La speranza di un popolo
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Oggi, mentre ci stiamo drammaticamente abituando alle immagini di migranti e profughi, rischiamo di dimenticare altre immagini, sbiadite dal bianco e nero di tanti anni fa, che raccontano analoga disperazione. Eppure, mentre guardiamo inermi e sbigottiti la foto di un bambino senza vita su una spiaggia turca, non possiamo fare a meno di pensare a tante altre piccole vite stroncate o umiliate. Chi ha visto la splendida mostra “Tu lascerai ogni cosa diletta più caramente” – L’esodo dei giuliano dalmati alla fine del secondo conflitto mondiale – , promossa dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, dal Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana, Istriana, Fiumana e Dalmata di Trieste e da Coordinamento Adriatico, ospitata all’interno dell’ultima edizione del Meeting di Rimini, lascia andare il pensiero a quella bambina che sorregge una targa con su scritto: “Esule giuliana”. E’ una delle oltre 350.000 persone costrette ad abbandonare, perché italiane, le terre della Venezia Giulia, occupate dalle truppe iugoslave di Tito. Un dramma scoppiato alla fine della Seconda Guerra Mondiale; quando altrove si festeggiava, per tanti cominciavano le fughe, le deportazioni, gli infoibamenti. Terre che erano state per secoli italiane, diventavano di colpo estranee, ostili: i sopravvissuti allo sterminio delle foibe (quasi 10.000, secondo calcoli attendibili) si imbarcavano verso l’Italia oppure verso l’America o altre terre della libertà. Ma in Italia non furono fortunati: il dopoguerra che voleva solo dimenticare non voleva saperne di memorie imbarazzanti. Furono allora ospitati in strutture di fortuna, dopo aver lasciato i loro beni, che ancora si possono vedere nel Porto Vecchio di Trieste, il Magazzino 18, luogo ispiratore di un bellissimo spettacolo teatrale di Simone Cristicchi, artista di genio, conquistato da questa storia. Erano i campi profughi, circa 100 disseminati in tutta Italia e incredibilmente attivi fino ai primi anni ’60. Al Meeting ci è capitato di sentirci illustrare la mostra da una di queste persone. Diceva che è giusto guardare avanti, ma ogni tanto bisogna anche guardare indietro, e che un popolo senza memoria è un popolo senza radici. Altri giuliano dalmati cercarono e trovarono fortuna in ogni parte del mondo, tanto da diventare celebri: chi sa oggi che Mario Andretti, Nino Benvenuti, Laura Antonelli, Sergio Endrigo, Enzo Bettiza, Fulvio Tomizza, Ottavio Missoni, Mila Schon, Alida Valli sono nati a Pola, a Spalato, Isola d’Istria, Zara? Cosa sanno oggi gli italiani di tutto questo? Forse oggi qualcosa in più, almeno da quando è stata istituito il Giorno del Ricordo, nel 2004, ogni anno celebrato il 10 febbraio in memoria del trattato di Parigi che nel 1947 definì la cessione di gran parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito. Le giovani Repubbliche di Slovenia e Croazia si dividono oggi quei territori.
I curatori della mostra, tra i quali ricordiamo soprattutto Renzo Codarin, Davide Rossi, Alessandro Scardino, hanno avuto a cuore che il percorso potesse essere non solo esteticamente avvincente, ma anche che quelle spinose e complesse questioni fossero facilmente comprensibili a tutti, specialmente ai giovani, ai quali i libri di storia raccontato ben poco.
Dalla loro testimonianza non si ricava nessuna recriminazione, né tanto meno furore nazionalistico o ripiegamento nostalgico. Solo la convinzione che il dolore e la speranza di un popolo meritano di essere tratte dalla cenere, perché l’esperienza di tanti sia custodita dalla memoria, perché il pianto di una bambina abbia una consolazione.