Il paesaggio da lontano, le domande da vicino
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Dalla vacanza a Passo Oclini 2013 all'inizio della scuola
Centinaia di persone in fila verso la vetta. Non ci si accorge se si cammina davanti, ma poi ci si arresta per aspettare e ci si volta indietro: il paesaggio ti apre lo sguardo, ma non lo riempie del tutto. Resta sempre l'orizzonte con la sua sfuggente immensità, resta il panorama che ti lasci alle spalle, resti tu. Il paesaggio ispira la più perfetta totalità, ma è un tutto che i nostri occhi imperfetti contemplano a piccole dosi: ne abbiamo una visione parziale, che non soddisfa fino in fondo. Ma la consapevolezza dell'immensità m'inebria di stupore e mi fa amare il paesaggio vicino quasi quanto quello che si sottrae al mio sguardo.
Mentre scarpinavo guardavo quasi solo i sassi sotto i miei piedi prima di calpestarli, li guardavo senza premura, li pestavo con indifferenza, preoccupata solo di non cadere e senza un briciolo di attenzione. Eppure di sassi come quelli è formato anche il paesaggio che contemplo. La differenza è che quelli sono distanti, sono là, non servono a sorreggermi o a farmi inciampare.
Nella mia vita accade la stessa cosa: tutto ciò che è quotidiano, ciò che vivo in prima persona potrà essere pure bellissimo, ma io non me ne accorgerò nell'immediato. No, nell'immediato si pensa a pararsi i fondelli, a non perdere le scarpe, a non incespicare, a faticare il meno possibile. Magari si percorre un sentiero scosceso, scomodo, che però è immerso in lande meravigliose, e la meraviglia scatterà solo se ci si ferma a guardarsi intorno, o quando ci si volta indietro e vien da dire: sono passato proprio là in mezzo e me ne accorgo solo ora che quel luogo è distante, ora che non lo vivo più, ma lo contemplo e basta. Quando leggo un libro, quando studio, quando scrivo o sto guardando un paesaggio da lontano, riesco ad apprezzare la bellezza e a rintracciarne l'immensità. Quando vivo il quotidiano invece tutto mi appare meschino, vedo in prevalenza l'insulso, mi concentro sugli ostacoli sotto ai miei piedi e non su ciò che m'importa veramente. M'importa dell'indagine, della conoscenza e della sua espressione, e per queste cose serve una sorta di distacco che amplifichi la propria visione del mondo, spostandola dal parziale al totale. Anzi, dal parziale all'ancora più parziale, perché, ogni volta che viaggio, più contemplo l'orizzonte più mi domando cosa ci sia oltre.
La società non favorisce la riflessione: si deve andare a scuola per imparare, si deve imparare per trovare lavoro, si deve lavorare per non morire di fame, questo mi viene trasmesso quando si parla della crisi economica e sociale.
Ma non si chiude la catena: Perché non si deve morire di fame?
Boh. Per vivere, direbbe un benestante. Per sopravvivere, direbbe un poveraccio. Bene, ma per cosa varrebbe la pena vivere, per quali obiettivi, per quale bellezza? Di questo non si parla.
Per divertirsi?
"Divertirsi", parola la cui origine latina significa "distrarsi". Da che cosa? Dall'Incapacità umana nel trovare una risposta del tutto soddisfacente.
Non si riesce a trovare una risposta, o meglio, ad avere la totale certezza che una risposta sia la verità? Allora si cerca di far in modo da non far nascere la domanda. Perché un uomo senza domanda è manovrabile quanto uno schiavo a cui s'impone una risposta. "Il pericolo del passato era che gli uomini diventassero schiavi. Il pericolo del futuro è che gli uomini diventino robot (...)", afferma Eric Fromm. Oggi si reputa come assolutamente vero nell'uomo solo la sua materia e il suo istinto, ciò che lo rende una sorta di macchinario, ciò che è scientificamente provato. Tutto il resto è arbitrario, indifferenziato, vero o no a seconda di ciò che fa comodo. Lo stesso identico paesaggio fa scaturire centinaia di reazioni diverse da parte di tutti i miei compagni di viaggio. Vederli in fila lungo il sentiero è impressionante: un ruscello multicolore. Mi ricordano le formiche che colonizzavano il mio giardino, che si spostavano in file ordinate verso il formicaio e vi portavano briciole per l'inverno, straordinariamente forti e al contempo fragili, ignare della totalità del giardino, figuriamoci del mondo e dell'universo. Anche noi siamo piccoli in confronto alle montagne, ma noi ci reputiamo superiori rispetto alle formiche perché abbiamo la ragione sviluppata al punto da poter dire: Toh guarda...
A volte mi domando se il nostro sforzo nel raggiungere la vetta abbia davvero più valore di quello delle formiche, o se invece siamo noi a convincerci di ciò, ma non smetto di salire verso la vetta, perché distogliermi da questo obiettivo sarebbe come sedermi a strappare ciocche di prato invece di percorrere e interrogare il paesaggio che c'è attorno a me. Uccidere la domanda significa tradire la propria umanità. Diventare formiche. Ma formiche ingrate e vigliacche.