L’abbraccio del Mistero
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Nella confusione generale di questi tempi, sia a livello politico che sociale, sembra che la questione in gioco sia una sola e che la posta in gioco riguardi l’ambito antropologico, un livello squisitamente esistenziale, tipico delle grandi domande sull’esistenza. In politica dominano lo scontro e il contrasto ideologico fine a se stessi con una conseguente mancanza di proposte serie e interessate al bene comune. Sembra proprio che ci sia ben poco da sperare e che la politica necessiti di una spinta esterna ad essa da cui attingere la forza e le idee per una proposta costruttiva. D’altro canto, la realtà sociale dimostra tanto lo smarrimento dei giovani quanto il cinismo di adulti rassegnati a un qualunquismo senza vie d’uscita dignitose. Nel vuoto di proposte e nel coro delle lamentele che caratterizzano anche la produzione artistica - basti pensare alla musica “alternativa” del rap hip-hop così apprezzata dai giovani-, viene da porsi l’antica domanda dell’autore del salmo: “Cosa è mai l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?”. Chi è mai questa creatura fragile che quasi non conserva coscienza della grandezza che la abita e a cui è destinata? Chi è mai l’uomo, in sé incapace di essere autonomo, di bastare a se stesso e nel contempo chiamato ad essere collaboratore di Dio nello spazio della creazione? Vengono in mente alcune pagine del grande romanziere russo, Dostoevskij. Ai suoi personaggi, anche ai più disperati e umanamente degradati, non nega mai un riscatto definitivo. L’idea fondamentale di Dostoevskij, afferma una delle maggiori studiose dello scrittore, è che nell’uomo l’immagine di Dio sia assolutamente indistruttibile per quanto tremendo egli possa essere, per quanto terribile e disumano possa sembrare, “nonostante tutto il fango e il male che si può essere incrostato su di lui. Nel profondo dell’uomo, nonostante tutto e sempre, l’immagine di Dio permane e risplende”. In ogni momento della vita, pertanto, magari nell’ultimo istante, l’uomo può “far tornare alla luce, quella profonda tenerezza, quella delicatezza umana che è stata posta in lui da Dio stesso”. Per questo, nella situazione attuale di “decadenza” dell’umano e di disfacimento generale, la Chiesa ha un compito insostituibile e irrinunciabile: indicare all’uomo l’Amore di Dio che ha fiducia nella sua creatura, che sempre spera che l’uomo possa essere suo collaboratore. “E questo ci permette di sperare nelle persone che abbiamo accanto, perchè chiunque può essere lo strumento di Dio”. Come aveva affermato in un’udienza Benedetto XVI, “l’uomo porta in sé un misterioso desiderio di Dio. Molti nostri contemporanei potrebbero obiettare di non avvertire per nulla un tale desiderio di Dio. Per larghi settori della società, Egli non è più l’atteso, il desiderato. In realtà, si affaccia ancora oggi, in molti modi, al cuore dell’uomo”. Si tratta, allora, di imparare a riconoscere questo Suo affacciarsi nell’esperienza. E il segno supremo è che nulla basta all’uomo, il suo cuore non è mai saziato nemmeno da ciò che intensamente ama. L’insoddisfazione, l’assenza testimoniano di quell’immagine di Dio che ci portiamo dentro. Quando questa immagine tornerà a risplendere, l’uomo farà l’esperienza della corrispondenza con ciò che lo compie. Per questo il Mistero si è fatto carne. Perché l’uomo potesse incontrarLo e riconoscersi in Lui. San Giovanni Crisostomo fa dire a Gesù: “Io ho lasciato il Padre mio e sono venuto a te, tu che mi odiavi, mi fuggivi e non volevi nemmeno udire il mio nome; ti ho inseguito per impossessarmi di te; ti ho unito a me, ti ho abbracciato... sono disceso nuovamente sulla terra per abbracciare stretto proprio te”. Un uomo che sperimenta su di sé questo amore totale potrà essere costruttore di storia, capace di una convivenza pacifica e umana. Gesù è entrato nella nostra vita. Aspetta che noi gli andiamo incontro.
(le citazioni Dostoevskij sono prese da Tatjana Kasatkina, Dal paradiso all’inferno, Itaca libri)