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Lettera aperta a P. Antonio Spadaro

Fonte:
CulturaCattolica.it
Ho letto con interesse l'articolo di P. Antonio Spadaro, e ne ho fatto un breve commento, con approfondimenti e domande, perché il lavoro chiesto dal Papa col suo Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni sociali possa portare frutti tra di noi che operiamo nel web

I TRE PILASTRI DEL MESSAGGIO DEL PAPA PER LA 47a GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI (2013) Commento a «Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione»

Quest’anno il Pontefice nel suo Messaggio per la 47° Giornata Mondiale delle Comunicazioni («Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione») ha raccolto una serie di indicazioni già date nei precedenti messaggi, e puntando su 3 “pilastri” o temi-chiave che sembrano essere ormai le fondamenta della prospettiva ecclesiale sulla comunicazione.
1) L’AMBIENTE DIGITALE È UNO SPAZIO DI ESPERIENZA REALE
Scrive Benedetto XVI che i social networks non devono essere visti dai credenti semplicemente come uno strumento di evangelizzazione. La Rete non è da «usare», ma da abitare perché la vita dell’uomo di oggi si esprime anche nell’ambiente digitale. «L’ambiente digitale – scrive il Papa – non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani» (corsivo nostro). Lo spazio digitale non è inautentico, alienato, falso o apparente, ma è un’estensione del nostro spazio vitale quotidiano, che richiede «responsabilità e dedizione alla verità». Abitare significa inscrivere i propri significati nello spazio. Ed è proprio questa la sfida: inscrivere i significati e i valori della nostra vita nell’ambiente digitale, e anche capire che cosa la rete ci insegna sul modo di pensare la fede oggi. Siamo chiamati, dunque, a vivere bene sapendo che la Rete è parte del nostro ambiente vitale, e che in essa ormai si sviluppa una parte della nostra capacità di fare esperienza: «sia essa fisica, sia essa digitale», senza fratture o cesure tra le due «realtà», senza schizofrenie.

Interessante, ma forse ancora inadeguato: non basta dire che è uno spazio da abitare, se non si precisa chi è colui che lo abita. È necessaria una «antropologia cristiana» della comunicazione, la chiarezza sul soggetto. E quindi poi sulla sua responsabilità e creatività. Così dice il Papa: «In questi spazi non si condividono solamente idee e informazioni, ma in ultima istanza si comunica se stessi.»

2) IN RETE SI PENSA INSIEME E SI CONDIVIDE LA RICERCA

Nel suo Messaggio il Papa afferma che lo sviluppo delle reti sta «contribuendo a far emergere una nuova “agorà”, una piazza pubblica e aperta in cui le persone condividono idee, informazioni, opinioni, e dove, inoltre, possono prendere vita nuove relazioni e forme di comunità». Nelle reti sociali gli uomini sono coinvolti – si legge nel Messaggio – «nell’essere stimolati intellettualmente e nel condividere competenze e conoscenze». I networks sociali dunque non solamente aiutano ad esprimere agli altri il proprio pensiero, ma aiutano anche a pensare insieme agli altri, elaborando riflessioni, idee, visioni della realtà. La Rete dunque è un luogo in cui si esprime la ricerca dell’uomo, il suo desiderio di verità e i suoi interrogativi di senso.

Nel messaggio del Papa è anche presente una preoccupazione che non si può sottovalutare. L’atteggiamento cristiano è realista, e sa quindi anche fare i conti con la possibilità del male. Lavorando con i giovani, spesso ci si imbatte nei limiti e nelle strumentalizzazioni della rete. Non ritengo che la si debba «demonizzare», ma bisogna saperla guardare anche con sguardo critico. Per questo è sempre più necessario ricordare che viviamo in un tempo di «emergenza educativa».

3) IN RETE SI VIVE UN COINVOLGIMENTO INTERATTIVO CON LE DOMANDE DEGLI UOMINI
Il Pontefice indica il rischio più insidioso: quello di conversare soltanto con coloro che già condividono le nostre visioni. E invece – scrive – «dialogo e dibattito possono fiorire e crescere anche quando si conversa e si prendono sul serio coloro che hanno idee diverse dalle nostre». Non si testimonia il Vangelo in Rete limitandosi a inserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diversi mezzi, chiudendosi alle domande vere e urgenti, ai dubbi e alle sfide degli uomini d’oggi . Al contrario il Papa ribadisce la necessità ad essere disponibili «nel coinvolgerci pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del significato dell’esistenza umana». Occorre dunque superare la logica degli steccati, delle contrapposizioni, dei gruppi chiusi e autoreferenziali che alla fine paradossalmente la Rete rischia di fomentare. E «il coinvolgimento autentico e interattivo con le domande e i dubbi di coloro che sono lontani dalla fede, ci deve far sentire la necessità di alimentare con la preghiera e la riflessione la nostra fede nella presenza di Dio come pure la nostra carità operosa». Se il Papa ha deciso di unirsi alla conversazione che avviene via Twitter è proprio per esprimere un segno di attiva partecipazione ai dibattiti, alle discussioni e ai dialoghi degli uomini del nostro tempo che oggi sono sempre più veicolati dai network sociali.

