nel cuore non è solo l’assenza fisica, ma il non sapere perché. Perché mio padre non mi ha cercata, perché il mio desiderio di vedere il suo volto non è lo stesso desiderio suo. A volte la vita, l’orgoglio, la paura, giocano brutti scherzi. Qualche volta questo vuoto si riempie e dopo esser stati per tempo legati a una fotografia, a un ricordo, guardare in faccia quel fratello cresciuto, quel padre invecchiato è come la chiusura del cerchio.
In alcuni casi nemmeno il grande amore della famigli adottiva, l’avere dato vita a una famiglia propria ha sopito quel desiderio. Mi chiedo chi riempirà il vuoto di quelle generazioni di figli cresciuti nella pancia di una donna che ha fatto solo da incubatrice, a un ovulo di donna sconosciuta, fecondato con lo sperma di un signore identificato da una sigla.