Alla mia piccola goccia di vita
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(Tagore, Addio)

Ci sono storie nelle quali si può entrare solo in punta di piedi, chiedendo permesso. La porta del cuore si apre dall’interno, e si varca la soglia solo se invitati. |
Alla mia piccola goccia di vita
Questo scritto nasce per te, amore mio. Per farti sapere che non sei stato dimenticato e che il tuo passaggio nella mia vita, seppur breve, non è stato inutile.
La tua mamma ti porta sempre con sé, in quello che rimane del suo cuore dilaniato dal dolore.
Tutto ha avuto inizio il 9 gennaio del 2012.
Quel giorno, piccolo mio, ho saputo che c'eri! L'ho saputo in un modo poco convenzionale, che per nulla si addice al momento magico che avrei dovuto vivere.
Quella stessa mattina avevo fatto le analisi del sangue. Il tuo papà è stato il primo a vedere i risultati e a farmi sapere l'esito con un messaggio che mi lasciò di sasso. «Ho visto le tue analisi, la bhcg è positiva. Non ho parole».
Sai, piccolo mio, a volte basta davvero poco per distruggere tutto. A volte basta una parola per sentirsi morire dentro.
Io già me lo sentivo che eri dentro di me: da qualche giorno non stavo bene e avevo continui dolori simil mestruali, ma del ciclo neppure l'ombra.
Ne avevo parlato la sera prima con il tuo papà che mi disse che l'indomani avrei dovuto fare le analisi per accertarmi che fosse tutto ok.
E invece, amore mio, nulla era come prima... C'eri tu, stellina mia, a tenermi compagnia!
Quella giornata fu cosi densa di sentimenti contrastanti che mai più potrò dimenticarla fino a che avrò vita.
A tratti mi sentivo forte, invincibile, come forse può sentirsi solo una mamma che deve proteggere il suo piccolo. A tratti invece venivo assalita dalla disperazione più atroce: il tuo papà non ti voleva, non voleva nemmeno sentir parlare di te... la mia piccola goccia di vita.
Ancora oggi mi chiedo perché hai scelto proprio me come mamma... Non ero e
non sono niente di speciale. Anzi, sono stata capace del gesto più orribile e doloroso che una donna possa compiere. Ho posto fine alla tua fragile e innocente vita. E l'ho fatto pensando di fare il tuo e il nostro bene. Mai pensiero si rivelò più dannatamente sbagliato.
In realtà, tesoro mio, ora posso dirtelo: la mia vita è finita quel maledetto giorno insieme con la tua. Nulla da allora è più tornato come prima.
Purtroppo per me non era un periodo affatto facile. Il mio papà adorato, al quale
era stato diagnosticato un cancro incurabile pochi mesi prima, non stava affatto bene.
Soffriva moltissimo e tutti noi con lui. Sapevo che non sarebbe vissuto a lungo e non volevo dargli un ulteriore “dispiacere”, dicendogli che la sua adorata bambina, senza lavoro e con poche prospettive, era incinta di una persona che non l'amava e che non voleva quel bambino per nessuna
ragione al mondo. Queste ragioni mi hanno portato a commettere l'errore più grande della mia vita, al quale mai potrò porre rimedio.
Il giorno in cui ho saputo della tua esistenza sono tornata a casa quasi volteggiando. Il cielo aveva assunto un colore splendido e tutto mi sembrava meravigliosamente bello.
Un sogno durato pochi minuti, giusto il tempo di rientrare a casa e chiudere la porta. Tutti i problemi, come una valanga, mi si sono riversati addosso investendomi in pieno. Non ero più felice, il mio papà era sempre più sofferente ma nonostante tutto sempre più attaccato alla vita. Lottava, lottava quotidianamente come un leone… Non voleva lasciarci, non voleva che tutto finisse cosi, senza senso.
Io soffrivo a vederlo spegnersi giorno dopo giorno e non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi a lui e a guardarlo negli occhi. Riuscivo solo a chiudermi in camera e a piangere tutte le lacrime che avevo.
