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Grazie per quello che siamo

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Immensa gratitudine alla vita / che ha conservato queste care cose; / oceano di delizie, anima mia! // Oh come tutto al suo posto si trova! / Oh come tutto al suo posto è restato! / In grande povertà anche è salvezza».
(Umberto Saba, dalla raccolta Il piccolo Berto)

Appese a una parete della navata destra del Duomo di Sant’Andrea, a Portogruaro, ci sono, custodite sotto vetro, delle sottili lamine d’argento. Da lontano potrebbe sembrare un’opera post-moderna: su fondo scuro, ritagli d’argento accostati senza ordine apparente. Poi ti avvicini e capisci un po’ di più, perché certe scaglie d’argento hanno la forma di una gamba, altre di una mano, di un occhio, di un cuore. Sono degli ex-voto del XVI e XVII secolo, restaurati qualche anno fa e da allora visibili. Prima erano appesi in alto in alto, in una custodia fissata al braccio inferiore del trecentesco crocifisso sulla controfacciata della chiesa. Insomma: bastava che li vedesse solo il Signore, destinatario del ringraziamento.


Non solo sono contenta che ora siano visibili a tutti; vorrei, si potesse, mettere delle frecce in duomo e indirizzare ogni visitatore lì davanti. Dico di più. Vorrei che i pellegrini che come me qualche giorno fa sono stati alla tomba di S. Antonio a Padova, avessero sostato un po’ anche davanti agli ex-voto che sono appesi lì. Loro e i pellegrini che verranno. Anche a Castelmonte, e in tutti i santuari in Italia e nel mondo.


Non voglio rubare fedeli e visitatori ai dipinti, i mosaici, le sculture che abbelliscono le nostre chiese e, biblia pauperum, illustrano gli episodi salienti della fede o raccontano il rapporto di familiarità con i santi. Ma queste lamine d’argento, i ricami a punto croce per grazia ricevuta, i disegni dei bambini, le lettere scritte con mano tremante e, a volte, con qualche errore di ortografia, non solo raccontano la fede dei semplici – ed è quella che ci salverà, non la Leopolda o la Repubblica delle Idee, e nemmeno il Cortile dei Gentili –; oggi più che mai sono preziosi perché raccontano uno sguardo sulla vita e sulla realtà che di questi tempi rischia di andare perduto.


Cosa vogliono dirci, oggi, quelle gambe, quelle braccia, quegli occhi, quei piccoli cuori d’argento; o quei dipinti, quelle foto, quelle lettere, le stampelle abbandonate nella grotta di Lourdes, se non che qualcosa di noi, del nostro corpo, era in pericolo ed è stato salvato? Di più. «Anche i capelli del capo sono tutti contati», ci è stato detto. Segno che tutto, di noi, è prezioso agli occhi di Dio.


In quest’epoca di mondi virtuali, di false identità, di profili multipli, di erbe del vicino che immancabilmente sembrano più verdi, di desideri sempre nuovi, di sessualità fluida, di onnipotenza prometeica e di ribellione al dato di natura, nella loro semplicità così aborrita dagli intellettuali à la page, gli ex-voto ci invitano a educare lo sguardo perché sia consapevole che tutto è dono, e dunque non uno sguardo rabbioso ma grato. Provate a chiedervi: come devono aver guardato quel braccio, quella gamba, quella mano o… la vita, coloro che temevano, fino all’ultimo, di perderli?


Grata io, allora, per questa caviglia che dopo l’intervento ha ripreso a funzionare; per questo piede che ora ruota a destra e a sinistra, si flette, può salire di nuovo le scale… Grata tu, per il tuo corpo di giovane donna che sta crescendo, e anche tu, tredicenne che stai diventando grande. Tu, donna, un giorno ti innamorerai e, cresciuta, potrai congiungerti, per amore, all’altro - altro da te, e generare una vita. Grazie per quel corpo maturo di donna, pronto ad accogliere una vita e a custodirla e nutrirla nove mesi, per poi darla alla luce. E per quei seni che, per un processo complicato di ormoni-ma-non-solo, dopo il parto produrranno latte e per un pezzo potranno sfamare tuo figlio.


Grazie per quello che siamo: maschi e femmine, e per come siamo. Hai scritto i nostri nomi sul palmo della Tua mano e ci hai amati – sì, hai amato proprio me, e anche te che leggi – dalla notte dei tempi. Proprio noi: con questo corpo, questo carattere, queste fragilità. Infinitamente, immeritatamente.


Grazie, Signore, anche per i santi, intercessori presso di te. Le loro reliquie (ridacchino pure, gli intellettuali di cui sopra) ci ricordano che sono stati di carne come noi, peccatori come noi, eppure la loro fede (e non i convegni, o il numero dei follower o delle apparizioni in tivù!) li ha salvati.

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