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Le telefonate di Papa Francesco

Fonte:
CulturaCattolica.it
«L’amore di Dio non è qualcosa di vago, di generico; l’amore di Dio ha un nome e un volto: Gesù Cristo».
(Papa Francesco)

Altro che età buia e oscurantista! Magari avessimo lo sguardo dei viator medievale: la capacità di andare, oltre il significato letterale degli eventi, al senso allegorico, morale, anagogico!
La realtà ci parlerebbe e tutto sarebbe segno che rimanda ad altro, e a un Altro.
Un esempio.
In questi mesi, spesso mi sono chiesta perché le telefonate di Papa Francesco buchino così tanto, sui media e i social network. Confesso che la cosa persino mi disturbava, e l’ho scritto: se i giornalisti dedicassero al Magistero del Papa lo stesso spazio e la stessa passione che dedicano al resoconto delle sue telefonate saremmo a cavallo.
Poi ho cercato di andare più a fondo della cronaca e del gossip e ho capito che anche questo è Magistero del Papa, ma non lo dice nessuno. In tivù e sui giornali ci si accontenta del significante, incapaci di andare oltre: al significato. Avessimo lo sguardo del pellegrino medievale, scopriremmo che al di là dello stupore che provoca la voce del Vicario di Cristo a casa tua, al di là della novità di un Papa che bypassa il centralino e il suo segretario don Alfred Xuereb, ciò che davvero tocca il cuore è la carezza del Nazareno che, attesa ma imprevista, può arrivarti, un giorno, anche attraverso i cavi del telefono, attraverso una voce.
Il Papa ci indica un metodo, che è il metodo della Chiesa da sempre, mutuato dall’esempio di Gesù.
Semplice che più di così non si può: la compagnia.
Certo Papa Francesco non può far tornare indietro la moviola a prima dello stupro subito da Alejandra Pereyra, la 44enne argentina che ha chiamato domenica. La sua telefonata non cancellerà il trauma, il dolore, gli esiti nefasti della violenza. Ma in quella casa, alle 15.50 di domenica è successa una cosa che quella donna non scorderà più.
«Lei non è sola», le ha detto. Educando noi a dire lo stesso a chi soffre. No, di più. A imitarlo, a fare lo stesso. Perché è questa una delle emergenze più drammatiche di oggi: la solitudine, e «andare nelle periferie» come il Papa ci chiede non vuol dire partire missionari per luoghi stranieri e lontani, ma essere prossimi al nostro prossimo: far squillare il telefono a casa di un conoscente, o andarlo a trovare in ospedale, o portargli conforto là dov’è. Ad-sistere. Sedere accanto a chi soffre nel corpo o nell’anima.
La Chiesa – ci insegna il Papa – non è un’istituzione, ma è madre e padre: materna nell’accoglienza, paterna nell’accompagnare, indicando la strada. Noi siamo le sue gambe, le sue mani, la sua voce. Nell’epoca delle chat e degli incontri virtuali questo Papa che entra in casa e ti chiama per nome è memoria dell’irruzione di Cristo nella storia, di uno sguardo e di un Volto, di un Amore per sempre. E di cristiani che non si lavano le mani di fronte ai problemi ma, nel mondo, le mani le hanno sempre sporcate prendendosi cura dei più deboli. Questo ci testimonia Papa Francesco, perché il Cristianesimo non è un’idea, ma una speranza incarnata.

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