Errata Corrige. Lettera aperta a Gianluigi Nuzzi
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Carissimo Gianluigi Nuzzi,
dopo la sua cortese telefonata ho rivisto il testo della mia lettera aperta e mi ha confortato la sua rassicurazione che l’attacco a CL non era la sua posizione, ma compariva nel servizio precedente, a cura di Michele Santoro, che si è allora confermato tenace nel suo odio a Comunione e Liberazione. Le osservazioni mie critiche al riguardo devono giustamente cambiare destinatario. Mi scuso dunque con lei per l’equivoco.
Colgo però l’occasione per auspicare un serio e pacato confronto sul compito che è chiesto a chi opera nel mondo della comunicazione, dato che troppo spesso mi pare che alcune delle affermazioni più significative dei Papi - e ora anche di Papa Francesco - siano in qualche modo sottaciute. La ringrazio se questo cammino potremo farlo insieme, anche perché mi pare che la drammaticità della situazione (non solo a livello mondiale, ma anche per i nostri giovani, a cui, per parafrasare Papa Francesco, in troppi rubano la speranza) chiede un impegno totale, senza più alcuna riserva.
Rimane la sua affermazione di essere cattolico, e quindi la possibilità di collaborare ad un compito che, come diceva la Lettera a Diogneto, «non ci è lecito disertare».
Che questo “incontro ravvicinato” segni la possibilità di quel dialogo «senza negoziare la propria appartenenza» che oggi Papa Francesco ha chiesto ai Gesuiti di Civiltà Cattolica.
Cordialmente
don Gabriele Mangiarotti
Caro Gianluigi Nuzzi,
ho guardato la sua trasmissione «Giallo Vaticano» del 13 giugno 2013. Attuale, certo, ma un po’ ripetitiva.
Non è su questo che mi volevo soffermare. C’è un aspetto che mi ha colpito nel suo argomentare. Mi pare di avere sentito che lei si definisce cattolico, e non ho motivi per metterlo in dubbio. Ho imparato però che “cattolico” vuol dire universale e che lo spirito del cattolicesimo è in contrasto col settarismo. Allora non ho capito la sua acredine - e già altre volte l’ho notata, seguendola su Twitter - nei confronti di CL. Avrà pure le sue antipatie, capisco, ma mi pare che quanto ci dice continuamente Papa Francesco (di cui sono personalmente estimatore entusiasta) debba diventare regola anche per un buon giornalismo. Ecco quanto ha detto proprio nel giorno della sua trasmissione: «“E non c’è bisogno di andare dallo psicologo – ha detto il Papa - per sapere che quando uno denigra l’altro è perché lui stesso non può crescere e ha bisogno che l’altro sia abbassato, per sentirsi un qualcuno”. E questo è “un meccanismo brutto”. Gesù, ha evidenziato, “con tutta la semplicità dice”: “Non parlate male l’uno dell’altro. Non denigratevi. Non squalificatevi”. E ciò, ha proseguito, “perché in fondo tutti stiamo camminando sulla stessa strada”, “tutti andiamo su quella strada che ci porterà alla fine”. Quindi, è stata la sua riflessione, “se la cosa non va per una strada fraterna, tutti finiremo male: quello che insulta e l’insultato”».
Francamente ho sempre pensato che la radice della crisi della Chiesa, almeno in questi ultimi anni, consista nell’incapacità di comprendere la forza e il significato dei movimenti. E non solo perché personalmente ne faccio parte, ma proprio perché sono quella forza che permette al Vangelo di entrare nella vita (personale, sociale ed ecclesiale). E qui basta davvero uno sguardo alla storia della Chiesa, dagli inizi con San Benedetto, passando da Francesco e Domenico, fino alla freschezza di Chiara Amirante e all’insegnamento di Don Giussani e al Rinnovamento nello Spirito.
Non ho capito né ho condiviso il suo astio, che si è trasformato in censura, nei confronti di CL. Così il suo servizio giornalistico è rimasto da un lato alla denuncia (del resto non nuova, neanche nei suoi servizi) dei “mali della Chiesa”, e dall’altro alla ripetizione del politically correct del mantra su Comunione e Liberazione. In questo modo – perdoni la franchezza – il suo essere cattolico è rimasto una etichetta, e non perché ha “parlato male” della Chiesa, ma perché non ha visto la realtà proprio “cattolicamente”, cioè tenendo conto di tutti i fattori.
Chissà se da questo potrà nascere un confronto? Lo spero.
P.S.: Mi scusi questa annotazione. Ho visto, nell’insieme della trasmissione, un po’ troppo “protagonismo”, da fiction televisiva. Un buon giornalista credo che debba saper scomparire e non mettersi in mostra. Dopo un po’ annoia.
P.P.S.: Il male c’è, e nessuno ci chiede di fare gli struzzi, anche perché quello che rimane fuori dalla sabbia, in questi brutti tempi, è troppo appetibile. Ma perché non è possibile indicare anche quel bene che darebbe maggiore forza alla denuncia? Ho presente la storia di quel sacerdote spagnolo immortalata nel film L’ultima cima che sembra avere subito quella terribile censura del silenzio che è quanto di più disgustoso il mondo della comunicazione sappia operare. La damnatio memoriae nei confronti di ciò che esalta l’uomo e il credente è una bruttissima operazione. Ricordiamo l’invito del Papa ai giornalisti di essere i comunicatori del vero, del bello e del buono. Così non si citerà soltanto il Papa, ma se ne seguiranno, finalmente, i consigli. E si mostrerà che ciò che indica e suggerisce non è utopia, ma una possibilità di bene, per questo mondo disperato.
Grazie della attenzione
don Gabriele Mangiarotti