Carlo Lissi ha confessato
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(A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. X)

Confesso, ho cambiato canale. Come una doccia gelata mi è piombata in casa, tra il primo e il secondo, la notizia del triplice omicidio di Motta Visconti. Carlo Lissi ha confessato. E giù con i dettagli dove come quando, la ricostruzione dei fatti, le interviste ai vicini.
Ho cambiato canale ma me l’hanno ributtata in faccia, quella notizia. Sgozzata la moglie, la figlia Giulia di 5 anni, poi è toccato a Gabriele di 20 mesi. La cassaforte aperta, la simulazione del furto, la partita da amici…
«Prima hanno fatto l’amore sul divano… lui l’ha ammazzata mentre gli chiedeva perché…»
Allora la tivù l’ho proprio spenta, e con rabbia.
Che roba è diventato il giornalismo, mi sono detta, se la caccia all’esclusiva viene prima del rispetto di chi muore. Se chiamano «dovere di cronaca» il resoconto di dettagli che non dovrebbero e non devono interessarci. Se si viola il dolore di chi resta. Se in nome dell’audience diventano gossip anche le tragedie.
Ho spento la tivù ma mi è rimasta negli occhi, quella villetta nell’hinterland milanese. Un nido. Quelle foto del matrimonio. Lui e lei sorridenti. Una giovane coppia innamorata.
Le orecchie l’hanno sentita la storia di Carlo e Cristina. «Una famiglia felice», senza problemi di lavoro di salute di soldi.
«Perché?».
Il grido di Cristina è il mio grido, il nostro. E’ questo che ci rode dentro come un tarlo, che non ci lascia in pace, che ci fa stare increduli, incollati davanti alla tivù, o ci fa cambiare canale.
Meglio sarebbe un maniaco, un serial killer, una resa dei conti, un ladro, un drogato, un pazzo scatenato, un latitante senza volto. Stessa efferatezza, ma vuoi mettere? Il cuore sarebbe in pace.
Ora leggeremo le solite tiritere sul femminicidio. Cristina un’altra vittima. Sui social la vedi, la rabbia che monta. In galera, buttate la chiave! A morte! Dategli una corda ben solida, che provveda da sé a farla finita per sempre, a scomparire dalla faccia della terra.
Cambiamo canale, spegniamo la tivù, diamo nomi nuovi alla cattiveria di sempre, indaghiamo sui moventi (quell’amore non ricambiato…) o vorremmo se ne andasse lui, Carlo, per sempre, per non vederlo più. Perché quel marito, quel padre ci ricorda che il male è dentro. Dentro quel nido, dentro quella famiglia felice, dentro ogni uomo, dentro di noi.
Ma in questo mare di chiacchiere è l’unica cosa che non si può dire.