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«Quando ti sarà chiesta la vita...»

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Non avrebbe servito a nulla star seduto ad aspettare quello che non avevo, e quindi la necessità risvegliò la mia intelligenza. (…) Presi solo quanto mi serviva immediatamente; perché c’erano altre cose che mi parevano più importanti, e anzitutto strumenti per lavorare la terra. Dovetti cercare a lungo per trovare la cassa del falegname, che fu davvero una preda utilissima per me, e molto più preziosa di quello che avrebbe potuto essermi in quel momento una nave carica d’oro».
(Daniel Defoe, Robinson Crusoe)

Mi viene in mente Robinson Crusoe, il suo naufragio. Unico superstite e solo, nell’isola, ha poco tempo per raggiungere a nuoto l’imbarcazione e recuperare qualche oggetto prima che il relitto vada a picco. Lui e tutto ciò che vi è a bordo.
Ci sono delle volte, nella vita, in cui gli eventi ci costringono a cambiare le gerarchie. Il ciclone che si è abbattuto sulle Filippine, l’alluvione che ha messo in ginocchio la Sardegna, una malattia…
Robinson, in quell’isola deserta, non avrebbe saputo che farsene – l’ha detto – di una nave carica d’oro. Sì, proprio quell’oro che ci pare possa comprare tutto.
L’oro non compra il tempo, non la salute, non la salvezza. Non può aggiungere neanche un granello di sabbia alla clessidra della nostra vita.

E mi viene in mente la borsa della mia amica Roberta. La portava sempre con sé. Anche in ospedale, per quell’ultimo ricovero prima di chiudere gli occhi per sempre.
Ero con lei e le tenevo la mano quando è spirata. E quando la sua mamma, dopo, mi ha chiesto di cercare, dentro quella borsa, il cellulare, ho capito, di lei, tante cose.
L’abbiamo ricoverata un giorno prima che morisse. Aveva la febbre alta ed è salita in auto in pigiama e pantofole. Senza le sue belle scarpe, i suoi bei vestiti, i suoi gioielli. Senza il tempo per truccarsi, per sistemarsi i capelli. Ma ha voluto con sé la sua borsa (per farne cosa, in ospedale, mi chiedevo…)
In quella borsa, piccola, il portafoglio, la carta di identità, e una foto di lei, bambina, in braccio alla sua mamma. L’agendina con i numeri di telefono degli amici e un quadernetto in cui, da che si è ammalata, ha iniziato ad appuntare i suoi pensieri. E poi un rosario, l’immagine di Gesù misericordioso, preghiere alla Madonna, un sassolino che per lei avevo raccolto sul Podbrdo, a Medjugorje, e che teneva sempre con sé. Ho capito.
La malattia, l’ospedale, la chemio l’hanno alleggerita della zavorra. Si è liberata di ciò che non conta. E ciò che sostanzia davvero la vita era tutto con lei. Lì. Dentro quella borsa. Dentro il suo cuore.

E in questi giorni in cui trepidiamo e preghiamo per la Sardegna, mi viene in mente Guareschi, e un’altra alluvione: quella raccontata nel suo Mondo piccolo, che è poi anche il nostro perché il cuore dell’uomo è sempre lo stesso e nel profondo lo sa, cosa conta davvero.
Il grande fiume è illuminato, e passa la statua della Madonna sulla barca infiorata...
Per i cristiani è così. C’è un essenziale che è più essenziale di un tetto sopra la testa, dei soldi, degli abiti, del cibo. E’ ciò che aiuta a rialzarsi, a ricominciare, ed indica, tra le macerie, la strada.
Come in questa foto splendida, scattata nel disastro delle Filippine.
«La Bellezza salverà il mondo»: non il denaro, non il progresso.
E’ la Bellezza inchiodata a quella croce, che precede e sostiene le nostre croci quotidiane.
E’ la fierezza di questi cristiani.
E’ Cristo, il più bello dei figli dell’uomo. Il Risorto.

«Il fiume si era gonfiato e premeva per un buon metro d’altezza contro gli argini ma, quando finalmente una mattina smise di piovere e parve che il cielo si tranquillizzasse, e si decise di fare la straordinaria processione, la gente corse sugli argini e, quando cadde la sera, si accesero i lampioncini e fu una cosa da scrivere sui libri tanto era bella.
Ed ecco che la barca sfolgorante con la Madonna lascia Fontana. (…)
Passa la piccola flotta con la gran barca piena di luce in testa da paese a paese: la gente è tutta sugli argini. Oramai ha già toccato il paese vicino a quello di don Camillo, ma don Camillo non è sull’argine ad aspettare la Madonna: l’argine è deserto. Nella mattinata è saltata fuori una infiltrazione; l’acqua si è scavata un buco sotto l’argine e rapidamente il buco si è ingrossato: alle sei di sera c’è mezzo metro di acqua in paese. Alle sette sono ottanta centimetri. Le bestie sono state portate tutte al di là del secondo argine e, nelle case, la gente è salita al primo piano.
L’argine è deserto e buio davanti al paese e alle nove l’acqua nel borgo è alta un metro. Ma non può più salire perché l’acqua in paese ha raggiunto il livello del fiume.
L’argine emerge dall’acqua circa un metro ma sotto, per tre o quattro metri, è tutto vuoto, perché l’acqua ha mangiato tutto. Così, quando la gran barca della Madonna arriva, l’onda basta a buttar giù quell’inutile terra e la chiatta entra piena di luci nel borgo e tutti sono alle finestre, e non c’è lume in paese che non sia acceso.
I paesi lungo il fiume sono semplici: due lunghe file di case perpendicolari all’argine, in fondo la piazza e la chiesa.
La gran chiatta navigò lungo quel Canal Grande. Navigò maestosa (…) e andò a fermarsi davanti alla chiesa.
Qui la aspettava don Camillo, vestito dei suoi più bei paramenti, e dentro l’acqua fino a mezza vita.
Dietro di lui, dentro l’acqua fino alla cintola, c’erano il sindaco Peppone col Consiglio comunale al completo. E la chiesa era illuminata, e il Cristo si specchiava nell’acqua che lambiva l’altare maggiore…». [Guareschi, Sul fiume]



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