Il perdono di Erba
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(Boris L. Pasternak, Amleto)

Non alza l’audience, Carlo Castagna. E così i riflettori sono sempre stati puntati su Rosa e Olindo Romano, i coniugi che l’11 dicembre 2006, nella cittadina di Erba, hanno ucciso, brutalmente, quasi tutta la sua famiglia. I media, all’unanimità, per mesi, anzi per anni hanno scelto che storia raccontare, su chi valesse la pena puntare i binocoli, focalizzare l’attenzione, e così, a tutte le ore, perlopiù non richieste, sono entrate nelle nostre case intercettazioni, indiscrezioni, ricostruzioni, immagini, filmati. Anche il testo delle lettere scambiate, in carcere, tra i due sposi assassini.
Lui, Carlo Castagna, marito di Paola, padre di Raffaella, nonno di Youssef, lasciato - e rimasto - silenzioso in disparte, nell’ombra.
Che farsene di uno così, dicono quelli che si occupano di palinsesti e dei dati Auditel. A chi vuoi interessi uno che perdona ancor prima di conoscere il nome degli assassini dei suoi cari. Che non dà in escandescenze, che non indice una conferenza stampa per annunciare lo sciopero della fame e della sete, che non si incatena ai cancelli dei tribunali per chiedere non solo giustizia ma vendetta per un gesto così obiettivamente efferato. La moglie, la figlia, il nipotino di due anni, ed anche Valeria Cherubini, la vicina di casa di Raffaella: quattro persone sgozzate quasi in contemporanea, l’appartamento dato a fuoco e lui che fa? Dice vi perdono.
Quest’uomo da più di cinque anni vive la sua vita dimenticato dal mondo dei media, che sono così: finché la notizia “tira” le stai addosso, poi cade nel dimenticatoio. Avanti la prossima strage.
Fino a mercoledì scorso. Fino a quando, nella trasmissione “Viaggio a…”, Paolo Brosio non è andato a Erba, provincia di Como, a trovarlo, e gli ha chiesto di raccontare la sua storia.
Mi capita di rado, ma qualche volta succede. Mercoledì non ho guardato o ascoltato la trasmissione; l’ho seguita. Letteralmente. Mi sono lasciata prendere per mano perché, sin dalle prime parole pronunciate con semplicità da questo marito, e padre, e nonno, ho capito che “si può vivere così”. Anzi, ho capito che, dopo la carneficina nell’appartamento di via Diaz, l’unico modo per continuare a vivere umanamente la vita poteva e può essere solo il suo. In alternativa, la morte.
Quest’uomo ha perdonato. Subito: la sera dell’11 dicembre del 2006. E non sono state “parole”, le sue: una formula. Davanti alla morte delle persone più care non si finge, e non ci sono discorsi che tengano. “Il perdono serve a me”, ha raccontato nel corso della trasmissione. Ed ha aggiunto che non si può vivere odiando: sarebbe una tragedia. “Io vivrei di angoscia se passassi le mie ore nel livore, macerato dall’odio. Il perdono invece rende liberi perché è un momento di congiunzione con il Padre”.
Dopo ciò che di terribile è accaduto alla sua famiglia, Carlo Castagna ha visto di fronte a sé, come di traverso alla strada, non cercata, la croce. Pareva gli dicesse “se mi accogli ti sorreggo, se mi rifiuti ti schiaccio”, e così l’ha accolta, l’ha abbracciata.
Abbraccerebbe - ha detto - anche gli assassini della moglie, della figlia, del nipotino, li avesse davanti a sé. Per loro prega, perché abbiano il cuore libero e non di pietra; perché si convertano, perché il Signore non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.
Stridono e infastidiscono le parole di quest’uomo addolorato eppure sereno, in quest’epoca in cui lo sport nazionale sono i processi televisivi e da bar; in cui per mesi siamo stati sommersi da intercettazioni e la gogna mediatica ha rubato spazi, tempo, azione alla politica e alla cronaca; in cui neanche erano compiute le operazioni di soccorso ai viaggiatori della Costa Concordia e già il mondo, senza indagini, aveva deciso di chi fosse la responsabilità della tragedia.
Ha detto bene, davanti alle telecamere, la giornalista Lucia Bellaspiga, che con Carlo Castagna ha scritto Il perdono di Erba: “Tutto oggi si può perdonare, tranne il perdono”.
Il perdono, che riusciamo a dare solo se prima l’abbiamo ricevuto, perché è misura alta, ed altra, rispetto a quella umana, pare non avere cittadinanza, a questo mondo. E invece…si può vivere così. Lo raccontano gli occhi lucidi ma sereni di quest’uomo che non esibisce la pace che ha trovato: la vive. Lo raccontano i frutti di questo gesto d’amore gratuito e per molti scandaloso: “Casa Raffaella”, la casa di sua figlia, è diventata una casa della Caritas, ed ospita famiglie in difficoltà, segno che dal male, sempre, può nascere il bene.
Eppure queste notizie non fanno notizia: non sono da prima pagina perché non solleticano i nostri istinti più bassi (la curiosità, la rabbia, il gusto del macabro, l’impulso alla vendetta…). Invitano ad un modo “altro” di vivere la vita. Talmente “altro” che è considerato incredibile, incomprensibile. Folle. Proprio come Paolo Brosio, l’intervistatore di Carlo Castagna. Giornalista e conduttore di successo fino alla conversione, poi è diventato, per molti del suo ambiente, uno fuori dagli schemi, un visionario, uno…scomodo. Parla della Madonna, Brosio; di Medjugorje, della confessione, della preghiera. Organizza pellegrinaggi, gira con un rosario al polso…figuriamoci!
Che tenerezza, invece, il suo sguardo, i suoi silenzi lunghi, durante la trasmissione di mercoledì. Credo si sia lasciato prendere per mano da Carlo Castagna proprio come ho fatto io. L’ha seguito, come ho fatto io. L’ha pure scritto, nel suo libro A un passo dal baratro, cosa gli capita, da che si è convertito: “Una cosa incredibile per me che mi sto affacciando come un bambino alla finestra per vedere un mondo nuovo, mai visto prima, del quale mi sto innamorando come un pazzo”.
Brosio ha iniziato, con mercoledì, su Rete 4, una serie di puntate in prima serata, dal titolo “Viaggio a…”. Non lo conosco così bene da esserne certa, ma ho seguito la storia della sua conversione e spesso ho pregato per lui. Ho letto i suoi libri e ipotizzo – spero non se ne abbia a male – che il titolo del programma nasca anche da alcune riflessioni pubblicate nel testo sopra citato, che è diventato un bestseller: “La fede va cercata con la forza della preghiera e tutti i giorni. Ogni giorno. Perché ogni giorno possiamo smarrirci, possiamo perdere la luce, e allora dobbiamo metterci in viaggio come Giuseppe e Maria fino a quando non l’abbiamo ritrovata. (…) Credere in Dio è un percorso, noi possiamo solo intraprenderlo”.
Si può vivere così: in cammino. Come Paolo, che, “il tempo di un’Ave o Maria detta con calma, col cuore aperto dal dolore e dal rimorso, sedici secondi” ed ha ritrovato la strada che aveva perduta.
Si può vivere così: camminando non da superuomini ma da poveri cristiani. Come Carlo Castagna. Disteso in croce come Cristo, ma con la certezza che la sua croce, pesante, è un Altro a sorreggerla.