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Senza identità non c’è dialogo

Fonte:
CulturaCattolica.it
A proposito di quanto ascoltato in TV «A Sua Immagine». Un insegnante di religione... non più «cattolica»

Ci risiamo: di fronte alle sfide culturali odierne sembra preferirsi l’abbassare la guardia piuttosto che approfondire quel dialogo tra identità che garantirebbe la serietà di un confronto. Spesso si cita papa Francesco, ma ci sono dei paurosi vuoti di memoria e delle censure che cancellano il suo proprio messaggio. Penso a quanto egli ha detto a proposito di dialogo il 17 agosto di quest’anno con i Vescovi dell’Asia: «Nell’intraprendere il cammino del dialogo con individui e culture, quale dev’essere il nostro punto di partenza e il nostro punto di riferimento fondamentale che ci guida alla nostra meta? Certamente esso è la nostra identità propria, la nostra identità di cristiani. Non possiamo impegnarci in un vero dialogo se non siamo consapevoli della nostra identità. Dal niente, dal nulla, dalla nebbia dell’autocoscienza non si può dialogare, non si può incominciare a dialogare. E, d’altra parte, non può esserci dialogo autentico se non siamo capaci di aprire la mente e il cuore, con empatia e sincera accoglienza verso coloro ai quali parliamo».
E la scuola, se vuole essere luogo educativo e non campo di rieducazione, deve favorire il processo di consapevolezza di sé e della propria storia e identità. Non dimentichiamo queste parole: «Vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del “pensiero unico”. Mi diceva, poco più di una settimana fa, un grande educatore: “A volte, non si sa se con questi progetti - riferendosi a progetti concreti di educazione - si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione”.»
Ora sarebbe auspicabile che insegnanti di religione cattolica, che hanno ricevuto l’idoneità dal loro Vescovo diocesano e sono quindi, in qualche modo, del «mandati» siano in sintonia con quanto la Chiesa stessa, per bocca dei suoi pastori, afferma. Anche recentemente la CEI, invitando i giovani e le loro famiglie ad avvalersi dell’insegnamento della Religione CATTOLICA, così si è espressa: «Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che questa scelta non è una dichiarazione di appartenenza religiosa, né pretende di condizionare la coscienza di qualcuno, ma esprime solo la richiesta alla scuola di voler essere istruiti anche sui contenuti della religione cattolica che costituisce una chiave di lettura fondamentale della realtà in cui noi tutti oggi viviamo.
Il mondo si sta trasformando sempre più velocemente, i conflitti e le contrapposizioni diventano sempre più drammatici e anche la società italiana è diventata sempre più plurale e multiforme, ma la storia da cui veniamo è un dato immodificabile e le tracce che in essa ha lasciato e continua ad offrire la Chiesa costituiscono un contributo evidente ed efficace per la crescita della società di tutti.»
Allora ritengo che sia importante parlare uno stesso linguaggio, soprattutto se con un compito specifico di insegnamento, per evitare confusione e pressapochismi. Nicola Incampo, esperto delle questioni giuridiche dell’IRC per CulturaCattolica.it, ci aiuta con precisione in questo campo.

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