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La bellezza che ci salverà

Fonte:
CulturaCattolica.it
A fronte di molte espressioni artistiche dissacranti e penalizzanti la dignità dell'uomo, si trovano ancora nell'arte contemporanea opere che fanno parlare, pur dentro a un linguaggio moderno, le realtà ultime e definitive

È proprio di questo ultimo periodo la notizia di espressioni artistiche trasgressive che minano, non solo ai misteri e all'esperienza della fede cristiana, ma anche all'uomo nella sua dignità e integrità. Sono espressioni che abbracciano tutti i campi dell'arte: dal teatro al cinema, dalla musica alle arti figurative e plastiche, e rivendicano una pretesa ispirazione di altissima qualità e una rappresentatività genuina della coscienza critica dell'uomo contemporaneo (o come si ama dire, ormai, post contemporaneo).
Tuttavia, mentre quest'arte post moderna (o post-contemporanea) si avvia ormai sempre più velocemente verso la dissoluzione totale della forma e del contenuto, esistono ancora qua e là, voci autorevoli di chi, pur senza rinunciare alle istanze nuove dell'arte, rimane coraggiosamente ancorato alla grande tradizione artistica del passato, con i suoi valori e le sue forme estetiche.
È il caso di Duda Gracz, artista polacco, recentemente scomparso (2004) che rimase folgorato dalla visita di Giovanni Paolo II in Polonia e iniziò un percorso personale di conversione che lo portò a donare al Santuario di Jasna Gora una delle sue opere più belle: la vis Crucis secondo Jerzy Duda Gracz.
Il disegno personalissimo e quasi caricaturale dell'artista, un realismo spietato nel guardare la realtà e l'uomo, si coniuga, in quest'opera, con una profonda riflessione sul dolore del Cristo che prosegue la sua via Crucis lungo i tortuosi percorsi della storia, dentro i panni del popolo cristiano.
La condanna di Cristo da parte di Pilato, ad esempio, viene riletta dall'artista alla luce della potenza dei mass media, capaci di infangare o assolvere le persone nello spazio breve di un respiro. O ancora, l'incredulità di Tommaso che vuole verificare la verità della risurrezione infilando il dito nel costato del Redentore, viene riletta alla luce di una scienza che non si rassegna in alcun modo a credere ai miracoli, ma indaga nei Misteri al solo fine di snaturare il loro valore simbolico di rimando eternità.
Eppure Jerzy Duda Gracz non nasce e non viene formando la sua professionalità tra le file dell'esperienza cattolica, anzi. Il padre, alla fine della II guerra mondiale viene accusato di cospirazione con i nazisti, ma si scoprirà poi che aveva rischiato la vita nascondendo ebrei nella sua casa. Jerzy prima dell'incontro con Giovanni Paolo II era un non credente che conservava in sé il desiderio grande di ridisegnare il mondo. L'artista stesso diceva di dipingere un mondo che non c'è; un mondo che appartiene all'infanzia e ai sogni, un mondo che conserva il paesaggio dell'era pre-industriale. Nei quadri di Jerzy Duda non ci sono cavi telefonici, antenne satellitari, auto, aerei, ma viene continuamente rievocata la natura, l'albero, come luogo che riporta prepotentemente l'uomo alle radici della sua creaturalità.
Forse per questo la sua, rimane, benché dentro le forme grottesche del disegno, arte vera, perché capace di ricondurre l'uomo al Mistero della sua origine e della sua fine o, per dirla in senso cristiano, del suo fine.
In autori come Duda Gracz si comprende appieno quell'espressione divenuta famosa a motivo del grande romanzo di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, l'Idiota: la bellezza salverà il mondo. Sì, davvero la bellezza ci salverà, quella bellezza che non corrisponde tanto a canoni estetici, ma che corrisponde all'uomo alla sua grandezza e dignità, al suo innato desiderio di eternità.
Una eternità che ha sorpreso Duda Gracz quasi nel sonno: mentre stava ancora lavorando alle sue opere, in una pausa di riposo, un attacco di cuore ha stroncato la sua vita a soli 63 anni. La morte ha sigillato così l'esistenza di questo artista che è passato dal sogno, così insistentemente rievocato nella sua arte, alla realtà che quei sogni volevano significare. Quel mondo che quaggiù non c'è, ma che lui ha inseguito tutta la vita, ora gli è stato pienamente rivelato.

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