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«Nella carne, col sangue»

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator dela sua vana imago».
(Giovan Battista Marino, Adone, canto V)

Mi piace, quando voglio starmene tranquilla, o sola con i miei pensieri, passeggiare defilata, scegliere le calli meno frequentate della mia città.
Oggi, mentre camminavo lungo il Lemene, il fiume che attraversa Portogruaro, inaspettatamente mi è squillato il cellulare. Chiamata lunga, profonda come quando ancora si scrivevano le lettere ed ogni parola era scelta con cura - “scavata nella vita come un abisso”, direbbe Ungaretti – mica come gli sms adesso, o le chat.
Per ascoltare meglio, per parlare senza essere disturbata, mi sono fermata e mi sono seduta sui gradini di un palazzo del centro, e intanto osservavo il fiume, gli edifici sulla riva opposta, gli archi e le bifore che si specchiavano nell’acqua. Così calma, l’aria, e così limpida la luce, che a stento distinguevi cosa è realtà e cosa apparenza.
Si è parlato di tante cose, nella telefonata di stamattina: di noi, della nostra amicizia, delle nostre umane fragilità, ma anche dei morti innocenti degli attentati di ieri, compiuti nel nome di un dio che scrivere con la maiuscola non sono capace, o di una ideologia, o della gloria qui, o di un presunto premio nell’aldilà. E poi di questa rivoluzione antropologica che preme verso l’indistinto (ma le avete viste le ultime collezioni-uomo, tutte fiori pizzi completini frou frou?).
Abbiamo parlato di questa cultura postmoderna che ha messo in soffitta i doveri e stampa nuovi diritti come Totò e Peppino stampavano moneta (falsa) nello scantinato. Siete due femmine e volete sposarvi, anche se la famiglia costituzionale è un’altra cosa? E’ un vostro diritto: love is love.
Siete due maschi e volete un figlio, ma non c’è ovulo, in voi, né utero? La scienza, oggi, può. E anche la magistratura, a colpi di sentenze. Magari non ce la farete nella solita Italia retrograda e oscurantista, ma ci sarà pure una poveraccia di donna indiana che ha bisogno di soldi e – per soldi – è disposta ad affittare una parte del suo corpo giusto il tempo di confezionare, sfornare, vendere un bambino…
E se poi, un giorno, quel bambino chiederà chi è sua madre?
No problem. Si faccia scorta, fin dalle scuole dell’infanzia (dal nido, magari…) dei libretti della “lista Camilla Seibezzi”, che il neosindaco di Venezia, Brugnaro, ha deciso di ritirare, e vedrai che indottrinato ben bene da quando è in fasce, nessun bambino avrà più da obiettare alla balla dei “due papà” o delle “due mamme”, quando fino a prova contraria tutti veniamo da un maschio e da una femmina, da uno spermatozoo e da un ovulo, da un papà e da una mamma. Se la realtà non corrisponde all’ideologia, tanto peggio per la realtà. «Colonizzazione ideologica» è questo.
Parlavo al telefono, e ascoltavo, e intanto guardavo la superficie del fiume appena appena increspata al passaggio di un’anatra, orgogliosissima di portare a spasso i suoi piccoli.
Questo – mi sono detta – sono tanti dei nostri desideri: palazzi riflessi sull’acqua, apparenza di felicità. Sembrano, ma non sono. Fai un passo per varcarne la soglia e, se non anneghi, resti impantanato nella melma. Altra è la solidità della pietra che resiste nei secoli. E’ altro ciò che dà senso all’esistere e acquieta il cuore, l’alfa e l’omega dell’esistenza, il fine ultimo a cui tendiamo. Ma per capirlo, occorre alzare lo sguardo.
La felicità di obbedire a un istinto, di inseguire un desiderio e chiamarlo diritto, senza – prima – aver valutato i pro e i contro (per tutti, non solo per sé) è effimera, a volte pericolosa. Lo sanno i morti crivellati in vacanza, sulla spiaggia di Hammamet, i bambini comprati e venduti per l’egoismo degli adulti, le donne usate come incubatrici. Lo sa Narciso, che nel suo desiderio-diritto è annegato. Cercava, come tutti, la felicità.

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