Storia di donne? «Vocazione è seminare»
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Questa è una storia soprattutto di donne, ed è per questo che la racconto oggi: mi pare un modo bello e non zuccheroso per festeggiare le mamme.
La prima scena si svolge in un cimitero, di fronte a una lapide.
Siamo a Nkubu, una piccola cittadina vicina al massiccio del monte Kenia. C’è scritto Giulia Dall’Oro, in quella lapide. Nata prematura, nel 1983, la piccola è morta dopo solo due ore dal parto.
Era la quarta figlia del dottor Alessandro Dall’Oro, medico del CUAMM Medici con l’Africa, la prima grande organizzazione di volontariato in campo sanitario sorta in Italia e fondata dal prof. Canova come espressione missionaria laica della diocesi di Padova. Per oltre trent’anni ha garantito in quelle zone la presenza continua del personale medico nel ruolo specialistico ma anche di programmazione e coordinamento della politica sanitaria locale, in collaborazione con le locali autorità governative ed ecclesiastiche. Il dottor Dall’Oro e la moglie Virginia sono vissuti a Nkubu per quattro anni: dal 1975 al 1977 e poi dal 1981 al 1983. Sono partiti da Portogruaro nel 1975 con la figlia Claudia di tre mesi e lì, nel 1976, è nata la seconda figlia, Elisabetta. Elena, la terzogenita, ha visto la luce in Italia. A Nkubu è nata prematura e poi è deceduta Giulia, a febbraio del 1983. Ci fosse stata una culla termica sarebbe sopravvissuta.
Più di 30 anni separano quel lutto dalle scene del video. Trent’anni di dolore rielaborato come possono cercare di rielaborarlo un padre e una madre, come possono viverlo i bambini.
E’ Elisabetta e raccontarmi questa storia.
Quando è morta la sorellina aveva sei anni, e non capiva. Se papà aiutava le persone che stavano male, se erano lì come volontari, come aveva potuto Dio fargli provare così tanto dolore… perché portarle via la sorellina, perché far soffrire così tanto la mamma e il papà?
Nei ricordi di bambina Betty rivede il papà che amorevolmente sta accanto alla moglie, in pericolo di vita, e intanto segue le figlie, e continua ad impegnarsi per i pazienti dell’ospedale fondato dai missionari della Consolata di Torino.
Come è possibile rendere fertile una fatica e un dolore così grandi?
Elisabetta racconta. Non era possibile rimuoverlo, quel lutto; anche tornati in Italia bisognava farci i conti, trovare il coraggio per tentare un percorso dentro di sé, dentro questa storia che aveva drammaticamente coinvolto tutta la famiglia; passarla al vaglio per cercare semi di bene. Provare a farla fiorire.
L’occasione per tornare in Africa e guardare in faccia quegli anni e quel dolore capita al dottor Dall’Oro e alla moglie a febbraio di un anno fa, quando i genitori di Elisabetta accolgono l’invito di visitare la missione di don Romano Filippi, missionario diocesano in Kenia, conosciuto in Africa nel 1982. Partono, rivedono Nairobi, tornano anche all’ospedale di Nkubu. Si commuovono nel rivedere quei luoghi, nello scoprire che l’attuale amministratore è un prete africano, figlio di una infermiera di sala operatoria che lavorava proprio con il medico portogruarese. Facendo il giro dei reparti in via di rinnovamento, il dottor Dall’Oro nota una sala attigua alla sala parto, con due vecchie culle termiche, purtroppo non funzionanti. E il ricordo va a quel 1983, alla piccola Giulia.
Tornati in Italia, insieme alla famiglia decidono di mettere in piedi il progetto “Nkubu 2014”: entro un anno, l’impegno a raccogliere undicimila euro per due culle termiche da donare all’ospedale africano. Si sparge la voce e a rispondere sono in tanti: amici, persone che hanno vissuto la stessa esperienza di dolore qui, tanta gente comune, la parrocchia...
Questa volta in Kenia va anche Elisabetta. «Capisci da grande», mi dice. «Da piccola ti pare di essere obbligata a subire le scelte dei tuoi genitori; a volte ho pensato che in Africa mi fosse stato sottratto qualcosa che non avrei avuto più. Invece capisco ora, da mamma, che è stata proprio questa storia ad insegnare a me e alle mie sorelle cosa significa la generatività, che è la cifra dell’umano».
A Nkubu Betty ha rivisto la sala parto dove è nata assieme ad altri cinque bambini africani; è tornata alle origini, ha risentito colori e sapori che custodiva nascosti nella memoria, ha provato emozioni che non aveva preventivato. Ha fatto pace con il suo passato.
Ed eccoci al video, all’inaugurazione della nuova neonatologia, completata con tutte le rifiniture e le due nuove culle termiche.
«Vocazione è seminare», mi dice Elisabetta al termine della nostra chiacchierata a scuola. E’ madre di Giulia e di Filippo, due splendidi bambini, ed insegna spagnolo nella mia stessa scuola.
Tenete queste sue ultime parole nel cuore, quando guardate il video. E seguite con lo sguardo Virginia, la mamma di Betty. Non serve spieghi perché.
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