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I giovani che oggi ci hanno fatto scuola

Fonte:
CulturaCattolica.it

Mentre scorrono, in tivù e nei social, le immagini del Niente che avanza, e fa terra bruciata di storia, arte, cultura, e dell’umanità dell’uomo: la sua vita, i suoi legami, la sua fede…
Mentre l’Isis al grido di “Allah akbar” abbatte le croci, le chiese, le statue, e su quel vuoto issa bandiere nere (nere come la notte, nere come la morte…)
Mentre nei salotti buoni della tivù i grandi – la mia, la nostra generazione adulta – discetta, gambe accavallate, sulla generazione sdraiata, i bamboccioni, il complesso di Edipo e di Peter Pan…
Mentre spacciano per “buona scuola” gli esperti (!) che in classe pontificano sulla neolingua contro gli stereotipi di genere: architetta, sindaca, ingegnera (chiacchiere, ancora chiacchiere), o dicono basta al maschio e alla femmina: antiquati, sorpassati, vuoi mettere l’indifferenziato, il neutro, la libertà promessa dal gender pensiero?…
In questo deserto di senso, di radici, di ideali, sono piccoli semi di vita a regalare speranza e io li ho visti, oggi, primo giorno di primavera.
Stamattina, 170 ragazzi degli Istituti superiori della mia città, Portogruaro, 27.000 abitanti, nell’ambito delle iniziative pensate per il “Mese dell’educazione”, si sono incontrati per condividere l’esperienza della Colletta alimentare, vissuta il 29 novembre scorso.
Alla presenza di Federico Bassi, responsabile nazionale della “Giornata della Colletta alimentare”, alcuni di loro hanno raccontato cos’hanno visto, vissuto, imparato. Giovani che, con alcuni insegnanti, quel sabato hanno deciso di fare esperienza di dono, di gratuità. Che è il contrario di quanto vedono e sentono in tivù, di quanto vedono e sentono – ahimè – spesso anche a scuola.
Dovevate esserci, stamattina!
Con la semplicità e la voce tremolante degli adolescenti, hanno raccontato cosa ha significato donare un po’ del proprio tempo libero – che è l’unico di cui siamo davvero padroni. Cosa ha voluto dire mettersi in gioco, mostrare la faccia, sensibilizzare le persone ad aderire al gesto della Colletta, sporcarsi le mani, spaccarsi la schiena a pesare e portare scatoloni, gestire il rifiuto di chi quel giorno non ne voleva sapere, sentirsi utili per gli altri, impegnarsi insieme, invitare un amico, coinvolgere i genitori, accettare la scommessa, gioire per quel 40% in più, grazie a loro…
Dovevate esserci! E dovevano esserci i giornalisti, le tivù, gli intellettuali pontificanti: tutta gente che quando si racconta il bene è sempre in altre faccende affaccendata, chissà perché.
Io che la so, la storia di qualcuno di loro – i problemi familiari, economici, di salute – a sentirli raccontare che «qualcuno sta peggio, dobbiamo, insieme, dargli una mano», mi sono commossa.
Dà di più chi più avverte, struggente, il proprio bisogno: i vecchi, i malati, chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese; chi, dentro, sente che brucia, quel tarlo, quella mancanza, quella domanda. L’hanno detto, l’hanno fatto capire i ragazzi, raccontando cos’hanno visto l’ultimo sabato di novembre. Cosa gli ha lasciato scritto dentro, per sempre.
Non c’erano le tivù, non c’erano i giornalisti, peccato. Peccato, perché sono queste testimonianze di vita, non le nostre chiacchiere da salotto, che possono – se lo vogliamo – scalfire la terra arida del nostro borghesismo pantofolaio, la scorza di egoismo delle giovani generazioni. Perché a distruggere sono capaci tutti: basta una ruspa, un martello pneumatico, un coltello ben affilato, un kalashnikov, un articolo di giornale pensato ad hoc. Ma è costruire cultura di vita ciò che ci è chiesto, se vogliamo combattere l’anestesia del cuore, il nonsenso che porta al suicidio più o meno assistito. E non saranno i tagliagole farneticanti dello Stato islamico, o i cattivi maestri ad avere la meglio, perché “le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo”. 170 cuori “così” sono, saranno l’avanguardia del nostro esercito. Di chi abbiamo paura?

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