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Piazza pulita

Fonte:
CulturaCattolica.it

Piazza pulita”, giovedì 31 maggio
C’è chi si impegna per fare “Piazza pulita” e chi fa… la piazza piena.
“Piazza pulita” in generale – ma anche la trasmissione condotta da Corrado Formigli – significa tante cose insieme. Alcune si possono dire, altre no. Ma sono sottointese.
Significa il desiderio, legittimo, di avere piazze non sporche, non deturpate o infestate dai rifiuti (la raccolta, in questo caso, è in-differenziata, perché vale per uomini e cose) e significa dare voce a chi, nella “piazza” e cioè nella società, è “pulito” e di solito voce non ha, perché la tesi di fondo è che ad avere il monopolio dei microfoni siano tendenzialmente solo gli “sporchi”.
Ma è inutile nasconderselo: anche se i produttori e il conduttore della trasmissione non l’ammetteranno mai, il titolo sottintende il verbo “fare”, coniugato, a seconda delle circostanze, alla prima persona plurale dell’indicativo presente o del congiuntivo, oppure alla seconda persona dell’imperativo.
Noi, i buonibravigiusti facciamo piazza pulita. Promesso. Voi, fate la vostra parte!
Come? Il fine giustifica i mezzi e dunque qualsiasi mezzo è lecito. E’ tempo di lotta dura e senza paura? Facciamola! Servono intercettazioni, delazioni, congetture, spioni, mercenari, serpi in seno, pulci nell’orecchio, capri espiatori? Eccoli!
Il rischio? Il rischio è che, a voler essere precisi precisi, rigorosi rigorosi, càpiti quel che è capitato nella celeberrima parabola della adultera (Gv 8, 3-11).
«Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là nel mezzo».
Difficile che succeda, oggi, qui. E infatti a “Piazza pulita” si guardano bene dal chiedersi cosa penserebbe il Maestro, dell’“adultera” di turno. Siamo ancora alla legge di Mosè: alla lapidazione.
Chi volesse avere un esempio recente, guardi il video “Lo scandalo in Vaticano” e magari dia una letta al commento al vetriolo di Elisa Merlo che, riferendosi ai porporati, così scrive: «Siamo certi che oggi Gesù affiderebbe a questi uomini la sua chiesa? Oppure direbbe loro: “Ipocriti… serpenti, razza di vipere, come sfuggirete al castigo della Geenna? Guai a voi… perché siete come sepolcri imbiancati che all’esterno appaiono beli a vedersi, dentro invece sono pieni di ossa di morti e di ogni putredine”».
A “Piazza pulitaet similia il vizietto è vecchio come il cucco ed è un vizio di metodo: la “putredine” è sempre e solo negli altri e va eliminata (sennò che pulizia è?!). Processo breve, anzi lampo, rigorosamente in diretta. Il conduttore/giornalista commina il castigo della Geenna e fiera finita. Lo sporco si elimina così, con un colpo di ramazza. Via il dente, via il dolore.
Non hanno bisogno di consigli, i bravibuonigiusti, perché sono saccenti nel DNA, ma chissà cosa accadrebbe se chiedessero, un giorno, cosa ne pensa il Maestro del loro modo di fare “pulizia”. Probabilmente, dalla piazza e dallo studio televisivo, uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi se ne andrebbero tutti. Più che piazza pulita, piazza… vuota.

Piazza Duomo, venerdì primo giugno
Piazza Duomo, a Milano, ieri era strapiena. I rappresentanti delle famiglie, provenienti da più di 150 Paesi del mondo, hanno incontrato il papa. Sì, proprio “quel papa lì”: Benedetto XVI. Quello che i “sapienti” non hanno fatto parlare alla Sapienza. Quello che è sempre “troppo” (riservato, conservatore, distaccato…) oppure “troppo poco” (telegenico, moderno, conciliante…).
Lui. Quello che i giornali hanno dato mille volte per “abdicante”, per “finito”, per “morto”, per “incapace di governare la Chiesa”.
A Milano, ieri, piazza piena. Più di un milione di persone. Contra factum non valet argumentum.
Erano lì per ciò che papa Benedetto rappresenta – a dispetto di ciò che van ripetendo, farneticanti, i media (e i loro direttori) – e cioè la bellezza, il fascino, la grandezza della storia bimillenaria della Chiesa di Cristo.
«Come è noto – ha detto ieri il Pontefice – sant’Ambrogio proveniva da una famiglia romana e ha mantenuto sempre vivo il suo legame con la Città Eterna e con la Chiesa di Roma, manifestando ed elogiando il primato del vescovo che la presiede. In Pietro – egli afferma (Sant’Ambrogio ndr) – “c’è il fondamento della Chiesa e il magistero della disciplina” (De virginitate, 16, 105); e ancora la nota dichiarazione: “Dove c’è Pietro, là c’è la Chiesa” (Explanatio Psalmi 40, 30, 5)».
Chi vuol capire capisca. E, possibilmente, una volta per tutte.

Questione di sguardi
Chi si impegna per fare “piazza pulita” (a questo punto la lettera maiuscola è facoltativa) ha lo sguardo al massimo ad altezza d’uomo. L’obiettivo è trovare la pagliuzza nell’occhio del vicino. Quando non la vede o non c’è, va ancora più giù: si china e prova a guardare per il buco della serratura. Qualcosa di “sporco” salterà fuori di sicuro.
Questo, invece, lo sguardo del papa, nella piazza gremitissima di Milano, ieri.
«Il mio primo incontro con i Milanesi – ha detto Benedetto XVI – avviene in questa Piazza del Duomo, cuore di Milano, dove sorge l’imponente monumento simbolo della città. Con la sua selva di guglie esso invita a guardare in alto, a Dio. Proprio tale slancio verso il Cielo ha sempre caratterizzato Milano e le ha permesso nel tempo di rispondere con frutto alla sua vocazione: essere un crocevia – Mediolanum – di popoli e di culture».
Chissà se Formigli & C. l’han capita, la potenza di “questo” sguardo, e la letizia che dona al cuore! Chissà se gli è parsa “pulita”, ieri, piazza Duomo! Forse era troppo poco indignata, lamentante, rabbiosa. Forse sarà sembrata un po’ piatta, monotona, con tutte quelle famiglie “tradizionali” fatte di mamme, papà, figli e neanche un po’ di allegre carnevalate alternative, stile gay-pride.
Una cosa è certa: chi ieri era in piazza Duomo non si sentiva bravobuonogiusto, perché i cattolici – checché se ne dica – sono come l’adultera o come gli Scribi e i Farisei della parabola: hanno, forte, il senso del peccato.
Con la consapevolezza della propria fragilità, quel milione di persone che ieri e in questi giorni incontreranno Benedetto XVI sono lì non per distruggere e fare “piazza pulita”, ma per costruire. E sono venuti da lontano, da più di 150 Paesi del mondo, per sentire, una volta ancora, che anche quando la strada è in salita, il popolo cristiano non è mai solo.
Così ha infatti detto il Santo Padre al teatro alla Scala: «Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica – al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore».
Certa di questo, la gente che era in piazza Duomo segue sicura il suo Pastore. Non cerca, a Milano, “mani pulite”, perché ha innanzitutto bisogno di “mani buone”. Nelle parole, nella presenza, nella testimonianza del Santo Padre le ha ri-trovate e, in esse, la passione del cammino.
«Vi affido alla protezione della Vergine Maria, che dalla più alta guglia del Duomo maternamente veglia giorno e notte su questa Città. A tutti voi, che stringo in un grande abbraccio, dono la mia affettuosa Benedizione».

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