Chiamati a guardare in alto...
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(G. Pascoli, La vertigine)

Quinto piano, quarto, terzo, secondo, primo… terra.
Sono di nuovo sulla Terra, ora. Niente copriscarpe, niente camice verde, niente mascherina sulla bocca. Qui, sulla Terra, il via vai di sempre, la frenesia di sempre, i pensieri di sempre. Speriamo che l’autobus parta subito, speriamo che il treno arrivi puntuale, che ci sia la coincidenza. In autobus, mozziconi di frasi sulle elezioni e sulla crisi, tra gente che sale e gente che scende frettolosa e infreddolita. Tran tran.
Al quinto piano no.
Ho suonato, ho indossato i copriscarpe azzurri, ho infilato il camice, ho messo la mascherina, ho disinfettato le mani, ho percorso in silenzio il corridoio dell’ematologia fino alla stanza dieci.
In camera l’atmosfera è ovattata. Si parla sottovoce, in un tempo senza tempo.
Lì non si fa, si è.
Il lavoro resta fuori, l’agenda degli impegni resta fuori. In ospedale per la chemio entri tu. Azzerati gli incontri, le scadenze, gli appuntamenti. Alleggerito di tutto, lì al quinto piano ci sei tu. Nome e cognome, il numero di letto. Solo questo. E giorno dopo giorno, quando cadono i capelli e la chemio fa quel che deve fare (e allora li senti tutti, gli effetti collaterali della guerra che si combatte dentro…) ogni millimetro del corpo ti parla, ti ricorda che c’è.
Lì, ti guardi allo specchio degli occhi e del cuore e vedi chi sei davvero: senza maschere, senza titoli, senza vestiti, trucco, l’agenda delle cose da fare. Tu. Come sospeso. Le tue domande sulla vita, la morte, le gioie il dolore l’amore, il tempo che è andato e che verrà. Su questo presente che è fatto di secondi lunghi (li senti tutti, i secondi, quando sei al quinto piano: la flebo della chemio, silenzio, e quel groviglio di fili…)
Nella stanza sterile dove le visite sono una alla volta, questi tuoi occhi scarnificati raccontano l’unica verità che conta e che al piano terra – sulla Terra – noi rimuoviamo.
Scrutano attenti i medici gli infermieri i visitatori i quotidiani le trasmissioni televisive la campagna elettorale la politica interna estera le guerre il mondo fuori e, muti, chiedono «a che vale». Osservano chi è fuori, sulla Terra. Tutti giudici, tutti cardinali al conclave, tutti salvatori della patria, tutti novelli prometeo nel tapis roulant della menzogna: un desiderio-uno schiocco di dita-voilà!
No, non ci autodeterminiamo. Non controlliamo proprio niente, mi ha detto la mia amica. Oggi stiamo bene, o così crediamo. Domani chissà. Qui al quinto piano ti chiedi se hai imparato a vivere, solo questo. Dove poggi, di che consistenza sei. Il resto non conta, il resto viene dopo.
Con lei mi accosto al vetro e guardo fuori. Da quassù gli uomini e le donne della Terra sembrano (sono?) piccolissimi. Formiche agitate, senza meta. Guardano dritto, guardano a terra. Nessuno alza gli occhi. Paura, forse. Perché il quinto piano non mente. Svela chi siamo davvero.