Russia e Ucraina secondo Julij Kim
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Julij Kim, nato in Russia nel 1936, è un poeta famoso per i suoi film e le sue poesie burlesche diffuse fin dai tempi del samizdat. Oltre che poeta fu fin dal 1965 un dissidente che interveniva in nome della verità e in difesa della persona. Il testo che presentiamo ci mostra l’autore tutt’oggi dissidente e nel medesimo tempo conferma ciò che avevamo intravisto anche in altri recenti personaggi della Russia: ritorna anche in lui lo spirito del Samizdat che non è morto con la caduta del comunismo, anche se ha contribuito largamente a farlo cadere. Ma l’anima del Samizdat non ha mai avuto, come primo compito la lotta contro il comunismo ma l’affermazione del valore della persona e della sua responsabilità. Come nota apertamente anche lo stesso Kim; lui non rappresenta un movimento maggioritario in Russia, al contrario; di fronte all’esasperata esplosione del nazionalismo, che influenza la maggior parte della popolazione, i consenzienti, con Kim, rappresentano una minoranza, statisticamente anche trascurabile. Ma il Samizdat non fu mai maggioranza, ma ha vinto per la sua verità, l’impeto della propria responsabilità e la difesa dei perseguitati.
Il testo di Kim è quindi una speranza: puntare sul suo spirito perché possa aver fortuna per le sorti della Russia e dell’Ucraina non è un’illusione.
Alcuni suoi film sono rimasti famosi, come per esempio “L’uomo della Bulvar dei cappuccini”, “Il solito miracolo”, “12 sedie”. Alcune delle canzoni del tempo sovietico erano firmate con lo pseudonimo Michajlov per sfuggire alla repressione. Suo padre Kim C’er Sam fu fucilato nel 1938 come nemico del popolo e la madre Nina Vsesvjatska venne mandata in esilio per 10 anni.
Recentemente compose la “Canzone sulla quinta colonna” in cui si trova la frase: “la Russia dopo l’invasione della Crimea si è slogata tutta”. La canzone fu presentata negli Stati Uniti e poi in Israele, ma non è stato possibile fare lo stesso a Mosca. Egli vive abitualmente in due paesi in Russia e in Israele oltre a frequentare l’Ucraina.
D. Jurij C’ersanovic’, le canzoni della “quarta colonna” avranno un seguito?
R. No, sulla cattiveria del mondo compongo assai di rado. La canzone della “quinta colonna” si è formata da se stessa perché mi ero arrabbiato. Io mi arrabbio ancora, ma la cosa non arriva fino alla composizione. Per questa occorre uno stato d’animo preciso. Oggi ho altri progetti seri. Come prima collaboro con il teatro. L’opera teatrale, come quella del libro, è molto fiorente in Russia.
E’ vero, recentemente sono stato privato del mio alloggio nello scantinato di una casa abitabile nel vicolo Trechprudn a Mosca. Accanto vi è pure un magnifico teatro che presenta canzoni e offre notizie giornaliere in modo categorico, senza misericordia, con una severa percezione dei fatti. Questo suscita l’ostilità del potere, ma penso che si troverà sempre un posto per il teatro perché i miei amici hanno un grande sostegno da parte di altri amici. Per principio le conquiste democratiche degli anni 1990 non si possono eliminare. Naturalmente la censura ideologica esiste, ma in misura inferiore di quella dei tempi sovietici.
D. “I ragazzi fuori regola” della sua canzone possono oggi cambiare qualche cosa in Russia?
R. Non immagino ciò che potrà accadere. Non sono molti a decidersi di cambiare la sorte, prendendo parte a meeting e dimostrazioni, quando si rischia di ottenere, come minimo, 2 anni e mezzo di reclusione. Sebbene anche il potere sia costretto in qualche modo a destreggiarsi. Ne è un esempio la storia di Naval’n. Essi non decisero di condannarlo direttamente, ma fecero di tutto per chiudergli la bocca; condannarono suo fratello come ostaggio. Fra gli ostaggi c’è pure Platon Lebedev al quale non permettono di andare all’estero, per trattenere a briglia stretta Chodorkovskij. Il metodo degli ostaggi che si usava nell’URSS è usato anche nella Russia d’oggi.
D. Un quarto di secolo fa lei ha composto una canzone dal titolo “Le cucine di Mosca”; di che cosa in quel tempo non discutevano i moscoviti nelle sedute amichevoli, sotto i paralumi - sottovoce o a piena voce? Ma oggi che cosa dicono?
R. Come sempre della politica, sia estera che interna. Dal momento che gli avvenimenti politici più importanti, negli ultimi tempi, sono legati alla Crimea e al Donbass, naturalmente parlano di questo. Tutti gli altri temi, fra cui le sanzioni occidentali, si allacciano al tema principale.
Mi è molto spiaciuta la notizia che, anche quella parte della società russa che pensa, si è divisa duramente in due parti, per Putin e contro Putin. Alcuni miei amici consenzienti nei tempi passati, sui presenti avvenimenti improvvisamente sono esaltati dal patriottismo esasperato che, naturalmente, s’impone terribilmente attraverso i canali televisivi, finiscono sotto l’influenza fradicia di Putin e incominciano a decantarlo.
Ma generalmente nei racconti in cucina si crea un’atmosfera contraria al regime attuale, che naturalmente si esprime nei risultati di certe scelte. Di questo sono certo.