Chissà, piccolino mio, cosa avrai provato anche tu in quei momenti! Meno male che c'eri. Eri il mio unico raggio di sole in quella tormentata e buia quotidianità.
Poi c'era il tuo papà con i suoi messaggi che non lasciavano adito a nessuna speranza.
È sempre stato freddamente distaccato, non ti voleva. Non si è mai messo in discussione.
Ti ha vissuto come uno sbaglio e come un grande peso. Piccolino mio, ti chiedo solo di perdonarlo come solo tu da vero angioletto saprai fare.
Sai già tutto perché sei accanto a me, sai quanto la tua mamma stia soffrendo per tutta questa situazione. Sai benissimo che l'ho amato tanto, in maniera incondizionata.
Il mio mondo era lui.
E tu il mio regalo più grande.
Era la persona che ritenevo la più bella in assoluto. Ho sofferto e soffro tutt'oggi per la nostra separazione. Mi chiedo allo stesso tempo però come sia possibile provare amore per una persona che ti ha disprezzato cosi tanto. Ha disprezzato parte di sé, ha odiato il sangue del suo sangue.
I giorni passavano inesorabili e il tuo papà l'unica cosa che sapeva dirmi era hai fissato
il giorno per l'intervento? Maledetta tutta questa situazione! Al suono di quelle parole mi stringevo le mani alla pancia, come a volerti proteggere da tutto in un ultimo disperato tentativo.
Arrivò il giorno della prima visita, amore mio, ma il tuo papà non c’era. Andai da sola, con il volto rigato dalle lacrime per tutta la situazione che reggevo da sola sulle mie spalle.
Il medico fu sbrigativo, si limitò ad effettuare un'ecografia dalla quale vidi la camera gestazionale e nulla di più. Ero a cinque settimane esatte di gravidanza.
Mi disse che vista l'assenza dell'embrione nel sacco potevo sperare che la cosa si risolvesse da sola in tempi brevi. Certo, come se perderti spontaneamente potesse arrecarmi meno dolore! Mi ridette appuntamento per la settimana successiva per vedere se la situazione si era evoluta.
Quella sera stessa il tuo papà volle vedermi. Mi coccolò, fu molto dolce con me come non lo era da tempo.
Lì per lì sperai in un suo ripensamento, ma il tempo mi aiutò a capire che mi era stato accanto solo per accertarsi che ponessi fine a quello per lui era stato solo un incidente di percorso.
I giorni iniziarono a scorrere velocemente, purtroppo, ed io ti amavo sempre di più, mio piccolo fiocco di neve. La mattina ero tanto stanca, non riuscivo a tenere gli occhi aperti eppure dovevo alzarmi presto, alle 6, per andare in tirocinio in ospedale.
Ricordo ancora quando alle 6.30 di una mattina, nel buio più assoluto, mentre ero alla fermata dell'autobus per l'ospedale, cominciò a nevicare. Iniziarono a cadere quasi danzando questi piccoli, candidi, fragilissimi fiocchi di neve. Mi ero stretta la giacca ancora di più per non farti prendere freddo. Ti invidiavo, sai? Ti immaginavo al caldo, dentro di me a fare la nanna. Ecco come prese vita il tuo soprannome in quella buia e gelida mattina, mio piccolo fiocco di neve.
Le nausee iniziarono a far capolino ed io mi sentivo sempre più esausta. Non avevo riposo, la mia vita era una eterna lotta. Il tirocinio durava otto ore, poi il ritorno a casa dal mio papà che stava sempre peggio. Non avevo la forza per prendermi cura di lui, ero a pezzi, moralmente e fisicamente.
Arrivò anche la settimana successiva durante la quale ebbi la mia seconda visita. Neppure quel giorno il mio ragazzo mi accompagnò. Ero sola, anzi no, fiocco di neve, c'eri tu con me. Aspettai pazientemente in sala d'attesa mentre osservavo mamme felici accompagnate dai propri compagni. Le sentivo fantasticare sul nome o sul colore della cameretta... tutte cose che tu, mio piccolo amore, non hai mai avuto.
