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Lasciare un segno di essere vissuto

Fonte:
CulturaCattolica.it

Che strano: più si parla di rete, di web 2.0, cioè di web interattivo, di rete di rapporti, di spazio da abitare, e più sembra che i rapporti si chiudano, le cerchie si adattino ad un piccolo cabotaggio, e soprattutto non si abbia considerazione per chi agisce in rete con lo stesso scopo di comunicare e costruire.
Così capita che si inviino lettere a siti da cui mai viene la risposta, si formulino giudizi che sembrano detti dall’«Uomo invisibile», che si cerchi di creare occasioni di confronto che sembrano più monologhi che spazio di incontro.
E poi, invece, accadono incontri imprevisti, relazioni costruttive e interazioni che allargano – oltre che il cuore – anche la possibilità di incidere sulla realtà. Poi magari sono «sentieri interrotti», ma l’averci provato lascia un segno e nel ricordo conforta la speranza.
Ho sempre pensato che la rete dovesse passare dal virtuale al reale, e che fosse uno dei tanti modi che ci sono dati per entrare in relazioni umane, e per incidere nella costruzione sociale. A dire il vero – se penso ai rapporti che sono nati in quasi vent’anni di presenza nel web – mi accorgo che la mia strada è segnata da volti che sono entrati a fare parte della mia vita. E che in qualche modo nulla è stato inutile.
Una volta chiesero al Beato Padre Clemente Vismara per quale ragione avesse fatto tutto quello che – nei 65 anni di presenza in Birmania – aveva compiuto. Mi ha sempre commosso ed entusiasmato la risposta che diede: «Volevo lasciare un segno di essere vissuto». Certo che nella rete sembra che i segni siano labili, quasi «scritti sull’acqua», vista la variabilità delle parole e dei contenuti trasmessi. Però, se guardo a quello che in questi anni mi ha visto protagonista con i tanti collaboratori del sito, mi accorgo che i «segni di essere vissuto» sono tantissimi, e sono scritti nei cuori delle persone, nei rapporti iniziati e che perdurano, nelle battaglie che spesso hanno dato risultati positivi: penso allo Stato giuridico degli insegnanti di Religione (e al servizio quotidiano che Nicola Incampo svolge per realizzare una giustizia reale per tanti di loro); penso alla sentenza del Consiglio di Stato che ha dato ragione al Vescovo di Grosseto così che lui, e da quel momento tutti i Vescovi, potessero incontrare a scuola i giovani durante la visita pastorale; penso al Consiglio Comunale di Varese, che ha respinto la proposta di istituire il registro delle coppie di fatto; penso alla scelta di indicare come «Uomo dell’anno 2012» il ministro Shahbaz Bhatti, assassinato in Pakistan per difendere la libertà religiosa; penso alla battaglia intrapresa (e questa volta non vinta) per impedire che il Parlamento accettasse la pratica dell’incesto… e poi penso ai volti delle persone incontrate nei vari luoghi in cui abbiamo dato testimonianza del lavoro svolto.
Ecco, abbiamo riconosciuto il discrimine, quello che può fare di internet uno spazio umano, da «abitare»: è il cuore dell’uomo che desidera incontrare e che sa usare di tutto perché i rapporti umani siano occasione di bellezza e di responsabilità. Così è bello e vale la pena essere presenti nei social networks.

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