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Oscar Arnulfo Romero: testimone di Cristo

Autore:
Jacob, Giovanna
Fonte:
CulturaCattolica.it
Il 24 marzo del 1980 un proiettile squarciò il petto di Monsignor Oscar Arnulfo Romero y Galdàmez, arcivescovo di San Salvador. Stava celebrando la messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, nella città di San Salvador. Un fotografo che si trovava lì per caso scattò le celebri fotografie che ritraggono il corpo esanime di Romero circondato da alcune persone. La ragazza con capelli ricci neri e veste bianca che appare in quelle fotografie si chiama Blanca Palacio. Nel 1981 si trasferì in Italia, dove tuttora vive e lavora. Un nostro amico l’ha conosciuta per caso, e ne è nata una amicizia. Blanca, che in questi ultimi trenta anni non ha mai voluto raccontare a nessun giornalista la sua storia, ha deciso di raccontarla a CulturaCattolica.it. Ma prima di cederle la parola, è opportuno esaminare a grandi linee la storia recente del Salvador. Infatti, l’omicidio di Romero segnò simbolicamente l’inizio della guerra civile che ha insanguinato il paese dal 1980 al 1992.

La storia recente del Salvador
A partire dal 2001, quando il governo ha aperto il paese agli investimenti stranieri, l’economia salvadoregna ha cominciato, sia pure timidamente, a crescere. Ma nel complesso appare ancora arretrata, priva di un settore industriale di rilievo (le industrie locali non contribuiscono più del 27% alla produzione del Pil). La causa principale del persistente sottosviluppo economico del Salvador è lo strapotere delle cosiddette “duecento famiglie” dei latifondisti, che concentrano nelle loro mani tutte le risorse del paese e sfruttano sistematicamente il resto della popolazione. I loro interessi sono tradizionalmente difesi dai militari, che hanno a lungo controllato il governo del paese. Che i militari abbiano manipolato a loro favore i risultati di tutte le elezioni politiche che si sono succedute fra gli anni Sessanta e Settanta è molto più di un sospetto. Al regime dei militari si sono contrapposti dal 1974-75 al 1992 vari gruppi paramilitari di ispirazione comunista, appoggiati dall’Unione Sovietica e dai sandinisti del vicino Nicaragua. Fra i militari e i guerriglieri stava il popolo salvadoregno, che non appoggiava né i primi né i secondi.

Nel corso degli anni Settanta, operai e contadini scesero più volte in piazza per chiedere il rispetto dei diritti dei lavoratori e per protestare contro il governo militare, che non rispecchiava il voto popolare. Le manifestazioni anti-governative, che dal 1977 divennero più frequenti, furono quasi tutte represse nel sangue dalla polizia e dall’esercito. Nell’ottobre del 1979 un gruppo di giovani militari rovesciò il governo militare in carica e lo sostituì con una giunta mista formata da militari e civili, fra i quali spiccava il democristiano José Napoleon Duarte. Divenuto presidente nel dicembre del 1980, Duarte da una parte cercò e ottenne l’appoggio di Ronald Reagan nella lotta contro i guerriglieri, che minacciavano di fare passare il paese sotto l’influenza sovietica, dall’altra cercò subito di dialogare con loro. Ma i militari erano contrari al dialogo e fecero di tutto per ostacolarlo. Mentre gli scontri fra l’esercito e i guerriglieri si intensificavano, le “squadre della morte”, formate da militari, perpetravano stragi indiscriminate di civili e di religiosi per terrorizzare la popolazione e scoraggiare le proteste. Nel 2011 un quotidiano salvadoregno (Diario CoLatino) ha reso noto che a uccidere Romero fu Marino Samayoa Acosta, vicesergente della sezione II della Guardia Nacional e membro del corpo di sicurezza dell’ex presidente della repubblica, il colonnello Arturo Armando Molina. Acosta uccise Romero per ordine del maggiore Roberto D’Aubuisson, che allora era capo delle squadre della morte e in seguito sarebbe diventato presidente della repubblica.

