Guardare e... non vedere
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Ce l’hanno fatta. E’ incredibile, ma ci sono riusciti.
Cammina la tecnica con passi da gigante: strumenti sofisticatissimi permettono di scrutare, nel dettaglio, l’infinitamente piccolo e di avvicinare realtà lontanissime. Ci consentono viaggi virtuali nelle città più belle del mondo; anche le più antiche, mutilate dai secoli. Possiamo sapere in tempo reale cosa accade dall’altra parte del pianeta, eppure… Eppure, se è indiscutibilmente vero che ci hanno dato strumenti raffinatissimi per guardare, nel tempo abbiamo disimparato a “vedere”. Come se in questo mondo perennemente connesso gli occhi fossero sempre più spesso due organi a sé: scollegati dal cervello e dalla ragione.
In quest’epoca di finte libertà (di parola, di pensiero, di opinione), il relativismo imperante e il politicamente corretto hanno subdolamente imposto le loro censure. Linguisticamente l’obiettivo è stato raggiunto grazie alle sigle, agli eufemismi, alle perifrasi. Nei mezzi di comunicazione, selezionando le immagini: “violente-a-seconda”, “troppo-crude-a-seconda”, “offensive-a-seconda”, “inopportune-a-seconda”.
Racconto un episodio. Seconda liceo. Sto ripassando il mito, l’epica, la teogonia (programma dello scorso anno), prima di introdurre Virgilio. Ci imbattiamo nel dipinto di Francisco Goya, Saturno che divora uno dei suoi figli (1821), custodito presso il Museo del Prado. L’immagine è cruda e il giudizio immediato dei ragazzi – tutti – è nettissimo. Come può un genitore – dicono – ammazzare e mangiare il proprio figlio?!
Lascio parlare. La discussione tra loro continua, si fa accalorata. Alcuni raccontano gli esempi di cronaca che sanno, perché oggi non è diverso da ieri e i padri e le madri uccidono ancora. E non è mito: è la realtà che ogni giorno sentiamo in tivù.
E’ disumano, affermano scandalizzati e all’unanimità, quando qualcuno ricorda la tragedia di Cogne; o il padre che a Roma ha gettato dal ponte il figlioletto di sedici mesi; o la madre che ha ucciso il figlio dodicenne, autistico; o il genitore marocchino che qui vicino, a Pordenone, ha sgozzato la figlia Sanaa perché si era innamorata di un italiano…
Li hanno scossi profondamente, questi episodi. Ed è silenzio, in classe, quando ad uno di loro vengono in mente macabre storie di cannibalismo, che è cronaca degli ultimi anni e non di un passato remoto.
Cos’è che vi turba di più, chiedo. Cosa vi pare, come dite, “disumano”? La risposta è coro. L’omicidio, certo. Ancor più se la vittima è un figlio. Io zitta. Uno alza la mano. Gli sono venute in mente storie di neonati abbandonati: fagottini di poche ore trovati in strada, dietro i cespugli, dentro i cassonetti della spazzatura… Gli altri ascoltano, lo sguardo agghiacciato. Guardano l’immagine sul libro e l’orrore è il medesimo. “Un genitore non può!”, dicono i loro occhi adolescenti. Parlano, ed è bene che si confrontino su questi temi: sono figli, ora. Un giorno, forse, diventeranno genitori.
C’è una cosa che però mi inquieta: sono passati quasi dieci minuti dall’inizio della discussione sul presente e a nessuno – sono in ventisei – a nessuno viene in mente una riflessione sui figli uccisi prima che vedano la luce.
Eppure, penso, l’anno scorso, in classe, abbiamo festeggiato con gioia la nascita della nipotina di un allievo… Eppure G. ha un fratellino piccolo, di cui spesso ci mostra le foto…
Chiedo se hanno mai visto un’ecografia. Adesso che le ecografie sono addirittura in 3D, le immagini sono nitidissime e ti pare di “toccarli”, quei bimbi! Ma anche anni fa… Come dimenticare il tuffo al cuore, la prima volta che ho visto i miei figli, a poche settimane dall’inizio della gravidanza, anche se le ecografie, all’epoca, erano in bianco e nero!? Quel cuoricino che pulsava veloce, i lineamenti del volto, i piedi, le manine, il pollice a cercare la boccuccia…
Alcuni annuiscono. Sì, hanno visto le immagini ecografiche orgogliosamente mostrate dalla sorella più grande, dalla mamma, dalla cugina…
Allora com’è possibile, mi dico, che siano riusciti a farci credere che il bambino che vedono gli occhi, chiarissimo, e che, ancora, è dentro il grembo, sia “un’altra cosa” rispetto allo stesso bambino che vedono gli stessi occhi dopo: appena nato. Com’è possibile?
Non fanno filosofia, i ragazzi, in seconda liceo. Non hanno approfondito i temi sulla “coscienza”, l’“anima”, la “consapevolezza di sé”… Com’è potuto accadere che gli occhi vedano ma non riconoscano? Che i giovani non sappiano più chiamare le cose con il loro nome? Certo “embrione” è termine scientifico; anche “feto”. Ma cosa vedono gli occhi? Embrione di cosa, feto di cosa, nel grembo di un essere umano, in un ventre di donna?
Non avevamo bisogno delle ecografie tridimensionali, alla loro età, per avere la certezza che, dal concepimento, nell’utero di una donna si sviluppava un bambino: “quel” bambino che, nato, sarebbe cresciuto e sarebbe diventato “quel” giovane e poi “quell’“uomo! Era una certezza anche per la generazione che ha preceduto la nostra, per quelle ancora prima… E allora?
Penso ai corsi di educazione sessuale che da anni vengono organizzati nelle scuole. Sono previsti cenni di anatomia e di fisiologia dell’apparato genitale maschile e femminile, la descrizione dei metodi contraccettivi e le indicazioni del Consultorio più vicino presso il quale recarsi “al bisogno” (non serve specifichi a che “bisogno” spesso si riferiscono gli esperti).
Ho chiesto e ho capito. C’è qualcosa che non si può dire e che non si può vedere, nell’epoca degli ecografi 3D/4D. A scuola si fa “educazione sessuale”, che non significa “buone maniere per avvicinarsi all’altro, di sesso diverso”. Robe personali, queste. Anche un po’ demodè, diciamocelo. La scuola sia neutra (in tutti i sensi) e si occupi di dare istruzioni sul “sesso sicuro”.
Fatelo! Etero, omo o indecisi che siate, fatelo con chi vi pare e quando vi pare. Ecco cosa offre il mercato per scongiurare le malattie sessualmente trasmissibili e per evitare una gravidanza: preservativi, pillola del giorno prima, durante e anche dopo, più l’elenco degli altri metodi, perché prevenire è meglio che curare. E siccome gli esperti sono esperti, ecco eventualmente la cura (?). Qualcosa va storto? “Interruzione volontaria di gravidanza”, si dice, spiegando la legge 184. Forse “aborto”. Mai omicidio. La legge consente, non è reato, e il termine automaticamente diventa improprio. (…Si tappi la bocca e se la risparmi, la puntigliosa, la sua “riflessione etimologica a prescindere”, se non vuole beccarsi una querela!…).
E non le mostrano, a scuola, le ecografie dei feti in 3D. Mai. Gli occhi vedrebbero e i ragazzi – che non sono stupidi – capirebbero. Sai che guaio? L’orrore che i miei studenti di seconda hanno provato di fronte al Saturno di Goya li avrebbe mossi a compassione per tutti i figli cui non viene data la possibilità di vivere la vita. Tutti. Nascituri, neonati, giovani, maschi, femmine… tutti. Senza differenza.