Arrivò finalmente il mio turno con il solito ginecologo che appena mi vide mi accolse dicendo: “vediamo se è cresciuto qualcosa”. Il mio cuore era combattuto. Da una parte speravo fossi volato via da me, volevo evitarti ulteriori sofferenze. Dall'altra parte l'istinto materno iniziava ad avanzare prepotente: ti volevo!
Mi fece l'ecografia ed esclamò “ eccome se è cresciuto qualcosa!” Girò lo schermo verso di me e cosi per la prima volta ti vidi. Cinque mm di vita, di immenso amore. Eri un puntino luminoso che batteva velocissimo. Non riuscii a dire nulla se non a farmi scivolare sul viso una lacrima, forse la più amara in tutta questa storia.
Il medico mi fece anche ascoltare il battito del tuo cuore e mi disse che andava tutto bene. Come un automa ribadii il mio consenso all'interruzione di gravidanza.
Ho sacrificato te e tutta la mia vita per il benessere del tuo papà. Pensa che errore enorme ho commesso, mio dolce fiocco di neve.
Quella sera andai dal tuo papà, ma non volle vedere le foto dell'ecografia. Diceva che lo facevano stare male. Pensa che beffa: ho protetto una persona che credevo meravigliosa e che invece si è rivelata un mostro.
Da quel giorno è stato tutto un susseguirsi di visite e di esami in vista dell'intervento.
Sapevo che avrei dovuto staccarmi per sempre da te eppure, ogni sera, ti coccolavo come se fossi dovuto nascere di lì a poco. Ti parlavo, ti accarezzavo e ti chiedevo aiuto. Il tuo papà - mi piace chiamarlo cosi anche se non si merita questo appellativo - mi scriveva sempre, mi teneva stretta alle sue braccia dicendomi che mi voleva bene e che avrebbe voluto ricominciare tutto con me dall'inizio, in modo da poter fare le cose per bene. Ci ho creduto, piccolo mio. Quelle parole erano balsamo per il mio cuore ferito ed erano un'ancora di salvezza in quel mare tempestoso che era la mia vita.
Passavo molte serate a casa sua a guardare un film o a parlare per sfuggire dal dolore di casa mia. Una sera all'improvviso mi mise una mano sulla pancia e ti accarezzò. Non l'aveva mai fatto. Per
me fu uno dei momenti più commoventi. Credo volesse chiederti perdono per quello che di lì a poco ti avrebbe fatto.
C'è un'immagine impressa nella mia mente che voglio raccontarti, fiocco di neve.
Una mattina (da sola, ovviamente) dovetti andare in ospedale molto presto per poter prenotare l'intervento secondo la legge 194. Occorreva andare presto perché i posti erano pochi e le donne in attesa tantissime. Arrivai in questo corridoio davanti all'ufficio per le IVG alle 7.30 con solo due sedie per l'attesa, ovviamente già occupate.
Mi misi in un angolo ad aspettare l'apertura dell'ufficio ma ero un po’ sofferente per i crampi che mi venivano se stavo troppo in piedi. Una ragazza che era seduta, nelle mie medesime condizioni, mi offrì il suo posto. Mi venne da piangere, amore mio, perché anche lei, come me, nascondeva al mondo intero il suo piccolo tesoro che mai avrebbe visto la luce, eppure, vedendomi così, mi aveva offerto gentilmente il suo posto. Non accettai, la ringraziai e continuai ad attendere in piedi il mio turno.
Gennaio passò ed arrivò febbraio, mese in cui venne fissato l'intervento. Il tuo papà era sollevato, vedeva finalmente “quest'incubo” sempre più lontano. Io invece ero sempre più distrutta. La gravidanza avanzava e già un filino di pancia si iniziava a vedere. Eri tu, piccolo mio, che facevi capolino al mondo!