D. Lei è presente di frequente in Israele? Ivi nelle cucine di che si parla?
R. Ivi hanno i loro temi. Anzitutto il tema del conflitto arabo-israeliano che si prolunga da più di mezzo secolo. Tutto il tempo, dal 1948, quando Israele nacque come stato, il paese si trova permanentemente in situazione di guerra. Uno dei temi più dolorosi di Israele è il rapporto della società europea nei confronti di questo conflitto; è la furibonda difesa dei diritti del popolo palestinese che, in realtà, nessuno vuole attentare.
D. In una sua intervista, ritornando ai tempi sovietici, lei ha ricordato il XX congresso del PCUS e il discorso di Chrus’cev sul “Culto della personalità e le sue conseguenze” che fece conoscere i terribili delitti dell’opera staliniana. Lei ha detto che questo documento ha scosso la gente dalla ipnosi. Ma oggi che cosa può ridestare i russi dalla ipnosi?
R. In Russia l’attuale regime si è cacciato in un vicolo cieco dal quale è necessario uscire per non andare in rovina assieme al paese. Questa necessità cresce di giorno in giorno. Il regime deve trovare una via d’uscita e andare incontro a serie concessioni. Altrimenti la società dovrà essa stessa risolvere il problema. Si interesserà essa stessa.
D. Secondo i dati ufficiali l’emigrazione dalla Russia oggi ha raggiunto, dagli ultimi 15 anni, il punto più alto.
R. E’ totalmente vera la sensazione che cresce la mancanza d’aria. Un tempo si diceva di Bloc che si tolse la vita per mancanza d’aria. Più o meno la stessa cosa, dopo esser passati molti anni, all’inizio degli anni 1980, prima che giungesse Gorbac’ev, Okudz’ava, alla domanda come si sentisse, rispondeva: ”io muoio”. A lui pure mancava l’aria.
Alla nostra Duma statale sconsiderata sono state proposte iniziative che limitano gli artisti in varie direzioni. L’ultima “conquista” fu lo scandalo sul film di Andreij Zvjagincev “Leviatan” in cui bestemmiano molto e bevono la vodka…
Io penso che la censura politica passerà assieme alla politica di Putin.
Cercare di capire il mondo interiore di Putin partendo dalle sue azioni è del tutto insignificante, perché lui è certamente un uomo pratico, pragmatico, possiede una buona tattica, ma è un cattivo stratega. E’ certamente un uomo chiuso in se stesso. Giocare all’apertura è una sua necessità statale con cui, come ha dimostrato nella sua complessa conferenza stampa, lui se la sa cavare. Sa rivolgersi bene all’uditorio e, anche quando sollevano problemi complessi, appare raramente sul suo volto una smorfia di difficoltà. Egli si dimostra aperto, ma non credo che si possano trovare una decina di persone che possano dire di conoscerlo e lo comprendono.
D. Dopo un anno, oggi l’Ucraina ricorda gli avvenimenti tragici di Majdan. Lei, che ha avuto la possibilità di essere presente, non ha avuto l’impressione che Putin non perdonerà mai Majdan agli ucraini?
R. Io fui a Majdan il 1 maggio. Già era una giornata di fucilazioni, ma io trascorsi le tracce dolorose di quegli avvenimenti con una persona meravigliosa, scienziato, responsabile della sicurezza dei musei e delle biblioteche durante il Majdan. Purtroppo non ricordo il nome. Lui è un uomo autentico, attivista e, come tutta l’atmosfera del Majdan, fece su di me una impressione fortissima.
Io ho compreso, sentito, saputo che a Putin non piace assolutamente nulla di ciò che accade in Ucraina, ma prevedere che dopo di questo sarebbe seguita la conquista della Crimea certamente non potevo supporlo (sebbene ci fosse già una certa agitazione, ma che si giungesse a una aperta invasione “degli uomini verdi” non era mai successo) e in seguito anche del Donbass. Nessuno avrebbe potuto pensare che Putin si sarebbe deciso a tanto. Sebbene si dica che il distacco della Crimea era pianificato fin dal 2004, ma questi eventualmente erano piani del tutto segreti.
Nel mio viaggio giunsi a Lugansk e nel Donec. Ivi esisteva già una certa opposizione ma non molto seria. Improvvisamente attorno al monumento di Lenin erano rimaste soltanto due tende con diverse insegne, una dei comunisti e l’altra dei patrioti ucraini. Gli abitanti locali mi dissero che il popolo si riuniva attorno ad esse soltanto nei giorni di vacanza. Alcuni cercavano di togliere Lenin dal piedestallo, ma altri lo difendevano.
Fin d’allora si tenevano migliaia di meeting, i miei conoscenti del Donbass mi raccontavano che in autobus strapieni giungevano dalla Russia sfrenati agitatori. Lo stesso schema, per quanto io sappia, succedeva a Charkov dove gli agitatori giungevano fino da Vologda, ma ivi questa operazione non riuscì.
D. Lei è legato all’Ucraina non soltanto per l’amore dei suoi ascoltatori, ma anche per un possedimento familiare presso Poltava. Non teme che la guerra non lo metta in discordia con i vicini di casa?
R: Nel villaggio di S’s’aka, nella beata terra di Gogol abbiamo una piccola casa dove ogni anno va a riposare mia figlia con i nipoti e dove l’estate vi passo dieci giorni. Ci hanno ricevuti con la stessa gioia, come per i passati trenta anni. Sebbene, a dire il vero, temevo che gli abitanti locali, verso noi russi, si sarebbero comportati ostilmente, ma nei rapporti non abbiamo notato nessun sgarbo. Ripeto, questo avvenne l’anno scorso. Ciò che sarà in futuro non posso prevederlo.