Berlusconi e i cattolici
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Aldo M. Valli e Roberto Beretta si interrogano su «Cattolici e politica», in particolare sul loro rapporto con Berlusconi. A me ha sempre colpito un fatto, ed è la discrepanza tra il popolo e le élites clericali (di cui Famiglia Cristiana è – ora – una punta espressiva). E se possiamo dire che c’è un popolo cattolico che ha votato Berlusconi (e che lo voterebbe ancora, come ha pure votato per la Lega) troviamo anche la gran parte dell’establishment ecclesiastico che ne è fortemente contrario. Questo forse dovrebbe porci qualche interrogativo, sia sul perché delle scelte popolari sia – soprattutto – per la posizione di certa gerarchia. E se guardiamo, en passant, alla storia della Unità d’Italia, forse ritroviamo delle radici interessanti che spiegano l’accadere dell’oggi (e domandiamoci se l’anticlericalismo delle terre che erano della Chiesa sia dovuto all’odio e alla reazione alla politica della Chiesa o al disgusto del popolo che si è sentito tradito dalle élites clericali di fronte al giacobinismo trionfante).
A dire il vero credo che la questione vada riformulata in questo modo: per l’età che ho, ricordo quando negli ambienti clericali sessantottini e post-sessantottini si riteneva la «Dottrina sociale cristiana» una forma di ideologia borghese di cui liberarsi. Ricordo la simpatia verso un certo sinistrismo e la diffidenza verso il Papa polacco, incompreso da molti autori che – allora come, purtroppo, ora – andavano per la maggiore. Ricordo ancora la lettera dei 63 teologi italiani che, scimmiottando le prese di posizione di Küng e compagni, su Famiglia Cristiana esprimevano pubblicamente i loro dubbi sulla autorità della Chiesa in campo morale (e c’è da dire che quasi tutti i firmatari di quella lettera non hanno mai ritrattato, e hanno fatto splendide carriere ecclesiastiche…). Così il popolo è rimasto abbandonato da chi avrebbe dovuto educarlo alla fede cattolica, lasciato in balia di quei nuovi mezzi di comunicazione che – dominati da lobbies anticattoliche – hanno creato una mentalità relativista spesso incapace di opporsi al sentire comune. La grande assente, nell’insegnamento e nella predicazione ecclesiale, era proprio la dottrina sociale.
Tanto per fare qualche esempio personale: ero stato invitato ad organizzare in una importante città dell’Alta Italia un incontro su un testo della Congregazione della Educazione che, già nel titolo, era un programma. «Il laico cattolico, testimone della fede nella scuola». L’autorità della Chiesa, invitata a tenere una relazione sull’argomento, diede l’impressione di non avere neppure letto il documento (e si trattava di un compito importante affidato alle chiese locali). Ricordo poi, in un’altra occasione, di avere partecipato a un convegno rivolto ai Direttori diocesani degli uffici scolastici per l’insegnamento della religione cattolica. Non vi nascondo il mio stupore nell’ascoltare la relazione portante, assolutamente non in linea con il magistero papale (e l’insegnamento della religione cattolica, nelle scuole, raggiunge circa il 90% dei giovani in Italia).
Quale allora la linea di soluzione del problema? Non: Berlusconi sì/Berlusconi no. No alla scelta tra PD e PDL (o altre formazioni politiche), ma una ripresa della educazione cattolica che sappia dare le ragioni della propria fede. Quante volte abbiamo ascoltato la straordinaria indicazione di Papa Giovanni Paolo II secondo cui «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» (e non ha detto che è la cultura che deve essere criterio di lettura della fede…).
E un altro suggerimento posso configurarlo così: «Andiamo alle sorgenti del magistero pontificio, con un sano senso critico nei confronti dei mass-media. Ci sono più cose nelle parole e nei gesti del Papa Francesco, che nella filosofia di Repubblica e del Corriere e di tutti gli altri giornali». Allora avremo un popolo che non dovrà subire le scelte di uno o dell’altro protagonista della politica, ma che sarà lui stesso protagonista e artefice di un cammino educativo, culturale e politico più corrispondente al bene comune.