Autofecondazione: la tragicità dell'ovvio
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Non so se mi turba più la notizia o il modo in cui viene data.
Copia perfetta di Co-parents.net, scopro oggi che esiste, in Italia, il sito Co-genitori.it. Conta quasi 100 mila iscritti e mette in contatto lebiche, gay o coloro che non desiderano sposarsi o vivere in coppia ma vogliono un figlio. Trenta euro al mese, Tizio e Caia si scelgono sul web e stipulano un contratto per determinare i dettagli di co-parenting.
Nell’articolo di Deborah Ameri, su D La Repubblica di questa settimana, si racconta la storia di Dawn Pieke, 43 anni, marketing manager americana, e Fabian Blue, 44enne, impiegato di Melbourne. «Lei voleva un figlio a tutti i costi ma anche una figura paterna, lui non poteva permettersi una mamma surrogato e sapeva che la strada dell’adozione da single sarebbe stata impervia. Si sono trovati sulla pagina Facebook di Co-parents.net, e dopo quattro mesi di analisi mediche, accordi finanziari e abitativi, lui ha fatto le valigie per gli Stati Uniti e si è trasferito a Omaha». A questo punto, a prendere la parola è Dawn. «Si è sistemato in una stanza del mio appartamento e dopo un po’ di convivenza mi ha consegnato un campione del suo sperma. Ci siamo abbracciati e poi sono andata in camera mia e mi sono inseminata».
Questi, Dawn e Fabian. Dal self service sopra detto è nato Indigo.
Nell’epoca dei desideri al potere e del massimo risultato-minimo sforzo, Rachel Hope, 42 anni, scrittrice freelance, ha già avuto due gravidanze programmate con due diversi amici ai quali «non era romanticamente legata», sta cercando il terzo figlio e «vuole un padre in salute, in forma e con una certa disponibilità finanziaria». Trenta dollari al mese, in perfetto stile low-cost, per trovare il co-genitore “ideale”.
Piatto ricco mi ci ficco, neanche a dirlo siti e social network si sono buttati sul mercato, e pare che realtà come queste stiano spuntando come funghi un po’ qui un po’ lì.
Tipologia dei clienti? «Soprattutto professioniste, manager e donne in carriera over 35, che sanno di non avere ancora molto tempo a disposizione. Oppure uomini che non desiderano fare i padri single ma non cercano relazioni stabili, gay e lesbiche».
E l’amore?”, si chiede la giornalista. «Non è fondamentale. Se scocca la passione bene, altrimenti tra futuro padre e futura madre esiste solo un contratto per determinare al dettaglio i termini del co-parenting. La prima cosa da decidere è come concepire il bambino. Gli esperti suggeriscono l’inseminazione artificiale, ma i due candidati possono anche scegliere il buon e vecchio sesso, decisamente più economico».
Ecco, appunto. Di amore non c’è traccia, e non è più nemmeno “questione di feeling”. Oggi i figli non si procreano, si fanno. E si pagano.
Ma torniamo all’inizio di questa riflessione. Ho letto, mentre stamane bevevo il caffè, ed ho provato disgusto. Oltre che per la notizia in sé, per il modo asettico in cui è stata raccontata.
Due pagine di articolo e non si parla mai di questi bambini, nati dopo un incontro in internet. Nati da un campione di sperma e un ovulo di due sconosciuti. Co-parents che prima ancora di mettere al mondo quel figlio sanno che non vivranno insieme, che avranno o già hanno partner diversi. Figli che – bazzecole? – si troveranno un padre e una madre “per contratto”, più una serie di altre figure che non si sa bene a che titolo gireranno loro intorno e incideranno nella loro formazione.
Questo non si dice. Non si pone nemmeno come problema.
Qui si racconta solo di adulti che vogliono un figlio. E pare scontato il diritto di vedere esaudito questo loro desiderio “a tutti i costi”. Senza se e senza ma.
Leggi e pensi che questa sia – o possa diventare – la normalità, che sia giusto così. Deborah Ameri prende unicamente atto dei «cambiamenti sociali e del continuo evolversi del concetto di famiglia». Punto.
E i bambini? Sì, i bambini (fintamente) tutelati dalla Dichiarazione di Ginevra dei diritti del fanciullo et similia? Invisibili. Nel mondo alla rovescia in cui ci troviamo, ha ragione Papa Francesco: «l’anestesia del cuore ci rende insensibili».
I bambini, oggi, sono scontati. E non è un modo di dire.