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«Ho molto rispetto per il Card. Marx» ma...

Fonte:
CulturaCattolica.it
Molto significativa la domanda di Nicolas Diat Nella Conversazione sulla fede  al Cardinale Sarah e la sua risposta:

Nello scorso dicembre, il cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza Episcopale tedesca, ha dichiarato: ‘La ricerca di un accompagnamento teologicamente responsabile e pastoralmente appropriato dei credenti divorziati e risposati, civilmente figura dappertutto nel mondo come una sfida urgente alla pastorale familiare e coniugale nel contesto dell’evangelizzazione’. Qual è il suo punto di vista su questo argomento che faceva parte delle domande dell’ultimo sinodo straordinario di ottobre 2014?


“Ho molto rispetto per il cardinale Reinhard Marx. Ma questa affermazione così generale mi sembra essere espressione di una pura e semplice ideologia che si vuole imporre a marcia forzata a tutta la Chiesa. In base alla mia esperienza, in particolare dopo ventitré anni come arcivescovo di Conakry e nove come segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, la questione dei “credenti divorziati o divorziati risposati civilmente’ non è una sfida urgente per le Chiese d’Africa e di Asia. Al contrario, si tratta dell’ossessione di alcune Chiese occidentali che vogliono imporre soluzioni cosi dette “teologicamente responsabili e pastoralmente appropriate”, che contraddicono radicalmente l’insegnamento di Gesù e del magistero della Chiesa. La prima urgenza nei paesi di missione consiste nella strutturazione di una pastorale che abbia come unico obiettivo il rispondere alla domanda: che cosa significa essere veramente cristiani nella situazione storica e culturale attuale delle nostre società globalizzate? Come formare dei cristiani intrepidi e generosi, discepoli zelanti di Gesù? Per un cristiano adulto, la fede in Cristo non può essere un’intuizione, un’emozione o un sentimento. Per un cristiano, la fede deve diventare la forma, la molla di tutta la sua vita privata e pubblica, personale e sociale. Quali che siano le difficoltà attuali, i discepoli di Cristo devono far valere, senza reticenze né compromessi, nella teoria e nella pratica, le esigenze della fede in Cristo, poiché sono le esigenze e i precetti di Dio. La seconda urgenza è quella di formare famiglie cristiane solide, poiché la Chiesa, che è la famiglia di Dio, si costruisce sulla base delle famiglie sacramentalmente unite e testimoni di questo Mistero di grande portata donato eternamente da Cristo. La verità del Vangelo deve sempre essere vissuta nel difficile crogiolo dell’impegno nella vita sociale, economica e culturale. Di fronte alla crisi morale, e in modo tutto speciale a quella del matrimonio e della famiglia, la Chiesa può contribuire alla ricerca di soluzioni giuste e costruttive, ma non ha altra possibilità che di parteciparvi facendo riferimento in modo vigoroso a quello che la fede In Gesù Cristo porta di proprio e di unico all’impresa umana. In questo senso, non è possibile immaginare un qualsiasi squilibrio tra il magistero e la pastorale. L’idea che consisterebbe nel porre il magistero in uno bello scrigno distaccandolo dalla prassi pastorale, che potrebbe evolversi in base alle circostanze, alle mode e alla passioni, è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica. Vorrei affermare con solennità che la Chiesa di Africa si opporrà fermamente a ogni ribellione contro l’insegnamento di Gesù e del magistero. (…) Come potrebbe un sinodo ritornare sull’insegnamento costante, coerente e profondo del Beato Paolo VI, di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI? Pongo la mia fiducia nella fedeltà di Francesco. Nel gennaio del 2015, ho avuto l’onore di accompagnarlo nel suo viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine. A Manila, il suo discorso sulla famiglia è stato particolarmente forte: “Stiamo attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche. Esistono colonizzazioni ideologiche che cercano di distruggere la famiglia. Non nascono dal sogno, dalla preghiera, dall’incontro con Dio, dalla missione che Dio ci dà, vengono da fuori e per questo dico che sono colonizzazioni. Non perdiamo la libertà della missione che Dio ci dà, la missione della famiglia. E così come i nostri popoli, in un momento della loro storia, arrivarono alla maturità di dire ‘no’ a qualsiasi colonizzazione politica, come famiglie dobbiamo essere molto sagaci, molto abili, molto forti, per dire ‘no’ a qualsiasi tentativo di colonizzazione ideologica della famiglia, e chiedere a san Giuseppe, che è amico dell’Angelo, che ci mandi l’ispirazione di sapere quando possiamo dire ‘sì’ e quando dobbiamo dire ‘no’. (…) Penso al Beato Paolo VI. In un momento in cui si poneva il problema della crescita demografica, ebbe il coraggio di difendere l’apertura alla vita nella famiglia. Lui conosceva le difficoltà che c’erano in ogni famiglia, per questo nella sua enciclica era molto misericordioso verso i casi particolari, e chiese ai confessori che fossero molto misericordiosi e comprensivi con i casi particolari. Però lui guardò anche oltre: guardò i popoli della Terra, e vide questa minaccia della distruzione della famiglia per la mancanza di figli. Paolo VI era  coraggioso, era un buon pastore e mise in guardia le sue pecore dai lupi in arrivo. Che dal Cielo ci  benedica questa sera!” (pp. 363-366).


Nel discorso del Santo Padre Francesco per la commemorazione del 50° Anniversario dell’Istituzione del Sinodo die Vescovi ha detto: “Alla vigilia del Sinodo dello scorso anno affermavo: ‘Dallo Spirito santo per i Padri sinodali chiediamo, innanzitutto, il dono dell’ascolto: ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama’. Infine, il cammino sinodale culmina nell’ascolto del Vescovo di Roma, chiamato a pronunciarsi come ‘Pastore e Dottore di tutti i cristiani’: non a partire dalle sue personali convinzioni, ma come supremo testimone della fides totius Ecclesiae, “garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa’”. Quindi diacronicamente di tutti i 266 papi e XIV Sinodi ordinari.


“Il fatto che il Sinodo agisca sempre cum Petro et sub Petro – dunque non solo cum Petro, ma anche sub Petro – non è una limitazione della libertà, ma una garanzia dell’unità. Infatti il Papa  è, per volontà del Signore, ‘il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità tanto dei Vescovi quanto della moltitudine dei Fedeli’. A ciò si collega il concetto di ‘ierarchica communio’, adoperato dal Concilio Vaticano II: i vescovi sono congiunti con il vescovo di Roma dal vincolo della comunione episcopale (cum Petro) e sono al tempo stesso gerarchicamente sottoposti a lui quale Capo del Collegio (sub Petro)”.

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