Dal 1982 al 1984 il paese fu guidato da D’Aubuisson, dal 1984 al 1988 fu nuovamente guidato da Duarte e infine dal 1989 al 1992 fu guidato da Alfredo Cristiani, candidato dell’Arena (Alleanza Repubblicana Nazionalista), partito fondato dal D’Aubuisson. Il 12 novembre del 1989 i guerriglieri dello Fmln (Fronte Farabundo Martí di Liberazione Nazionale) occuparono gran parte della capitale, ma furono ricacciati dopo poche ore. Alcuni giorni dopo (16 novembre 1989), i militari massacrarono sei gesuiti dell’Università di San Salvador. Nel 1990 le tensioni cominciarono ad attenuarsi, dal momento che i guerriglieri non potevano più contare né sull’appoggio del regime sovietico, che stava crollando, né sull’appoggio dei sandinisti, che avevano appena perso le elezioni nel vicino Nicaragua. Dopo vari negoziati, il 16 gennaio 1992 a Città del Messico le due parti firmarono un accordo di pace. La guerra civile, che era costata almeno 80.000 vite umane, era ufficialmente terminata. Dopo avere deposto le armi, lo Fmln è diventato il secondo partito del paese, mentre l’Arena è tuttora il primo partito. Nelle elezioni legislative del marzo 2012 l’Arena ha ottenuto 33 seggi, mentre lo Fmln ne ha ottenuti 31.

Adesso guardiamo da vicino la figura di Romero. Per lungo tempo Romero è stato dipinto come una sorta di paladino della famigerata “teologia della liberazione”, nata in America latina attorno al 1968. In effetti, anche Paolo VI e Giovanni Paolo II sospettavano che Romero abbracciasse questa errata teologia, in cui la parola di Cristo si mescola abusivamente con la parola di Marx. Inoltre, i militari lo accusavano pubblicamente di essere un fiancheggiatore dei guerriglieri comunisti. In realtà, Romero non solo non aveva mai fiancheggiato i guerriglieri, ma si era sempre distinto per le sue posizioni molto ortodosse e per la fedeltà assoluta al magistero cattolico. Nel 1978, in udienza dal papa, Romero denunciò di essere vittima di calunnie cui gran parte dell’episcopato e il papa stesso mostravano di credere: «Lamento, Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un’interpretazione negativa che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico» (Nota lasciata a Paolo VI da Romero durante l’udienza concessagli il 24 giugno 1978). I militari cercavano di screditare Romero agli occhi del mondo perché Romero denunciava al mondo i loro crimini e li invitava a deporre le armi: “Vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”. I suoi discorsi e le sue omelie venivano infatti trasmesse per radio e ascoltate in molti paesi.
Nel 1977, quando divenne arcivescovo di San Salvador, i militari e i latifondisti tentarono di farselo amico offrendogli un lussuoso palazzo vescovile, ma egli preferì andare a vivere nei locali della sagrestia della cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza. Inoltre, fin dal 1974, quando fu nominato vescovo di Santiago de Maria, dimostrò una particolare predilezione per i più poveri fra i poveri. Andava a cercarli per le strade delle zone più povere del paese, stringeva con loro rapporti di amicizia e faceva di tutto per aiutarli. Come papa Francesco, Romero era schierato apertamente dalla parte dei poveri ed amava la semplicità evangelica. A causa di inveterati pregiudizi ideologici, la sua predilezione per i poveri e la sua particolare attenzione per le questioni sociali alimentava i sospetti della sua presunta adesione alla teologia della liberazione. Questi sospetti hanno cominciato a diradarsi solo negli ultimi anni. Nel 1997 è stata aperta la causa di beatificazione di Romero, che per il momento ha ottenuto solo il titolo di servo di Dio.

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