Le nausee peggioravano insieme alla stanchezza. Mio papà aveva avuto un tracollo, a tratti era irriconoscibile. Mangiava pochissimo e soffriva. Soffriva tantissimo ed io impotente non sapevo come alleviare il suo dolore. Non camminava quasi più per via dei dolori ed ogni cosa gli richiedeva uno sforzo immenso. Pensavo, speravo di avere ancora più tempo da passare con lui. Se solo avessi immaginato che il 16 febbraio ci avrebbe lasciati, la mia vita, e anche la tua, fiocco di neve, avrebbero preso un'altra direzione.
L'intervento venne fissato per il 14 febbraio. Beffardo il destino, amore mio, vero? La data dedicata all'amore... la data che per me ha invece significato solo dolore e distruzione.
Il giorno prima - era il 13 febbraio - il mio papà venne ricoverato in ospedale per un ulteriore peggioramento. Non ne uscii più vivo. Tre giorni dopo morì.
Ho nascosto a tutti, tranne al mio ragazzo, la mia gravidanza. Non volevo dare alla mia famiglia ulteriori problemi e preoccupazioni. Chissà cosa avrà pensato il mio papà vedendomi cosi distante. Avrà pensato che non gli volevo bene. Invece, papà, voglio dirti solo questo: TI AMO.
Scusami, perdonami, per non esserti stata accanto. Perdonami per non essere stata degna del nome figlia durante tutta la tua malattia. Ero spaventata e non riuscivo ad avvicinarmi al tuo dolore.
Se solo potessi tornare indietro ti stringerei forte a me per non lasciarti volare via. Già. Volare via, era la frase che ripetevo sempre tra me e me... Papà, non volare via, ti prego. Non ora, è troppo presto. Hai ancora tantissime cose da insegnarmi e da vivere accanto a noi. Non volare via.
Il 14 febbraio mi alzai presto, con il viso rigato dalle lacrime. In ospedale mi accompagnò quello che era il mio ragazzo. Mi accompagnò sia per senso di colpa, sia per assicurarsi che ponessi fine realmente alla gravidanza. Arrivata in ospedale trovai una decina di donne che come me avevano deciso di porre fine alla vita dei loro bambini. Alcune erano giovanissime, altre molto meno.
L'infermiera mi fece firmare il consenso per l'IVG e mi diede una candeletta vaginale per ammorbidire il collo dell'utero e facilitare quindi l'intervento. Mi disse quindi il numero della stanza, che raggiunsi da sola. Sopra il letto trovai due assorbenti e il camicione da sala operatoria.
Dovetti quindi inserire l'ovulo e mettermi la camicia aperta sul di dietro.
Il mio ragazzo era fuori: il regolamento del reparto non ammetteva nessuno fino alle 14 del pomeriggio. Arrivò anche la mia compagna di stanza, una signora al quanrto aborto volontario.
Non scambiai nessuna parola se non un saluto. Pochi minuti dopo l'inserimento dell'ovulo iniziarono i dolori e lì capii, forse davvero per la prima volta, che ti stavo perdendo per sempre. Non potevo più tornare indietro, ormai ti avrei perso comunque. In quelle ore d'attesa messaggiai con il mio ragazzo che mi scriveva le cose più dolci e anche più inutili che una donna in quel momento potesse sentirsi dire. Amore come stai? Io sono qua, non ti lascio, oppure amore, cosa posso farti stasera da mangiare? Vedrai che poi starai meglio! Meglio, sì, come se fossi in attesa di farmi levare una verruca.
Arrivarono poi a prendermi con un lettino dalle lenzuola verdi per portarmi in sala operatoria. Ci salii senza dire una parola. Passammo davanti al nido e vidi un neonato nell'incubatrice. Mi si strinse il cuore. Forse era un segnale per scappare lontano, per fuggire da tutto. Purtroppo non potei farlo, era troppo tardi. Raggiunsi la sala pre-operatoria pochi secondi più tardi. Mi accolse in maniera asettica la mia anestesista che mi fece qualche domanda di rito e mi prese una vena per l'intervento. L'infermiera intanto mi mise l'antibiotico attraverso la flebo.
Da questo momento in poi ho pochissimi ricordi.
