“Tu, da che parte stai?” L’ora della bellezza
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Capita che una classe arrivata in quinta, ereditata l’anno della maturità, debba fare tanto, ma tanto esercizio di scrittura. Le ore del mattino non bastano e organizzo degli incontri pomeridiani dedicati alle tipologie di scritto previste per l’Esame di Stato. Ora, pur tenendo presente il lavoro da dedicare alla forma, scrivere de che? Nel saggio breve bisogna sì esporre, ma anche argomentare, cioè sostenere una tesi, un punto di vista, possibilmente convincente (per confutare l’antitesi chiedo un altro anno a disposizione). Qui non c’è trippa per gatti. A leggere i primi “temini” ... pensierini terra a terra. Tesi, ove presenti, appena accennate. Su quali periodi intervenire, levare, modellare, limare, se manca la sostanza?
È tempo di porre davanti agli allievi (1 maschio e 21 femmine - così ancora l’obsoleta, fra un po’ bandita, presentazione della classe nella programmazione di inizio anno scolastico) dei pezzi di realtà. Perché inizino a dire, almeno a verbalizzare un “mi piace” (fb docet) o un “non mi piace” (fb non docet). Un banale “È bello - non è bello”.
Affianco al lavoro specifico sulla scrittura, la visione di un video musicale. Ovviamente parto con un pezzo che possa dividere. “Chandelier”, di Sia. Ecco che qualche bocca si apre e smozzica qualche parola, qualche impressione. “Non è bello, ma mi piace”. Faticano a uscire le emozioni, i sentimenti, ancor più i pensieri, figuriamoci gli aggettivi. Ma intanto l’attività è piaciuta.
Nei giorni successivi oltre al video si commenta il testo. Alcune settimane dopo è la volta di “Sabato”, di Jovanotti. Esigo un commento su musica, testo e video. Perché affinare lo sguardo su chi hai di fronte permette di distinguere il tuo giudizio sulla persona, sul suo comportamento e su ciò che sta dicendo. E vengon fuori cose interessanti. “Troppa violenza esibita, nel video come in tv, in generale. […] Corpo femminile trattato come un oggetto. Esibizione della violenza, ma anche del sesso. […] A scuola ci fanno educazione sessuale, ma sappiamo tutti come si fa. Servirebbe più un’educazione sentimentale” […] Si sa che il sabato sera è il momento degli abbracci, ma qui sembra che sia solo sesso”.
Ora questi ragazzi frequentano un liceo delle scienze umane con indirizzo economico. Perché andare tanto lontano e non rimanere nell’umano? Magari con qualche incursione nell’economico?
A fine incontro faccio vedere il video di Gianna Jessen, nata per aborto salino (conferenza tenuta a Melbourne del 2008). Già il giorno dopo, al mattino, mi chiedono quando ne parleremo.
Veniamo al giorno prestabilito per la discussione. “Peraltro Gianna viene in Italia a fine febbraio”, racconto ai ragazzi. Un gruppetto: “Andiamo a sentirla?” - Spiazzata.
“Troppi riferimenti religiosi, mi sarebbe piaciuto lo stesso discorso senza i riferimenti alla religione.” […] “Però lei dice di aver perdonato sua madre, e il perdono è cristiano”. “Uccidere i sopravvissuti è disumano” […] “Io sono contraria sempre all’aborto, tranne nei casi di stupro” […] “Io prima di veder questo video ero favorevole all’aborto nel caso di disabilità fisica o psichica, ma dopo averlo visto ho cambiato idea”.
Si anima il dibattito, che alzata di mano? Affermano, si infervorano, ribattono, discutono. “Io penso (finalmente, “io penso”) che … ma se capitasse a me non so cosa farei”. “I casi personali sono sempre una fregatura”. Qualcuno riprende dei termini che lo hanno colpito “Ho abortito più di un milione di bambini, per me è una passione” “Cioè…” (alcune frasi li lasciano ammutoliti, pietrificati). “Olocausto silenzioso”… Sì, Gianna parla, ma tutti quei milioni di “Gianna” abortiti non hanno potuto dire niente. E se fossero vivi, oggi, cosa direbbero? Cosa proverebbero nei confronti dei loro genitori? E come giudicherebbero uno Stato che per legge ha reso possibile la loro soppressione?
Avevamo già analizzato in precedenza una parte del famoso discorso di Steve Jobs (“Stay hungry, stay foolish”). Ci chiediamo quale sia la prospettiva di uno che era bambino, per il quale gli adulti, i genitori, hanno deciso il destino (“What arrogance…?” risuona continuamente) e quale sia la sua percezione, quali siano i suoi sentimenti, da adulto, nei confronti dei genitori. Perché ciascuno di noi ha una storia, è tutto intessuto di storia e tutto quello che abbiamo vissuto è traccia che rimane, da piccoli, da ragazzi, da adulti, da vecchi. Così, sempre riguardo all’importanza che ha sempre considerare il punto di vista, ripensiamo alla frase “Nessuna femminista radicale combatteva per i miei diritti quel giorno”.
“Loro lo sanno - dice una ragazza, riferendosi ai compagni - io non voglio avere un figlio mio, voglio adottarlo.”
E così si passa a parlare di adozione, inseminazione, compravendita di bambini. E a chiedersi quali sono le motivazioni che spingono qualcuno a comprare un bambino anziché adottarlo. Le loro ipotesi? La pratica adottiva è molto complessa e nel corso dell’adozione vengono fatti periodici gravosi controlli.
“Comprare un bambino mi fa pensare alla schiavitù, alla tratta dei neri”. Domanda: se tu scoprissi da adulto di essere stato comprato, come ti sentiresti? “Come un bambino che a tutti i costi vuole un giocattolo e alla fine il giocattolo glielo comprano.” E se i tuoi genitori ti dicessero che ti hanno sempre voluto bene, che hanno fatto di tutto per renderti felice? Cosa diresti loro? - Qui monta la rabbia, il volto è teso, sgrana gli occhi, una ragazza vomita “Comprati un gatto!”.
Ora stiamo scivolando (o forse scendendo in profondità)… Sono ventuno ragazze che si stanno scambiando sensazioni sul proprio “istinto materno”. Voglio il punto di vista maschile. All’unico maschio chiedo un parere: “Siamo tutti egoisti e quindi anche adottare un bambino è una forma di egoismo. Comunque prof. c’è un video molto bello che parla delle conseguenze che ha il parto e la vita prenatale nella vita da adulti”.
Conclusione. “Ma dicevate sul serio quando parlavate di andare a sentire Gianna?”. “Sì”. “Perché? Cosa vi interessa?” “Per vederla, conoscerla, farle delle domande…”
“Tu cosa le chiederesti?” “Boh, non lo so… Che rapporto ha con sua madre… quando ha incontrato Dio… se è felice”. (Così, tre domande a caso)
È ora di andare. Mentre ci infiliamo i giubbotti, una ragazza a cui sono venuti visibilmente i torciglioni allo stomaco (quella che vuole adottare) mi dice “Stanotte non dormirò…” Perché? “… devo pensare”.