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#Gender: uno, nessuno, centomila

Autore:
Correnti, Edoardo
Fonte:
CulturaCattolica.it

“Uno nessuno, centomila”. Il gioco delle tre carte adottato dai sostenitori del gender per far avanzare la loro rivoluzione del senso comune verso il nuovo mondo Lgbt, minimizzando le possibili resistenze, trova nuove applicazioni. Dispiace che a prestarsi al gioco sia uno studioso di grande valore come Francesco D’Agostino. Lo fa per difendere l’articolo comparso su Avvenire il 31 luglio di Chiara Giaccardi che invitava i cattolici a confrontarsi positivamente con il gender, un confronto ineludibile e necessario. Perché “uno nessuno, centomila”? Uno il gender appare al buon senso ed al senso comune, accomunata com’è questa teoria dall’intento di conquistare un’assoluta tirannia dell’individuo sul proprio corpo e anche sul proprio spirito, cancellando ogni limite creaturale. Nessuno, è il gender secondo i militanti Lgbt per i quali non esiste, esisterebbe solo la giusta lotta contro la discriminazione della donna. Centomila invece sono le versioni del gender per Giaccardi e D’Agostino, sicché se ne critichi una, non hai capito nulla, perché esiste sempre l’ennesima versione che contraddice la tua critica.
Peraltro di fronte al testo di D’Agostino si impongono anche altre disambiguazioni (come usano dire i filosofi del linguaggio). Non ci tornano completamente le distinzioni istituite dal docente di filosofia del diritto tra antropologia filosofica tout court, antropologia filosofica cristiana ed antropologia teologica cristiana.
A detta di D’Agostino il grande merito del paradigma unitario del gender (ci congratuliamo per l’unità ritrovata dopo la dispersione nella infinita costellazione di ricerche) sarebbe quello di aver tematizzato il concetto di discriminazione. Ma per questo, argomenta, non c’è bisogno di fare specifico appello alla antropologia cristiana basta l’antropologia moderna.
La grande stima per la scienza di D’Agostino, non riesce a tacitare le nostre perplessità.
Primo: al di fuori della cultura cristiana, una valutazione negativa della discriminazione in generale non è pensabile: i paria devono essere paria, gli schiavi devono essere schiavi, e le donne sono limitate nella loro dignità (salvo la non rara presenza nel mondo primitivo di società matriarcali, segnalate religiosamente dal culto della grande madre). D’Agostino parla di antropologia moderna, ma è noto che nello storico confronto tra due personalità di sinistra come Michel Foucault e Noam Chomsky, il primo sostenne, in pieno contrasto con il secondo, che non esiste una natura umana (un quid umano) che lo differenzi dalle altre specie animali. E Foucault come Derrida è uno dei testi sacri della decostruzione che vuole operare la gender theory. Dello stesso tenore le affermazioni della cyber femminista Donna Haraway autrice di un libro “Mio fratello/sorella l’oncotopo”. Peraltro quando, come sa bene D’Agostino, qualcuno come Peter Singer teorizza che l’omicidio dei bambini malati è bioeticamente giustificabile, cosa è rimasto del concetto di natura umana? Quindi sembrerebbe che quella che D’Agostino chiama antropologia moderna o contemporanea, rischia di non essere più un’antropologia.
Per la verità ci convince poco anche la drastica separazione che D’Agostino istituisce tra antropologia teologica da una parte, e antropologia filosofica dall’altra, e tra esse e la fede. Eravamo abituati a pensare, come ci ha insegnato San Giovanni Paolo II, che fede e ragione sono due ali con le quali lo spirito umano si eleva alla contemplazione della verità, e che Cristo rivela l’uomo all’uomo. Non c’è, dunque, una doppia verità, altrimenti ricadiamo nella concezione protestante della teologia come discorso sul Totalmente Altro. Quindi le sue appassionate considerazioni finali sul messaggio Biblico, sull’arte e sull’iconografia cristiana rischiano di ricadere in un estetismo e in un sentimentalismo, se non sono riconnesse con i trascendentali del vero e del buono.
Vale la pena anche di ricordare anche che San Paolo nello stesso luogo in cui afferma la capacità naturale della conoscenza umana delle invisibili perfezioni di Dio, avverte anche che la verità può essere soffocata dalla ingiustizia. “Perciò Dio – prosegue l’apostolo delle Genti – li ha abbandonati all’impurità, secondo i desideri del loro cuore, si da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura: egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento”. Di fronte ad una così chiara descrizione di un vissuto umano, ci sembra che le sottili distinzioni disciplinari di D’Agostino non reggano”.

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