Mi fecero entrare con il lettino in sala operatoria e mi misero sul lettino ginecologico. Mi fecero aprire le gambe e le fermarono con una fascia di velcro. Mi collegarono al monitor per l'ecg e mi misero il saturimetro e il bracciale della pressione per i parametri vitali. Feci solo in tempo a vedere ai miei piedi la dottoressa, una donna bionda sulla quarantina che nemmeno si presentò. Da qui in poi il buio più assoluto.
Mi risvegliai nella saletta attigua alla sala operatoria. Durante i primi minuti non riuscii a tenere gli occhi aperti, la testa mi girava tantissimo. Solo di una cosa ero già pienamente consapevole. Il mio bambino era morto per colpa mia pochi minuti prima. Non l'avrei mai stretto a me. Non avrei mai visto il suo viso. Era tutto finito, solo il mio incubo era appena iniziato.
Tornai in camera sempre con il lettino dalle lenzuola verdi. Mi misero a letto con una flebo senza chiedermi come stessi. Come fossi un fantasma o forse come fossi la peggiore criminale del mondo.
Il mio ragazzo mi scrisse vari messaggi chiedendomi com'era andata e come stessi.
Gli risposi bene senza aggiungere altro. Non c'era niente da aggiungere. Alle 14 l'infermiera lo fece entrare e lui arrivò sorridente, come se magicamente per lui tutti i problemi si fossero dissolti. Mi accompagnò in bagno, mi aiutò a vestirmi e mi diede qualcosa da mangiare che aveva comprato nonostante l'anestesista mi avesse prescritto il digiuno ancora per alcune ore. Arrivò il medico e mi diede il foglio di dimissione. Potei quindi tornare a casa con la morte nel cuore. Attraversai il corridoio dell'ospedale dilaniata dal dolore. Non volevo andare a casa, fiocco di neve, volevo rimanere lì, accanto a te. Accanto alla stanza in cui ti avevano strappato per sempre da me.
Quella sera stetti da lui, tornai a casa mia solo per dormire. Da quel giorno cambiò tutto: la persona dolce e premurosa era diventata sfuggente e distante. Lo sapevo, mio piccolo fiocco di neve, che assieme a te avrei perso per sempre anche la persona che amavo.
Due giorni dopo la mia IVG mio papà ci lasciò. Non ebbe più la forza di lottare. Lo vidi la sera prima della sua morte e non riuscii nemmeno ad abbracciarlo. Ero dilaniata dal dolore. Non avevo più lacrime, il mio cuore era stato letteralmente fatto a pezzi.
Queste pagine sono dedicate a te, piccolo mio, perché tu possa continuare a vivere attraverso il mio amore, attraverso le mie parole. Non ti dimenticherò mai. Io sono e sarò sempre la tua mamma!
Se solo potessi tornare indietro, ti terrei lottando contro il mondo intero perché senza di te tutto ha perso senso. Non vedo più i colori, gli animali, i fiori. Tutto è morto quella maledetta mattina.
Un giorno finalmente potrò riabbracciarti e piangere lacrime di gioia! Allora sì che sarò felice. Adesso so che sei con il mio papà, il tuo nonno, che sicuramente ti adora. Almeno non siete soli, è
la mia unica, magra, consolazione.
Gioca sereno nel cielo che tanto ho amato, piccolo mio. Fallo per me.
Con amore
la tua mamma
Queste pagine, testimonianza di un dolore infinito, nascono anche come speranza per un possibile aiuto alla vita.
Ogni giorno tantissime donne si ritrovano in quella situazione in cui mi sono ritrovata io. Non sono contraria all'aborto in linea generale dato che ogni storia, come avete potuto notare dalla mia, racchiude problematiche differenti ed enormi sofferenze interiori. Vorrei solo che queste righe potessero offrire un punto di riflessione. Perché si può porre rimedio a tutto ma purtroppo non alla morte. E dall'aborto non si torna indietro.
Per me rimarrà una cicatrice indelebile fino a che avrò vita.