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Compagnia per la vita o compagnia per la morte?

Autore:
Vena, don Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
Abbiamo letto le esternazioni del Presidente Napolitano a proposito di eutanasia, secondo cui "Il parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita e eludere un sereno e approfondito confronto di idee sulle condizioni estreme di migliaia di malati terminali in Italia".
Non è l'eutanasia la soluzione al dramma del fine vita, ma una autentica capacità di stare vicino ad «ogni uomo che soffre», come ci ha da sempre insegnato Giovanni Paolo II.
Nel ricordo di quei terribili giorni che hanno deciso della morte inflitta alla povera e cara Eluana, riportiamo le parole di Don Andrea Vena, parroco di Bibbione, pubblicate da Avvenire il 5 febbraio 2009, e la lettera sconvolgente della Ven. Benedetta Bianchi Porro a Natalino. E mi è caro ricordare questa missiva per il sostegno che da sempre ha dato alla mia vocazione. [Don Gabriele Mangiarotti]

Carissimo Direttore [di Avvenire],
il segretario generale della Cei, mons. Crociata, ha chiesto di tacere e, a chi credente, di pregare. Accolgo volentieri il suo invito, anche perché ho ancora il cuore messo sottosopra dalla notizia del trasferimento di Eluana. Eppure.., eppure mi è tornata alla mente una lettera della venerabile Benedetta Bianchi Porro, morta nel 1964. Vede, se per Eluana si è creata un’associazione di volontari per farla morire, per Benedetta si era creato un gruppo di amici per farla vivere. Un gruppo di amici ai quali ben si addice un famoso apologo: «Un uomo passando per la strada vede un bambino che muore di fame, e grida al cielo: “Dio, che cosa fai per lui?” E una voce risponde: “Io, per lui, ho fatto te”». Una testimonianza che conferma quanto il buon Dio susciti i “santi” al momento opportuno per indicarci, nei momenti bui, i modelli da seguire con certezza e fiducia. E allora, Direttore, mi permetta di lasciare a Benedetta l’ultima parola, certo che la sua testimonianza è oggi la parola più opportuna per noi.

don Andrea Vena

Sirmione, 1963 Caro Natalino, in “Epoca” è stata riportata una tua lettera, che la mamma mi ha trasmesso per mezzo delle mani. Sono sorda e cieca, perciò le cose, per me diventano abbastanza difficoltose. Anch’io, come te, ho ventisette anni, e sono inferma da tempo. Un morbo mi ha atrofizzata, quando stavo per coronare i miei lunghi anni di studio: ero laureanda in medicina, a Milano. Accusavo da tempo una sordità cui i medici stessi non credevano, all’inizio. E io andavo avanti così non creduta, e tuffata nei miei studi che amavo disperatamene. Avevo sedici anni quand’ero già iscritta all’Università. Poi il male mi ha completamente arrestata quando avevo quasi terminato lo studio. Ero all’ultimo esame, e la mia quasi laurea mi è servita solo per diagnosticare me stessa: perché, ancora, fino allora nessuno aveva capito di che si trattasse. Fino a tre mesi fa godevo ancora della vista: ora è notte. Però nel mio Calvario non sono disperata. Io so, che infondo alla via, Gesù mi aspetta. Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora, ho trovato una sapienza più. grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è Amore, Fedeltà, Gioia, Fortezza, fino alla consumazione dei secoli. Fra poco io non sarò più che un nome, ma il mio spirito vivrà, qui fra i miei, fra chi soffre, e non avrò neppure io sofferto invano. E tu, Natalino, non sentirti solo, mai. Procedi serenamente lungo il cammino del tempo, e riceverai luce, verità, la strada sulla quale esiste veramente la Giustizia, che non è quella degli uomini, ma la giustizia che Dio solo può dare, le mie giornate non sono facili: sono dure, ma dolci, perché Gesù è con me, col mio patire, e mi dà soavità nella solitudine e luce nel buio. Lui mi sorride e accetta la mia cooperazione con Lui. Ciao, Natale, la vita è breve; passa velocemente. Tutto è una brevissima passerella, pericolosa per chi vuole sfrenatamente godere, ma sicura per chi coopera con Lui, per giungere in Patria. Ti abbraccio
Tua sorella in Cristo
Benedetta Bianchi Porro

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