Erich Priebke. Si fermerà Caino?
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(Paul Auster, Mr Vertigo)

… E invece dobbiamo guardarlo negli occhi, ancora. Tornare a quei momenti. Leggerlo. Riprendere in mano quelle pagine di storia. E sentirle nostre.
Nostre perché hanno riguardato Roma, l’Italia. Trecentotrentacinque uomini – l’età dei nostri padri, dei nonni. Storie spezzate, una catena interrotta per quegli spari suoi e degli altri con lui.
Nostre perché riguardano noi.
Erich Priebke non si è mai pentito: l’ha detto e l’ha scritto. Nonostante la cattura, il processo, la condanna che avrebbe dovuto costringerlo a guardare in faccia il suo male, il male di quegli anni, il male della storia.
Inorridiamo davanti a quest’uomo, a quegli spari su esseri umani inermi. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… tanti da non poterli contare.
Come saranno stati gli occhi loro su di lui: seicentosettanta occhi hanno incrociato i suoi azzurri, di ghiaccio, chiedendo perché. Nemmeno quegli occhi, quegli sguardi sono stati capaci di sciogliergli il cuore.
Ora l’Argentina non lo vuole, e non sarà sepolto a Bariloche, accanto alla moglie. Neanche l’Italia lo vuole. Nessuno.
Il suo male è il nostro ed è questo, io credo, l’insopportabile. Vedere, in lui, l’irriducibilità nostra. Il giustificazionismo, il negazionismo, l’orgoglio, la mistificazione.
Dov’era, Dio? Dormiva quando sono partiti quei colpi, il 24 marzo 1944? Trecentotrentacinque giovani e adulti innocenti. Un colpo alla nuca. Kaputt.
C’era, Dio. C’è sempre stato. «Caino, dov’è tuo fratello?»
C’è, Dio: è qui, anche adesso. E ci guarda.
Guardava Priebke, e gli ufficiali con lui. Guarda noi che siamo diventati più scaltri. Il nostro giustificazionismo, il negazionismo sono più raffinati. Si chiama autodeterminazione e non usa pallottole. E intanto i bambini muoiono, e non hanno colpe. Altre storie interrotte.
O si chiama compassione. Ed è una siringa di Phenobarbital allungata perché ora come allora continuiamo a pensarlo che ci sono vite che non valgono nulla. Uccidiamo ma senza spargimento di sangue, e la chiamiamo dolce morte.
Dio c’è, non si è scordato del suo popolo, dei suoi figli. E la domanda è sempre la stessa: a Caino come a Priebke. E a noi.