1. La presenza cristiana esige che si sappia dare ragione della speranza. E qui è chiaro che cosa significhi cattolico: «Tale condivisione consiste non soltanto nell’esplicita espressione di fede, ma anche nella testimonianza, cioè nel modo in cui si comunicano “scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita”.» Perché compito di chi crede e si presenta nel mondo della comunicazione è dare testimonianza della ragionevolezza della fede. [Se può essere di aiuto l’analogia con l’insegnamento della religione nelle scuole dello stato: è evangelizzazione, non catechesi].
2. Grande il richiamo di sapere parlare a tutti, anche con i cosiddetti «lontani». La mia esperienza mostra che l’incontro, senza schemi né barriere, è fecondo di frutti, e conduce all’allargarsi della esperienza umana. A partire dalla presenza in internet abbiamo stretto legami con non credenti, con ebrei, con persone in ricerca sul senso della vita, a volte anche con atei dichiarati (come, ad esempio, Odifreddi, con cui abbiamo cercato degli «impossibili» passi comuni). Ma – e questo lo ritengo fondamentale – abbiamo stretto relazioni con chi condivide la nostra fede ed è presente nel network. Ho scritto altrove che la filosofia open source è occasione di arricchimento reciproco. E certamente non ci ho mai perso a entrare in relazione. Ma, si sa, perché questo accada occorre anche l’apertura dell’interlocutore, che umilmente sappia ascoltare e rispondere.
3. Una nota sui twitter del Papa: ho apprezzato il suo entrare con semplicità e coraggio in questo mondo. Non sono così sicuro che lo strumento sia quello adeguato alla sua missione e funzione. Se la rete è interattività, questo accade poco nei suoi confronti. Se la comunicazione è qualcosa di più che una evocazione e un suggerimento, allora bisogna «piegare» lo strumento allo scopo. Certo però che ha costretto un po’ tutti a superare gli schemi in cui a volte si vuole rinchiudere l’annuncio cristiano. Un pericolo è quello che l’interesse di chi comunica si fermi su questo avvenimento, dimenticando il lavoro quotidiano di tante presenze, che – anche per una non chiara consapevolezza della dinamica della rete – rischiano di scomparire. In questo senso credo che mettere in comunicazione coloro che operano nel web, superando quella che io ho chiamato «gelosia dei siti» sia una occasione da non perdere.

- È CHIARO, DUNQUE CHE la riflessione sulla comunicazione che la Chiesa sta portando avanti in questi anni si interroga non su tecniche e modelli, ma sulla vita dell’uomo al tempo in cui l’ambiente digitale ha impatto sulla nostra percezione della realtà, di noi stessi e sulle nostre relazioni.
Ricordiamo che l’Anno della fede è stato inaugurato da una Lettera Apostolica dal titolo Porta Fidei da cui il Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni riprende direttamente la metafora della porta (cfr At 14,27), che identifica la fede e che «introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa». Dunque il Pontefice riconosce che nel mondo digitale si può discernere una «porta di fede». Si tratta di un riconoscimento significativo, che farà molto riflettere non solo chi opera nel mondo della comunicazione, ma ogni cristiano che ha un profilo in un social network quali Facebook o Twitter, solamente per citare i più noti.

P.S.: «Nell’ambiente digitale la parola scritta si trova spesso accompagnata da immagini e suoni. Una comunicazione efficace, come le parabole di Gesù, richiede il coinvolgimento dell’immaginazione e della sensibilità affettiva di coloro che vogliamo invitare a un incontro col mistero dell’amore di Dio…»: in questa considerazione mi ritrovo moltissimo. Nel lavoro di presenza in rete le immagini per noi non son un «riempitivo» ma cercano di parlare al cuore e alla mente dei visitatori. E ci sembra che la bellezza spesso manchi nei siti che si incontrano, e debba diventare invece un modo per essere disponibili «nel coinvolgerci pazientemente e con rispetto nelle … domande e nei … dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del significato dell’esistenza umana».

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