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Amare per sempre

Fonte:
CulturaCattolica.it

E’ stata un’estate tumultuosa. Eventi drammatici hanno segnato il tempo delle ferie estive. Alcuni mozzafiato, come la strage del treno dei pellegrini diretti a Santiago o il precipitare del pullman da un viadotto in Irpinia; altri terribili, per la crudeltà e la spietatezza dimostrata dagli esecutori, per la disumanità dichiarata dal loro svolgimento. Mi riferisco ai numerosi delitti di cui sono state vittime molte donne. Non intendo parlarne per riproporre idee sulla crisi della famiglia o per condannare una concezione egoistica e possessiva dell’amore. Se la famiglia è in crisi è perché si è fatto di tutto per distruggerla e ancora si opera in questa direzione. Cadere in una riduzione possessiva dell’amore e dei rapporti umani, è favorito dalla mentalità materialista ed edonista che ha investito la concezione dell’uomo. La violenza cieca, ovviamente inaccettabile e ingiustificabile, sottintende però un elemento di cui non si parla ma che deve essere preso in considerazione. Essa sembra esprimere in un modo distorto, che induce quasi al ribrezzo per la spietatezza e l’irrazionalità, un’esigenza che la mentalità moderna e postmoderna ha soffocato, distrutto nel suo fondamento umano e sacro che, invece, costituisce il principio primo dell’amore umano: l’esigenza del “per sempre”. Amore, oggi, è forse una delle parole maggiormente usate a sproposito. L’amore ha spesso il volto massacrato, sfigurato dalla violenza. Come si può uccidere “per amore”? La stortura è evidente. Eppure nessuno si ferma per considerare seriamente cosa potrebbe fermare questo habitus violento che sempre più spesso diventa forma dei rapporti. Bisogna tornare a pensare al “per sempre”, che non è vero che sia normale il tradimento, l’abbandono. Che non è vero che non ci siano conseguenze all’instabilità dei rapporti e che la precarietà uccide il bisogno inestirpabile del cuore di essere amato per sempre. Occorre avere il coraggio di affrontare le domande umane che sono soffocate dalla cultura dell’“usa e getta”. Nessuno può sentirsi dire: “non ti voglio più” senza che dentro di lui si apra una voragine di solitudine e disperazione. E così, in una cultura che ha escluso il Dio cristiano, il Dio dell’amore, l’unica strada resta la violenza. Tra compagni, tra amici, tra sposi. Ha scritto Papa Francesco nel saluto inviato al Meeting di Rimini: “Senza passare attraverso Cristo, senza concentrare su di Lui lo sguardo del nostro cuore e della nostra mente, non capiremmo nulla del mistero dell’uomo. E così, quasi inavvertitamente, saremo costretti a mutuare dal nostro mondo i nostri criteri di giudizio e di azione e ogni volta che ci accosteremo ai nostri fratelli in umanità saremo come quei “ladri e briganti” di cui parla Gesù nel Vangelo”. Compagni, amici, sposi che si trasformano in briganti, vittime a loro volta di un potere che “spesso cerca di manipolare le masse, di indurre desideri, di cancellare ciò che di più prezioso l’uomo possiede: il rapporto con Dio. Il potere teme gli uomini che sono in dialogo con Dio poiché ciò rende liberi e non assimilabili”. Queste morti interrogano tutti. Sono un grido affinché si abbia il coraggio, ciascuno per la responsabilità e il compito che ricopre, di insegnare, innanzitutto con la vita, il “per sempre” di cui il nostro cuore è assetato. “Per sempre” richiede apertura, dono di sé, accoglienza e perdono. E un pensiero forte sulla vita, sulla concezione dell’uomo, che ponga al centro la dimensione spirituale, quindi il bisogno di felicità e di eternità. “Occorre tornare a considerare la sacralità dell’uomo e nello stesso tempo dire con forza che è solo nel rapporto con Dio, cioè nella scoperta e nell’adesione alla propria vocazione, che l’uomo può raggiungere la sua vera statura”.

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