Due diversi silenzi
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Ho partecipato all’ultima Udienza di Benedetto XVI in piazza San Pietro, il 27 febbraio. È stato un momento intensissimo, commovente, ma soprattutto lo svelarsi, ancora una volta, del cuore e del volto di questo grande Papa. Come ho ricordato nella trasmissione di TV2000, il suo sguardo (che ho incrociato il giorno del funerale di don Giussani, nel Duomo di Milano) mi ha accompagnato e sostenuto in questi tempi di vita pastorale e personale.
Alla sera poi abbiamo vissuto un grande momento di preghiera e silenzio, ricco anche di canti e invocazioni. Eravamo circa in 2000 persone, invitate dalla semplicità di un avviso pubblicato su CulturaCattolica.it e sulle pagine delle Monache della Adorazione Eucaristica, che è rimbalzato su Twitter, su Facebook, e – attraverso un tam-tam libero e creativo – ha raggiunto migliaia di persone. E sappiamo che in moltissimi, non potendo essere presenti con noi a Roma, hanno risposto all’invito di esporre sui davanzali le candele come segno di intensa preghiera.
Mi è stato raccontato che una giovane partecipante al nostro gesto serale ha voluto viverlo in un silenzio intensissimo di preghiera, un silenzio eloquente. Il silenzio di un cuore giovane ferito e commosso. E, ascoltando questa testimonianza, mi sono chiesto di saper vivere con più verità la preghiera e il silenzio.
E questo mi ha fatto pensare a un altro silenzio, che mi ha colpito e interrogato, come vorrei che interrogasse quanti, in questi giorni, hanno chiacchierato su quanto stava accadendo. Il Papa ad un certo punto del suo commovente discorso, ha affermato: «Io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede…».
Non un applauso (e ce ne sono stati tantissimi), un silenzio, quasi un gelo più eloquente di un grido di dolore. A me è sembrata la richiesta del popolo di chiamare a un serio esame di coscienza proprio coloro che il Santo Padre ha nominato. E ho ripensato alle terribili parole della Lettera scritta a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei 4 vescovi consacrati dall’Arcivescovo Lefebvre: «Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco […] Ma purtroppo questo “mordere e divorare” esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata». Non sono parole retoriche, sono un accorato grido di richiesta di comunione ecclesiale.
Forse il silenzio del popolo cristiano in Piazza San Pietro ha voluto dire a coloro che avrebbero dovuto essere più vicini al Papa: «Ma perché non avete voluto comprendere le intenzioni che hanno guidato il Magistero di Benedetto XVI? Avete fatto tutto il possibile per lui?» Non è forse vero che ogni gesto di novità e rinnovamento deve poter partire da una richiesta di perdono, come facciamo ogni volta nel silenzio dell’inizio di ogni Eucaristia?