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Morte, c'è chi ti ha vinto!

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Se cerchi la luce, Benedetto, perché scegli la grotta buia? La grotta non offre la luce che cerchi. Continua pure nelle tenebre a cercare la luce fulgente, perché solo in una notte fonda brillano le stelle».
(Iscrizione sul muro, del XVI secolo)

E’ morta Caterina, vent’anni, figlia di amici. Un terribile incidente d’auto.
Sono notizie che sconquassano, quando le leggi sui giornali o le senti in tivù. Anche se quel nome e cognome non ti dice nulla, anche se quel volto ti è ignoto. Sono un punto di domanda che ti si conficca nel cuore, queste giovani vite interrotte. Perché? Fa così male che ti manca il fiato, la voce. Quando quel sangue, quel lutto è di persone amiche, ancor di più.
E non sai cosa dire a quel padre, a quella madre, al fratello che era alla guida, agli altri fratelli a casa (in cinque, erano…) E ti rivedi in quella madre, e in Caterina vedi tua figlia, che ha la stessa età. E non puoi non pensare. Quei ragazzi, i miei…
Non ho parole da regalare a questi amici, oggi che il dolore paralizza il cuore e l’andare. In questo tempo sospeso prima del funerale, penso in realtà che non sono le parole che aiutano, ma esserci. Come gli amici che hanno calato dal tetto la lettiga del paralitico. Noi, compagni di cammino, questo solo possiamo fare: non offrire parole nostre ma offrire noi stessi come traghettatori, per portare a Lui questa famiglia ferita. Perché il Cristianesimo non è un discorso, è un incontro, e di fronte al dolore, a questo dolore, c’è bisogno di incontrare un abbraccio di carne, c’è bisogno della carezza del Nazareno. E così, ci ho pensato e ripensato e non ho altro modo per dire a loro ciò che ho nel cuore, se non portarli alla Roccia a cui aggrapparsi per non cadere nel baratro della disperazione.
A Subiaco, nella valle dell’Aniene, sorge un monastero attorno alla grotta in cui San Benedetto restò tre anni ignoto a tutti, eccetto a Dio e al monaco Romano che dall’orlo della roccia scoscesa al di sopra dello speco calava al giovane eremita, mediante una lunga corda, il poco che poteva sottrarre al suo pasto. Ci sono andata venerdì, al ritorno dalla mia vacanza nel Cilento, e non mi dilungo a raccontare cosa ho visto, l’emozione che ho provato. Dico solo che muri, volte, scale si fondono con la roccia e che le pitture nel tempo hanno rivestito tutte le superfici, popolando di storie e di immagini le pareti. Bellezza da non credere possibile, in un posto che il mondo immagina abbandonato da Dio e dagli uomini.
Entri, invece, e ti sposti tra la chiesa superiore, quella inferiore, la cappella dei pastori, quella della Madonna, il Sacro Speco, e ti senti preso per mano, accompagnato in questa storia di salvezza che non lascia fuori niente e nessuno.
C’è, raffigurato in una parete a destra, Il trionfo della morte. Su un cavallo pieno di vigore, uno scheletro dai lunghi capelli al vento e le pupille nere colpisce un giovane con una lunga spada. Sotto di lui, una fila di cadaveri. A sinistra, un monaco mostra a tre persone il corpo dopo il decesso, in stadi diversi. C’è un’altra scena di morte: La strage degli innocenti. E commuovono i volti di queste donne su cui si avventano come bestie, i soldati. Lo sguardo di una madre che perde suo figlio è uguale in tutti i tempi a tutte le latitudini.
Ma nella cappella della Madonna l’occhio resta catturato prima dalla Morte e poi dall’Assunzione di Maria Santissima. La Vergine Assunta in Cielo ha il braccio sinistro sulla spalla del Figlio e reclina dolcemente la guancia sulla propria mano, in un’immagine di tenerezza letteralmente dell’altro mondo. Non è la morte, allora, l’ultima parola: è questo il destino che ci attende Lassù!
Regalo questo luogo ai miei amici, perché non è che un cristiano non sente il dolore, la lacerazione del distacco da un figlio, che è carne della propria carne. Ma un cristiano sa che ogni luogo, ogni circostanza sono stati redenti dalla Croce e dalla Resurrezione di Cristo.
Non è un discorso, è una certezza scolpita in quella roccia a Subiaco, che «la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo» e che tutto è prezioso agli occhi del Signore, persino quelle rocce neglette dagli uomini e ora segno di Lui. Niente di noi andrà perduto.
In una grotta, a Betlemme, Dio si è fatto Uomo. Da quella grotta di Subiaco sono uscite legioni di monaci e di Santi, che in mezzo alla barbarie di secoli oscuri posero i germi di quella civiltà da cui tutti veniamo e che per secoli ha dato ragioni del vivere e del morire. Anche oggi, a noi, qui, perché le testimoniamo gli uni agli altri.
Requiem æternam dona a Caterina, Domine, et lux perpetua luceat ei. Requiescat in pace. Amen.

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