Il matrimonio? Dico quello che so: “fine cura mai”
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Diciamolo, non è che per forza bisogna sentenziare su tutto, soprattutto su quello che non si conosce. Si corre il rischio di dare giudizi che si sono formati sul sentito dire, oppure, di citare i titoli degli articoli di giornale che più ci hanno colpito.
In questi giorni tutti scrivono dell’annullamento del matrimonio, breve e gratuito, voluto da Papa Bergoglio.
A parte che si parla di nullità e non annullamento e la differenza non è poca cosa.
A parte che non sarà gratuito ma si dovrà pagare il giusto. Voler dire che il Papa ha voluto fare anche lui un "divorzio breve" come ha detto una senatrice PD, mi pare davvero fuori luogo.
Io non conosco da vicino molte persone che hanno avuto l’annullamento del loro matrimonio dalla Sacra Rota.
Se escludiamo i casi famosi raccontati dai giornali, un conoscente dal quale però non ho mai avuto un racconto diretto, mi rimane un caro amico che aveva sposato una persona con delle “psicosi”, una persona che molti avevano intuito potesse avere qualcosa che non andava, delle turbe, ma come mi ha detto lui, - io non ho dato retta a nessuno – Poi lo scontro con la realtà. L’annullamento del matrimonio dal punto di vista economico non gli è costato una follia, perché mi ha raccontato l’avvocato aveva una parcella per così dire “calmierata” un costo fissato a priori. Non c’è stato bisogno di costose indagini per provare una “ nullità dubbia”, il vizio era evidente. Cos’ì lui ha potuto sposarsi con quella che oggi è sua moglie e la madre dei suoi figli.
Detto questo, io posso parlare solo di quello che conosco. Per cui dico che del matrimonio bisognerebbe prendersi cura da prima, molto prima che i due percorrano la navata di una Chiesa, (e poi non smettere, “fine cura mai”)
Se ne dovrebbero prendere cura gli sposi, chi si prende cura del proprio matrimonio, di riflesso si prende cura di quello dei figli, niente come una esperienza buona può mettere radici. Se ne dovrebbero prendere cura i sacerdoti che hanno a che fare con la gioventù. Perché il matrimonio religioso è una vocazione e al pari delle vocazioni religiose ci vuole discernimento. Parliamo ai giovani della bellezza e della difficoltà di essere coppia, dell’importanza della sessualità e dell’amore come dono di sé e non come ne parla il mondo. Diciamo loro che la fedeltà è un lavoro su di sé, che il perdono e non la fuga dalle difficoltà sono pilastri importanti. Diciamo loro che c’è una responsabilità e anche un sacrificio che si fa in nome di qualcosa di grande che si sta costruendo insieme.
Non abbiamo paura di andare controcorrente, con i giovani è meglio essere sinceri e chiari, che evasivi.
“Prometto solennemente di amarti e onorarti, tutti i giorni della mia vita.”
Se ci pensate bene, questa promessa fa tremare il sangue nelle vene, roba da voltarsi e uscire di Chiesa come nelle commedie brillanti.
Onorarti.
Parlare bene di te, guardare i tuoi pregi e non ai tuoi difetti. Onorarti, avere stima di te. Perché gli altri possono stimarti per ciò che fai, per il tuo lavoro, per le tue capacità. Ma solo tua moglie o tuo marito che ti conoscono bene nelle pieghe del tuo carattere, possono stimarti e onorarti per quello che sei veramente
Insomma, il matrimonio è un affare serio.
Tempo fa mi hanno chiesto di andare ad incontrare un gruppo di giovani per parlare loro del matrimonio. Non sapevo bene da che parte cominciare. Poi ho pensato che io posso solo raccontare la mia storia. Così dalla scatola dei ricordi ho preso una delle lettere che avevo scritto al mio futuro marito durante il nostro travagliato fidanzamento (come nelle migliori fiction, la mia famiglia osteggiava il matrimonio) e ho scoperto che lì c’era il seme di quello che volevamo costruire, di come pensavamo alla famiglia, di come poi l’abbiamo costruita. Dicendo “SI” alle circostanze, non sempre facili, ma certi sempre di non essere soli,.
Oggi si dice “ti amo” con superficialità, io ricordo che prima di scrivere quella frase la prima volta, ci ho pensato bene perché non era cosa da poco. “Tua per sempre” sino a quando Dio lo vorrà, non sino a quando ti saprò sopportare.
Insomma... (Altro capitolo di cui magari parleremo un’altra volta)