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Le «periferie» accanto a noi

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle / Sur l’esprit gémissant en proie aux longs ennuis, / Et que de l’horizon embrassant tout le cercle / Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits; / Quand la terre est changée en un cachot humide, / Où l’Espérance, comme une chauve-souris, / S’en va battant les murs de son aile timide / Et se cognant la tête à des plafonds pourris…»
(Charles Baudelaire, Spleen)

Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve / Sull’anima gemente in preda a lunghi affanni, / E in un unico cerchio stringendo l’orizzonte / Riversa un giorno nero più triste dell notti; / Quando la terra cambia in un’umida cella, / Entro cui la Speranza va, come un pipistrello, / Sbattendo la sua timida ala contro i muri / E picchiando la testa sul fradicio soffitto…

Quella villetta, quel paese nel modenese, lo specchio di chi siamo. Delle nostre domande, delle ferite che ci portiamo dentro. Tutti.
Una serata come altre, una festa tra adolescenti: ragazzi normali, in famiglia e a scuola. Si beve e si fa bere – anche questo, oggi, normalità tra i ragazzi – poi lei, sedici anni, viene trascinata in bagno e stuprata a turno da cinque ragazzi tra i 17 e i 18 anni.
Non è un labirinto, la casa. Gli altri, gli amici, sono lì intorno. Ma nessuno fa niente. Distrazione? Paura? Indifferenza? Normale anche questo: che qualcuno si apparti, che si faccia e si lasci fare?
La giovane si confida con la famiglia, denuncia. E ora l’accusa, un macigno: «violenza sessuale di gruppo aggravata».
Vittima e carnefici. Spettatori. E una domanda che è domanda di tutti, è ferita di tutti.
I genitori di lei, violentata nella carne e nei sogni, per la vita. I genitori dei cinque ragazzi che della sua carne e di lei hanno abusato. Dei giovani, gli altri, che erano alla festa. Perché non sono intervenuti? Perché hanno lasciato fare?
E poi gli insegnanti, gli educatori. Dove abbiamo sbagliato?
Ci sono, le leggi. Anche quella, nuova di zecca, sul femminicidio e la violenza sulle donne. C’è, in classe, l’ora di cittadinanza e Costituzione. Ci sono, da anni, i corsi di educazione sessuale in tutte le scuole. E allora?
Cosa cercano, nell’alcool, gli adolescenti? Un bicchiere, due, tre… che allentano i freni (e le statistiche sui giovanissimi fanno accapponare la pelle). Cosa cercano i giovani maschi che si muovono in branco, e fanno il palo a turno, e fanno e strafanno a turno, e guardano, a turno, la violenza mentre si compie. E si compiacciono. Cosa cercano? Il brivido del proibito, le gesta da capibranco, la supremazia, l’emulazione…?
E gli altri: i ragazzi e le ragazze alla festa, a quella festa in casa di amici. Cos’è accaduto se il criterio, oggi, è vivi e lascia morire?
Papa Francesco non si stanca di chiedere ai cattolici di andare nelle periferie e comodo sarebbe pensare che la cosa non ci riguardi, che non sta parlando a noi.
Roba per missionari: Africa, Asia, Sud America… O magari i sobborghi, le bidonvilles… Intenderà i poveri, i barboni, i drogati, i carcerati, i malati di Aids…
Abito qui, io. Abito a Modena. O a Portogruaro. Non sta dicendo a me, il Papa.
Queste, anche, sono le periferie. Qui, nel nostro ambiente di lavoro. A scuola. Tra gli adolescenti normali di famiglie normali.
E’ la noia, lo spleen, il tarlo che non ti lascia mai in pace, che logora il tuo cuore di adolescente e ti dice che vuoi di più. Più dello studio. Più di una festa con gli amici, una sera. E allora bevi per stordirti. E allora fai bere anche gli altri. Più che parlare mangiare ridere ballare. Più di un bacio. Più della ragazza di cui ti sei innamorato. Di più.
Cosa sarà stare per gioco con uno, con una. Cosa sarà approfittare di lei che ha bevuto. E approfittare in cinque. E far vedere siamo e possiamo tutto. Io più forte di te. E dimostrarlo coi fatti. Una strizzata d’occhio, un trofeo. Uomini che non devono chiedere mai. E uscire da quel bagno come nulla fosse accaduto. Continuare a parlare mangiare ridere ballare. Rientrare a casa e dormire.
In quella casa, in quel paese è accaduto qualcosa che deve interrogare tutti, innanzitutto gli adulti.
Si riparta da quella noia, dallo spleen, dalla domanda del cuore. Perché il cuore dell’uomo è uguale sempre. «Quid animo satis?» Rabbiosa, la domanda esce come un fiume in piena e se non trova argini travolge.
Sono anche queste, oggi, le periferie in cui siamo chiamati ad andare. Non da tecnici, non da esperti, non a tenere conferenze e neanche a spiegare le leggi. A testimoniare il valore infinito e la dignità di ogni vita: la mia, la tua, la sua. E a insegnare quello sguardo sull’altro, sull’altra, su di sé, di chi sa di essere amato e voluto dalla notte dei tempi, e chiamato per nome.
Educare è questo, o non è.

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