Il cammino di Pietro
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(Gv 20, 29)

Da (quasi) tutte le mostre esco più ricca di quando sono entrata, ma ieri è successa una cosa speciale, perché Il cammino di Pietro, la mostra ad Illegio, non è solo cammino dello sguardo ma anche del cuore, e cioè un’esperienza.
Di sala in sala, il visitatore è accompagnato a riconoscere come Pietro, il pescatore ebreo di Cafarnao, sia paradigma dell’umanissima storia di ogni fedele. Non serve essere esperti d’arte: nella quarantina di opere ospitate in mostra, basta seguire un dettaglio e capisci.
Lo sguardo di Pietro è in pace solo se fissa gli occhi di Cristo, oppure è perduto: incredulo dapprima, assonnato e spento nell’orto degli ulivi, meravigliato di fronte ai segni, molteplici, di Gesù. Ho visto, nel dipinto del Guercino, gli occhi tristi di chi ha rinnegato il Maestro. Ma occhi fulgidi, e di fiamma, ogni volta che incrociavano i Suoi. In quegli occhi mi sono ritrovata.
Lo stesso stupore di fronte ai segni, innumerevoli, della Sua presenza nelle mie giornate. Il dolore del tradimento. La gratitudine tutte le volte che è Lui a prendere l’iniziativa. Commozione per ogni Suo immeritato abbraccio.
Nelle opere che raccontano l’incontro al lago di Tiberiade, Gesù guarda Pietro come a svelargli la verità di sé: chi è e cosa diventerà se si abbandonerà fiducioso all’opera di Dio. Simone deriva da shemà: ascolto, ed è il nome di chi è chiamato ad essere discepolo. Pietro, roccia, sarà la missione apostolica e va oltre i confini dell’uomo. E’ accaduto allora e poi miliardi di altre volte ancora, con ciascuno di noi, come disse lo scrittore latino Caio Mario Vittorino: «Quando ho incontrato Cristo, mi sono scoperto uomo».
Alla mostra ho ritrovato anche il Vangelo di ieri, e sembrava fatto apposta per me: risposta alle domande che mettono in subbuglio il cuore. Stai tranquilla, il primo passo è il Suo: è Lui che ogni volta ti viene a cercare. E’ Lui che ti libera dalle tue prigioni quotidiane, come ha fatto uscire Pietro dal carcere (e che sguardo, quel suo sguardo di stupore dipinto da Gerrit van Honthorst…)
Nel labirinto della mostra, custodita nella piccola sede di un paese di pietra e di mulini ad acqua, mi sono ritrovata pellegrina sui passi di Pietro. Non sola. Con lui e dietro a lui, che nel dipinto di Eugène Burnand, con Andrea corre trafelato al sepolcro – vuoto – di Cristo. O in ginocchio come il centurione Cornelio: primo tra i pagani ad essere battezzato, e chiamato ad una vita rinnovata.
Non sola. Perché la fede è questo: incontro e poi sequela, per imparare a vedere attraverso gli occhi di chi ha visto. Fede è, per noi, oggi, lo stesso cammino di Pietro, raccontato magistralmente nel percorso ad Illegio: l’incontro, la resistenza, lo stupore, la crisi e la rinascita, l’abbandono in Dio, la missione, la fraternità, la somiglianza. Una strada che non toglie la fatica ma regala la pace del cuore appena puoi dire non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me.
Illegio, piccolo borgo incastonato tra i monti, custodisce il segreto della fede. E’ Pietro che diventa adulto, e libero, quando si abbandona totalmente e dice sì, Signore, Tu sai tutto, Tu lo sai che io Ti amo. Sono queste vecchie pale di mulino: docili alla forza che da centinaia d’anni le muove, e che non è la loro.